Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 luglio 2021, n. 21792

Lavoro domestico, Prestazione aggiuntiva all’attività
prestata nell’orario normale, Presenza della lavoratrice nelle ore notturne,
Compenso

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Genova ha confermato la
sentenza del Tribunale della stessa città che, in parziale accoglimento della
domanda proposta da R.B.M. nei confronti di N.D., aveva condannato quest’ultimo
a corrispondere alla ricorrente la somma di € 8.779,25, oltre rivalutazione
monetaria ed interessi legali, a decorrere dalla maturazione dei singoli ratei
al saldo, a titolo di compenso per la presenza notturna richiesta dal datore di
lavoro applicando l’art. 12 del
c.c.n.I. lavoro domestico.

1.1. Il giudice di secondo grado ha ritenuto che la
sentenza non era affetta da un vizio di ultrapetizione atteso che gli importi
riconosciuti quale compenso in relazione alla presenza notturna accertata erano
inferiori rispetto a quelli originariamente chiesti a titolo di assistenza
notturna, voce nella quale doveva ritenersi ricompresa la mera presenza.

1.2. Ha poi accertato che la presenza dell’appellata
nelle ore notturne era stata espressamente richiesta dal datore di lavoro ed
era connessa all’esigenza di prestare, eventualmente, assistenza alla madre
dello stesso, affetta da demenza senile, non autosufficiente, che necessitava
la continuativa presenza di qualcuno in casa (la stessa R.B. o uno dei tre
figli dell’assistita). La convivenza era stata concordata anche per assicurare,
in caso di necessità, la presenza di una persona disponibile ad intervenire.

1.3. Ha ritenuto che tale presenza notturna
costituisse una prestazione aggiuntiva all’attività lavorativa prestata
nell’orario normale che non era remunerata con il vitto e l’alloggio assicurato
ed ha ritenuto corretta l’utilizzazione quale parametro del compenso previsto
dall’art. 12 del c.c.n.I. di
categoria per le prestazioni notturne di mera attesa.

1.4. Ha escluso infine che tale prestazione
aggiuntiva fosse stata remunerata con la somma erogata mensilmente, superiore
al minimo contrattuale, mancandone una indicazione esplicita.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso
N.D. che articola quattro motivi ai quali oppone difese la R.B. che deposita
anche memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380
bis 1 cod.proc. civ.

 

Considerato che

 

3. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la
violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 15 del c.c.n.I. e delle
relative Tabelle A ed E anche con riferimento agli artt.
1362, 1363, 1367
e 1368 cod.civ.

3.1. Sostiene il ricorrente che il compenso per le
prestazioni di mera attesa è previsto solo per i lavoratori non conviventi e
che nel caso di lavoratore convivente la retribuzione prevista dalla Tabella A
del c.c.n.I. già compensa anche la passiva presenza notturna che, in base alla
stessa disciplina collettiva, è obbligatoria.

3.2. Osserva che solo le prestazioni notturne
discontinue di cura possono compromettere le 11 ore di riposo giornaliero
spettanti alla badante, mentre le prestazioni di mera presenza non impediscono
di per sé il recupero delle energie psico fisiche. Evidenzia che, ove
necessario un intervento, si realizzerà l’ipotesi della prestazione discontinua
di cura e che la compatibilità delle prestazioni di mera attesa della badante
convivente, ex art. 12 c.c.n.I.,
con il riposo notturno non si porrebbe in contrasto con l’art. 7 del d.lgs. n. 66 del 2003, il quale
prevede, appunto, le undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore.

3.3. Si tratterebbe semmai di situazione
riconducibile all’istituto della reperibilità per il quale l’art. 7 ammette la frazionabilità
del riposo giornaliero e tenuto conto del fatto che a norma dell’art. 17 del citato d. lgs. la
normativa collettiva può derogare in pejus la disciplina del riposo
giornaliere. Conseguentemente le mansioni di mera attesa sarebbero compatibili
con il riposo notturno della badante convivente che non ne viene pregiudicato.

3.4. Quanto alla natura obbligatoria della
prestazione di mera attesa della badante convivente, osserva che essa è insita
nella previsione della “convivenza” che presuppone anche il
trascorrere la notte nell’abitazione. Diversamente verrebbe meno la distinzione
stessa tra lavoratori conviventi e non conviventi. In definitiva mentre le
prestazioni assistenziali discontinue costituiscono un quid pluris rispetto
alla prestazione ordinaria del lavoratore convivente quelle di mera presenza
devono essere richieste solo per il personale non convivente.

Deduce che l’art. 15 comma 4 del c.c.n.I.
distingue tra riposo pomeridiano, per il quale specifica che al lavoratore è
consentito uscire, ma nulla dice per quello notturno, così implicitamente
negando tale facoltà.

3.5. Sostiene che si tratterebbe di interpretazione
confermata dal comma 9 dell’art.
15 citato che consente l’assunzione di personale per i giorni di riposo dei
lavoratori titolari dell’assistenza ma non anche per il periodo notturno.

3.6. Alla ricostruzione proposta conseguirebbe che
il compenso di cui alla Tabella E è riservato al solo personale assunto per
mansioni di attesa mentre è il vitto e l’alloggio a compensare anche la
presenza notturna in casa della badante convivente.

4. Il motivo è infondato.

4.1. Premesso che in fatto la Corte di merito ha
accertato che l’impegno notturno non era solo eventuale ma era concreto e che
si era verificato più volte che la lavoratrice era stata disturbata nel sonno
ed aveva dovuto occuparsi della anziana signora che assisteva come badante, in
ogni caso va rilevato che la presenza notturna in funzione di garanzia e di un
eventuale intervento è disciplinata dall’art. 12 che applica la tabella
E ( per il caso di assistenza notturna si applica la tabella C secondo la
categoria ed invece in caso di interventi discontinui per esigenze occasionali
momentanee dell’assistito l’art.
11 tabella D). Nelle mansioni di attesa la chiamata fa parte dell’attività
lavorativa richiesta. Nel contratto della badante convivente, invece, vi può
rientrare solo “l’intervento inatteso, insolito, inconsueto” una
tantum determinato da un’occasione improbabile e remota. Laddove invece si
tratti di evenienza ripetuta tale da divenire un evento probabile, come in
concreto accertato dal giudice di appello che ha verificato che l’assistita era
risultata capace di azioni incontrollabili, allora l’impegno assunto deve
essere retribuito.

5. Anche il secondo motivo di ricorso, con il quale
è denunciata in relazione all’art. 360 n. 4 cod.
proc. civ. e 101 comma 2 cod. proc. civ. la
mancata sollecitazione del contraddittorio,sul rilievo che la Corte avrebbe
definito la controversia sulla base di argomenti mai trattati in primo grado e
senza consentire il deposito di memorie, non può essere accolto. Il ricorrente
trascura di riportare il contenuto della sentenza di primo grado e non
consente, così, al Collegio di apprezzare se effettivamente la questione non
era mai stata sottoposta al primo giudice.

6. Neppure può essere accolto il terzo motivo di
ricorso, con il quale è denunciata la violazione degli artt. 2099 e 2697 cod.
civ. con riguardo al mancato assorbimento parziale delle pretese azionate.

6.1. Correttamente la Corte di appello ha escluso
che i 100,00 euro mensili erogati in aggiunta ai minimi retributivi
costituissero un superminimo che andava a compensare la prestazione notturna e
che perciò avrebbe dovuto essere scomputato dalle somme riconosciute. Era infatti
onere del ricorrente, che non vi aveva provveduto, offrire la prova che tale
somma era imputabile alla disponibilità a rendere, in caso di necessità, la
prestazione durante l’orario notturno.

7. In conclusione per le ragioni esposte, il ricorso
deve essere rigettato. Le spese, da distrarsi in favore dell’avvocato
antistatario, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi
dell’art. 13 comma 1 quater del
d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma
dell’art. 13 comma 1 bis del
citato d.P.R., se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che si liquidano in € 3.000,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli
accessori dovuti per legge. Spese da distrarsi in favore dell’avvocato
antistatario.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato
d.P.R., se dovuto.

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