Secondo un recente arresto del Tribunale di Roma, il trattamento emergenziale può essere concesso esclusivamente in situazioni in cui vi sia una oggettiva difficoltà aziendale nella regolare continuazione della propria attività produttiva
Nota a Trib. Roma, ord., 30 giugno 2021
Gennaro Ilias Vigliotti
L’emergenza sanitaria in atto su tutto il territorio nazionale sin dai primi mesi del 2020 ha imposto misure importanti di sostegno ed integrazione del reddito da lavoro, interessando istituti classici come la Cassa Integrazione Guadagni, si ordinaria (CIGO) che straordinaria (CIGS) o in deroga.
Com’è noto, l’art. 19, D.L. n. 18/2020 ha stabilito che “I datori di lavoro che nell’anno 2020 sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario con causale “emergenza COVID-19””.
Una recente ordinanza del Tribunale di Roma, emanata dalla Dott.ssa Casari il 30 giugno 2021 nel giudizio R.G. n. 13173/2021, ha chiarito che tale strumento assistenziale opera solo per quelle ipotesi in cui il datore di lavoro sia costretto a sospendere l’attività lavorativa di uno o più dipendenti in ragione dell’emergenza sanitaria in atto, cioè a seguito degli effetti pregiudizievoli della diffusione del virus Sars-Cov-2. Secondo il Giudice, infatti, dalle norme emanate con riferimento alla Cassa Ordinaria con causale Covid-19, si ricava che il trattamento in questione “può essere concesso esclusivamente in situazioni in cui vi sia una oggettiva difficoltà aziendale nella regolare continuazione della propria attività produttiva”.
Il Tribunale aveva conosciuto del caso di un dipendente che si era visto collocare in Cassa Integrazione nel marzo 2021 in ragione della disposta riorganizzazione aziendale che aveva imposto la soppressione della sua posizione lavorativa. Il dipendente aveva adito le vie legali, inoltrando un ricorso d’urgenza al Giudice del Lavoro ex art. 700 c.p.c., e chiedendo la dichiarazione di illegittimità del provvedimento di sospensione del rapporto di lavoro, con conseguente condanna al pagamento della retribuzione piena e del versamento dei contributi all’INPS.
L’azienda si era costituita in giudizio deducendo l’infondatezza della domanda giudiziale dispiegata, affermando che la normativa di cui all’art. 19 del D.L. n. 18/2020 permetterebbe di avvalersi dell’ammortizzatore sociale in questione anche in caso di mera riorganizzazione aziendale e pur in assenza di fattori idonei a comprimere i volumi d’affari della società.
Il Tribunale ha respinto questa prospettazione e accolto la richiesta principale del lavoratore. La Cassa “Covid-19” non può essere attivata per riorganizzazioni aziendali ma solo per rispondere a situazioni di crisi direttamente connesse all’emergenza sanitaria. Ciò non solo in ragione del tenore letterale della norma di riferimento (il sopra menzionato art. 19 del D.L. n. 18/2020) ma anche per la ratio del trattamento in questione, il quale, secondo il Tribunale di Roma, “lungi dall’essere uno strumento di supporto alle aziende per fini di massimizzazione economica, si giustifica in ragione del mantenimento dei posti di lavoro durante periodi di difficoltà aziendale”.
Senza una conclamata situazione di difficoltà organizzativa causalmente connessa all’emergenza sanitaria in atto, dunque, il provvedimento di sospensione per collocamento in Cassa Integrazione “Covid 19” deve ritenersi illegittimo, con la conseguenza che il lavoratore avrà dritto a percepire le differenze tra l’inferiore trattamento assistenziale percepito e la superiore retribuzione tabellare ed a vedere regolarizzata la sua situazione contributiva.