Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 luglio 2021, n. 21764
Giornalista, Verbale ispettivo, Mancato pagamento dei
contributi, Iscrizione all’INPGI a prescindere dalla natura pubblica o privata
del datore di lavoro e dal contratto collettivo applicabile al rapporto
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n.
6484 del 2014, accoglieva l’impugnazione proposta dall’Istituto Nazionale di
Previdenza dei Giornalisti Italiani G.A. (INPGI) nei confronti dell’Azienda USL
di Pescara avverso la pronuncia resa tra le parti dal Tribunale di Roma.
Il giudice di secondo grado, in riforma della
sentenza appellata, rigettava il ricorso della Azienda USL avverso il verbale
ispettivo con cui l’INPGI le aveva contestato il mancato pagamento dei
contributi per il periodo 1° gennaio 2001 – 31 dicembre 2006 relativamente alla
posizione dei dipendenti R.C.M. e C.P., proposto innanzi al Tribunale di Roma
il 27 marzo 2008 e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta
dall’INPGI, condannava l’Azienda a pagare in favore di quest’ultimo la somma di
euro 138.838.00, a titolo di contributi, interessi e sanzioni, oltre interessi
e sanzioni dal 15 marzo 2007 al saldo.
2. Il Tribunale aveva dichiarato l’insussistenza
dell’obbligo di versamento dei contributi all’INPGI, assumendo che l’attività
dei due lavoratori non fosse di tipo giornalistico.
3. La Corte d’appello, riteneva, al contrario, che
si trattasse di attività giornalistica.
4. Richiamava l’art. 9 della l. n. 150 del 2000, che
prevede, tra l’altro, che gli uffici stampa delle amministrazioni pubbliche
sono costituiti da personale iscritto all’albo nazionale dei giornalisti, la
direttiva del Dipartimento della funzione pubblica del 7 febbraio 2002 che
delinea l’attività degli uffici stampa degli enti pubblici, e il parere del
Ministero del lavoro del 24 settembre 2003, secondo cui i dipendenti delle
pubbliche amministrazioni ai quali è affidato incarico giornalistico, o che
svolgono attività giornalistica, devono essere iscritti presso l’INPGI.
Ricordava che, mentre l’art. 17, comma 3, della 1.
n. 503 del 1992, aveva stabilito che i dipendenti giornalisti professionisti o
praticanti giornalisti, i cui rapporti di lavoro sono regolati dal contratto
nazionale giornalistico, sono obbligatoriamente iscritti presso l’INPGI, il
successivo art. 76 della l. n. 388 del 2000, con effetto dal 1° gennaio 2001,
aveva previsto in via generale che l’INPGI provvede alla gestione delle forme
di previdenza obbligatorie anche in favore dei giornalisti pubblicisti titolari
di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica.
Assumeva che l’iscrizione all’INPGI fosse, altresì,
obbligatoria per i giornalisti pubblicisti che svolgano in regime di
subordinazione un’attività di tipo giornalistico, anche alle dipendenze di
soggetti diversi dagli editori di testate, ed anche con contratto di lavoro non
giornalistico.
Riteneva, comunque, che l’obbligo di iscrizione
all’INPGI presupponesse l’effettivo svolgimento di attività giornalistica.
Evidenziava che, nello specifico, l’Azienda USL di
Pescara con delibera del 7 marzo 2000 aveva istituito l’ufficio stampa
aziendale, specificandone i compiti, ed aveva conferito l’incarico di dirigente
dell’ufficio stampa aziendale al dott. M.C., dirigente sociologo, in possesso
dell’iscrizione all’ordine dei giornalisti e della necessaria esperienza in
campo giornalistico. Con successiva delibera dell’8 aprile 2003, preso atto
dell’entrata in vigore della l. n. 150 del 2000, l’Azienda aveva confermato
l’assegnazione definitiva dell’assistente amministrativo C.P. – già addetto
all’ufficio relazioni con il pubblico dal 4 settembre 1999 – come addetto
stampa collaboratore, con specifico incarico di provvedere alla realizzazione
dei media aziendali e di curare il corretto rapporto con la stampa, al quale
sarebbe stato applicato il contratto giornalistico come consentito dalla l. n.
150 del 2000.
Rimarcava che entrambi i lavoratori fossero iscritti
all’albo dei giornalisti pubblicisti (C.M. dal 9 febbraio 1990, P. dal 1° marzo
1985).
Riteneva non rilevante per escludere la natura
giornalistica dell’attività il rapporto di subordinazione gerarchica dei due
dipendenti e rilevava che nell’attività svolta dai predetti vi fossero gli
elementi per considerare sussistente quell’attività di mediazione tra il fatto
e la diffusione della notizia che contraddistingue l’attività giornalistica.
Pertanto, per gli stessi andava ritenuta
obbligatoria l’iscrizione all’INPGI, e non potevano ritenersi liberatori i
pagamenti effettuati all’INPDAP, salva la facoltà di recupero dei contributi
versati.
Da ultimo, considerava inapplicabile, al fine di
escludere interessi e sanzioni, l’art. 1189 cod. civ. per essere insussistenti
il presupposto dell’apparenza o il requisito della buona fede.
5. Per la cassazione della sentenza di appello ha
proposto ricorso l’Azienda USL di Pescara, prospettando quattro motivi di
ricorso.
6. L’INPGI ha resistito con controricorso.
7. Fissata l’adunanza pubblica innanzi alla sezione
lavoro, in prossimità della quale le parti hanno depositato memorie, il
Collegio ha emesso l’ordinanza interlocutoria n. 27173, depositata in data
27/11/2020, con cui ha disposto la trasmissione del ricorso al Primo Presidente
per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
L’ordinanza interlocutoria, dopo una ampia
ricostruzione del quadro normativo e della giurisprudenza costituzionale e di
legittimità di riferimento, ha ritenuto sussistente, al fine di stabilire
rispetto a quale soggetto previdenziale (INPGI oppure INPS) vada adempiuto
l’obbligo contributivo del datore di lavoro pubblico, l’esigenza di una
interpretazione sistemica della disciplina della professione giornalistica, che
trova il suo fulcro nell’iscrizione all’albo professionale, a cui si collegano:
– l’applicazione del contratto collettivo giornalisti e il versamento della
contribuzione previdenziale all’INPGI; – l’insieme delle fonti legali, in
particolare l’art. 9 della n. 150 del 2000, che ha istituito gli uffici stampa
e ha rimesso l’individuazione e regolamentazione dei profili professionali
degli addetti – dipendenti pubblici iscritti all’albo dei giornalisti – ad una
specifica area di contrattazione da negoziare con l’intervento delle oo.ss.
giornalisti; – le fonti contrattuali (nella specie il c.c.n.l. Comparto sanità
2016-2018) che hanno previsto, ex art. 40, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001,
in sede diversa da tale negoziazione, profili professionali per le attività di
comunicazione e informazione svolte dalle pubbliche amministrazioni.
Ha così ritenuto che, sollevando al riguardo il
ricorso una questione di massima di particolare importanza quanto ai profili
sistematici, nonché per le ricadute di forte impatto sociale ed economico che
derivano dalla scelta di ritenere per i dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, iscritti all’albo dei giornalisti, addetti ad attività di
informazione e comunicazione, anche costituite in ufficio stampa, l’INPGI
oppure l’INPS come destinatario dei versamenti contributivi previdenziali da
parte del datore di lavoro pubblico, questione che investe anche l’esame del
rilievo, a tale specifico fine, della contrattualizzazione dei profili
professionali relativi a informazione e comunicazione rispetto alle
caratteristiche della professione del giornalista, come delineata dalla 1. n.
63 del 1969, il ricorso dovesse essere trasmesso al Primo presidente per
l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
8. Il Primo Presidente, in ragione della particolare
importanza della questione di massima, ha assegnato la controversia a queste
Sezioni unite.
9. Il Procuratore generale ha formulato le sue
conclusioni motivate insistendo per il rigetto del ricorso (così modificando le
conclusioni già rese per l’adunanza camerale del 29 settembre 2020).
10. In prossimità dell’udienza, l’Azienda USL di
Pescara e l’INPGI hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la
violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto di riferimento, in
particolare dell’art. 9 della l. n. 150 del 2000, in relazione all’art. 76
della l. n. 388 del 2000, e dell’art. 17 del d.lgs. n. 503 del 1992, nonché del
c.c.n.l. Comparto sanità.
La ricorrente contesta che, come invece ritenuto
dalla Corte d’appello, dal combinato disposto dell’art. 9 della l. n. 150 del
2000, e dell’art. 76 della l. n. 388 del 2000, discenda l’obbligo di
contribuzione in favore dell’INPGI.
Ed infatti il citato art. 9 prevede che negli uffici
stampa l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali siano
affidate alla contrattazione collettiva nell’ambito di una speciale area di
contrattazione, con l’intervento delle organizzazioni rappresentative della
categoria dei giornalisti.
Di talché, ad avviso della ricorrente, il
legislatore ha previsto una specifica area di contrattazione da applicare al
personale interno all’amministrazione che è destinato all’ufficio stampa, con
la conseguenza che i contributi previdenziali dovevano essere versati
all’INPDAP, ora INPS.
Argomenti a sostegno si possono desumere dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 189 del 2007, secondo la quale i profili
professionali e il trattamento economico degli addetti agli uffici stampa
devono essere individuati e regolamentati dalla contrattazione collettiva di
appartenenza.
Nella specie, l’attività dei suddetti lavoratori non
era che una delle attività che l’Azienda offriva, per cui doveva farsi
riferimento, per tutto il personale, al c.c.n.l. Comparto sanità, che accanto
all’attività sanitaria prevedeva anche un profilo professionale tecnico e
amministrativo.
Dunque, assume la ricorrente, l’obbligo di
contribuzione all’INPGI sussiste solo per i giornalisti professionisti iscritti
all’albo professionale, ai quali si applica il contratto nazionale di categoria
dei giornalisti, mentre è facoltativo per i giornalisti pubblicisti.
Con riguardo all’ufficio stampa della USL, la
facoltà di iscrizione all’INPGI può essere consentita solo per coloro a cui
viene applicato il contratto nazionale giornalisti, e cioè a coloro che sono
assunti come personale esterno alla pubblica amministrazione, per svolgere
attività di informazione, comunicazione e promozione aziendale.
Diversa è la situazione dei due dipendenti della
Azienda USL di Pescara, assunti con qualifica propria del pubblico impiego, e
che fanno capo al Comparto sanità, ai quali non si applica il contratto di
lavoro giornalistico, e la relativa contribuzione va versata all’INPS.
2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata la
violazione e/o falsa applicazione, sotto altro profilo, delle norme di diritto
di riferimento, in particolare dell’art. 17 del d.lgs. n. 503 del 1992, in
relazione all’art. 76 della l. n. 388 del 2000, e all’art. 9 della l. n. 150
del 2000.
E contestata la statuizione che afferma
l’obbligatorietà della contribuzione all’INPGI, in quanto l’attività espletata
dai due dipendenti della Azienda USL di Pescara, aveva natura giornalistica.
Assume la ricorrente che condizione unica per il
versamento dei contributi all’INPGI, è l’essere il rapporto di lavoro regolato
dal c.c.n.l. dei giornalisti. Ciò, tenuto conto dell’art. 17 cit., che ancora
il versamento dei contributi all’INPGI esclusivamente alla regolamentazione del
rapporto di lavoro dei dipendenti mediante contratto di lavoro nazionale
giornalistico, e non alla natura giornalistica dell’attività svolta.
3. Con il terzo motivo di ricorso è illustrata la
violazione e/o falsa applicazione, sotto ulteriore profilo, delle norme di
diritto di riferimento, in particolare dell’art. 9 della l. n. 150 del 2000.
Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2575, cod. civ., e della l. n. 633
del 1941.
Assume la ricorrente che l’attività svolta dai due
dipendenti applicati all’ufficio stampa aziendale non integrava attività
giornalistica, ma attività di marketing, informazione e promozione aziendale.
Nella attività espletata dagli stessi mancavano
tutti gli elementi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità al fine di
definire l’attività giornalistica quale attività intellettuale che, utilizzando
il mezzo di diffusione scritto, verbale o visivo, è diretta a comunicare, ad
una massa indifferenziata di utenti, idee, convinzioni o nozioni, attinenti ai
campi più diversi della vita spirituale, politica, economica, scientifica e
culturale, ovvero notizie raccolte ed elaborate con obiettività, anche se non
disgiunte da valutazione critica.
L’attività giornalistica, inoltre, è contraddistinta
dalla creatività di colui che, con prestazione d’opera professionale, raccoglie
ed elabora le notizie.
Nella specie, tali caratteristiche non erano
ravvisabili e andava considerato che l’ufficio stampa era sotto la direzione
dell’ufficio programmazione ed organizzazione dell’Azienda USL di Pescara, il
quale, insieme all’URP, era sottoposto a supervisione e coordinamento.
Andava, inoltre, considerato che, da un lato, non
costituisce attività giornalistica il semplice riferimento di notizie, e
dall’altro, il vincolo della subordinazione è attenuato.
Come era risultato dall’istruttoria espletata:
mancava l’autonomia tipica dell’attività giornalistica; non sussisteva
l’attività di reperimento della notizia; mancava il requisito della creatività;
mancava l’autonomia dell’informazione; la funzione dell’ufficio stampa era solo
quella di presentare le iniziative dell’azienda, a scopo di promozione e
comunicazione.
4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la
violazione e falsa applicazione dell’art. 1189 cod. civ.
La ricorrente si duole della statuizione che l’ha
condannata al pagamento di interessi e sanzioni sui contributi in questione,
atteso che avrebbe dovuto trovare ingresso il meccanismo liberatorio di cui
all’art. 1189 cod. civ., non valendo ad escludere l’applicazione di tale norma
né il riferimento alla nota del Ministero del lavoro del 24 settembre 2003, né
quello ad un asserito contratto giornalistico, mai applicato al C.M. e al P.
I due lavoratori, quali dipendenti della Azienda
USL, erano soggetti solo al c.c.n.l. di categoria del personale sanitario, e
inseriti nell’ente previdenziale di appartenenza degli stessi.
Le sanzioni, quindi, non potevano trovare
applicazione, atteso che l’adempimento vi era stato, seppure nei confronti di
un altro ente.
Dunque, al più avrebbe dovuto operare la
compensazione legale tra gli importi richiesti dall’INPGI e quelli già versati
all’INPDAP, senza il pagamento di interessi o sanzioni.
5. I suddetti motivi sono resistiti dall’INPGI,
secondo cui, in particolare, ai fini del versamento della contribuzione in
proprio favore, esattamente in ragione della disciplina richiamata dalla
ricorrente, è sufficiente l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato
avente ad oggetto attività giornalistica, essendo irrilevante la natura del
datore di lavoro.
Ciò, sia per i giornalisti professionisti sia per i
pubblicisti, sussistendo la natura giornalistica del rapporto di lavoro
subordinato. Nella specie, peraltro, le risultanze testimoniali deponevano a
favore dello svolgimento di attività giornalistica.
Quanto alla prospettata applicabilità dell’art. 1189
cod. civ., la stessa andava esclusa poiché mancava la prova della buona fede da
parte della Azienda.
6. Il procuratore generale ha chiesto respingersi il
ricorso evidenziando, sulla base di precedenti di legittimità – Cass. 20 luglio
2007, n. 16147; Cass. 26 giugno 2004, n. 11944 -, che ciò che rileva ai fini
dell’iscrizione all’INPGI è lo svolgimento di attività giornalistica, a
prescindere dalla natura del datore di lavoro e del c.c.n.l. applicato e che
anche i dipendenti pubblici i quali, in possesso dei titoli necessari, svolgano
per la pubblica amministrazione attività di tipo giornalistico devono essere
iscritti all’INPGI a prescindere dal fatto che il loro rapporto sia soggetto ad
un c.c.n.l. diverso dal contratto nazionale giornalistico.
7. Va innanzitutto rilevato che i motivi di ricorso
superano il vaglio di ammissibilità in quanto evidenziano in modo specifico e
circostanziato le doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione
delle norme di diritto appropriate alla fattispecie.
8. L’esame delle censure di cui ai primi tre motivi
di ricorso, da trattare congiuntamente in quanto connesse, postula la ricognizione
del complesso quadro normativo e contrattuale in materia, nonché della
giurisprudenza della Corte costituzionale e di quella di legittimità, con
riguardo anche ai recenti arresti di entrambe.
9. E innanzitutto opportuna una ricostruzione della
evoluzione che, nel tempo, ha avuto l’INPGI e la funzione allo stesso
attribuita.
9.1. Storicamente le prime forme di previdenza in
favore dei giornalisti e, più in generale di coloro che prestavano attività di
lavoro nel mondo dell’informazione, erano rappresentate dalle “Casse pie di
assistenza”, associazioni di natura volontaria sorte a fine Ottocento con
l’obiettivo di garantire ai soci ed alle relative famiglie determinate
erogazioni, vitalizie o temporanee, nel caso di eventi lesivi della salute o
del reddito di lavoro degli iscritti (malattie, infortuni, vecchiaia,
disoccupazione) e finanziate oltre che dal contributo personale dei soci, dai
residui attivi del “Fondo carta” e dai contributi sulla pubblicità.
Con l’art. 23 del c.c.n.l. di lavoro stipulato il 1°
ottobre 1925 tra Federazione nazionale della stampa e l’unione nazionale
editori di giornali venne stabilito che: “fi istituito presso la federazione
nazionale della stampa italiana un Fondo per le pensioni di invalidità e
vecchiaia dei giornalisti, disciplinato da un regolamento speciale che sarà
redatto a cura della Federazione stessa”.
Così il sistema del Fondo assunse già una
connotazione diversa passando da una forma di contribuzione volontaria ad una
obbligatoria ancorché su base contrattuale (e, dunque, evidentemente vincolante
solo per i soggetti cui il c.c.n.l. si applicava). Nel medesimo contratto
collettivo si stabiliva che al Fondo dovevano concorrere in misura paritaria le
amministrazioni dei giornali ed i giornalisti, le une e gli altri con versamenti
obbligatori, sullo stipendio mensile globale.
La diversa forma di finanziamento consentì al Fondo
di garantire quale principale prestazione la concessione di un trattamento di
quiescenza al raggiungimento del 60° anno di età o al compimento del 35° anno
di servizio professionale.
Un anno dopo, con il R.D. 25 marzo 1926, n. 838, il
Fondo assunse la veste ufficiale di Istituto Nazionale di Previdenza dei
Giornalisti Italiani, con la natura giuridica di ente morale e ordinamento di
tipo federativo.
Successivamente, con la l. 31 dicembre 1928, n.
3316, vennero fuse nell’INPGI le varie Casse Pie ancora esistenti in alcune
città italiane (come quelle di Roma, Milano, Torino, Genova, Bologna, Venezia e
Udine). I redditi netti provenienti dai patrimoni degli enti stessi furono
utilizzati ai fini generali della previdenza e dell’assistenza dei giornalisti
italiani.
Il sistema previdenziale così configurato si
inseriva in un contesto in cui per le assicurazioni per l’invalidità e per la
vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria sussistevano
comunque determinate esclusioni.
Ad esempio, l’art. 38 del RD.L. n. 1827 del 1935
fissava un limite retributivo stabilendo che non fossero soggetti a tali
assicurazioni obbligatorie gli impiegati la cui retribuzione, ragguagliata a
mese, superasse un determinato ammontare (poi elevato dall’art. 5 del R.D.L. n.
636 del 1939).
Con l’art. 1 della 1. 28 luglio 1950, n. 633 il
suddetto limite di retribuzione fu soppresso con decorrenza 1° settembre 1950.
Ciò comportò una generalizzazione dell’obbligo assicurativo e determinò anche
per gli editori l’obbligo di versare all’INPS i contributi già dovuti all’INPGI
a seguito degli accordi contrattuali.
La norma del 1950 generò il rischio di soppressione
dell’Istituto in quanto le sue forme assicurative si andavano ad inserire
automaticamente nel quadro istituzionale del regime generale obbligatorio.
Si rese, così, necessario un intervento legislativo
che fu, a ben guardare, non solo di “salvataggio”, ma anche di riassetto
generale delle competenze dell’Istituto.
9.2. Venne, a tale fine, emanata la 1. 20 dicembre
1951, n. 1564 (c.d. legge Rubinacci) che, non a caso, è comunemente definita la
vera e propria legge istitutiva dell’Ente, con la quale si riconobbe all’Istituto
nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «G.A.», con previsione di
ambito generale, il carattere sostitutivo di tutte le forme di assistenza
obbligatoria nei confronti dei giornalisti ad esso iscritti attribuendosi allo
stesso la natura di ente di diritto pubblico.
Ed infatti detta legge, tuttora in vigore,
denominata “Previdenza ed assistenza dei giornalisti, all’art. 1 ha previsto
che: “LM previdenza e l’assistenza attuate dall’Istituto nazionale di
previdenti dei giornalisti italiani «G.A.» riconosciuto con regio decreto 25
marzo 1926, n. 838, nelle forme e nelle misure disposte dal suo statuto e dal
regolamento a favore dei giornalisti iscritti all’Istituto stesso,
sostituiscono a tutti gli effetti, nei confronti dei giornalisti ad esso iscritti,
le corrispondenti forme di previdenza e di assistenza obbligatorie” ed all’art.
2 precisato che: “Le misure dei contributi dovuti all’Istituto nazionale dì
previdenza dei giornalisti italiani «G.A.» dai datori di lavoro per i
giornalisti da essi dipendenti e le prestazioni che l’Istituto è tenuto ad
erogare a favore dei propri iscritti non possono essere inferiori a quelle
stabilite per le corrispondenti forme di previdenza e di assistenza
obbligatorie”.
Tale legge ha determinato l’ingresso dell’ente nel
sistema istituzionale della sicurezza sociale delineato dall’art. 38 della
Cost.. Con la peculiarità che con essa l’INPGI è stato chiamato a gestire in
Italia tutte le forme previdenziali ed assistenziali obbligatorie in favore
degli iscritti e dei loro familiari così da sostituirsi ai vari enti deputati,
singolarmente, alla gestione dell’invalidità, vecchiaia e superstiti,
all’assicurazione contro la disoccupazione e contro la tubercolosi, alla
gestione degli assegni familiari, all’assicurazione malattia o della copertura
del rischio infortuni.
9.3. Il completamento dell’assetto ordinamentale si
è avuto con la 1. 9 novembre 1955, n. 1122 (c.d. legge Vigorelli) con la quale
si è provveduto a definire i soggetti assicurati, la retribuzione imponibile,
le sanzioni applicabili in caso di omesso o tardivo versamento dei contributi
dovuti, i poteri ispettivi conferiti ai funzionari di vigilanza.
9.4. Successivamente, nell’ambito del più generale
disegno di riordino del sistema degli enti pubblici di previdenza ed assistenza
delineato dal comma 32 dell’art. 1 della l. 24 dicembre 1993, n. 537 ed in
virtù della delega esercitata con il d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, a decorrere
dal Io gennaio 1995, l’INPGI è stato trasformato da ente pubblico previdenziale
in una fondazione, avente natura giuridica privata, permanendo lo svolgimento
da parte dello stesso delle pubbliche funzioni con autonomia gestionale,
organizzativa e contabile (l’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 509 del 1994 così
prevede: “Gli enti trasformati continuano a svolgere le attività previdenziali
e assistenziali in atto riconosciute a favore delle categorie di lavoratori e
professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti, ferma
restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione. Agli enti
stessi non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti, con
esclusione di quelli connessi con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri
sociali; l’art. 2 aggiunge: “Le associazioni o le fondazioni hanno autonomia
gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal
presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in
relazione alla natura pubblica dell’attività svolta”).
9.5. Attualmente, dunque, l’INPGI, mutata l’originaria
natura di derivazione contrattuale, gestisce, in virtù del ruolo attribuitogli
dalla l. n. 1564 del 1951, in regime sostitutivo e con regolamentazione
autonoma, tutte le forme assicurative obbligatorie di previdenza ed assistenza
a favore dei giornalisti professionisti.
9.6. Con la successiva l. 25 febbraio 1987, n. 67
(artt. 26 e 27) l’iscrizione all’Istituto è stata estesa anche ai praticanti e
ai tele-cineoperatori di testate giornalistiche televisive iscritti all’albo
dei giornalisti professionisti.
9.7. Con il d.lgs. 10 febbraio 1996, n. 103 è stata,
poi, istituita la gestione separata, finalizzata alla previdenza obbligatoria
di tutti i giornalisti liberi professionisti, estendendosi la tutela
previdenziale obbligatoria anche ai soggetti che “svolgono attività autonoma di
libera professione senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio è
condizionato all’iscrizione in appositi albi o elenchi.
Si sono così delineate due distinte sezioni:
gestione lavoratori dipendenti, cd. “gestione principale”, per i giornalisti
titolari di rapporto di lavoro dipendente e “gestione separata”, per i
giornalisti lavoratori autonomi, con o senza partita Iva, e i giornalisti
titolari di contratti di collaborazione (co.co.co.).
9.8. Come sopra evidenziato, dunque, ai sensi
dell’art. 1 della l. n. 1564 del 1951, l’INPGI gestisce in regime di
sostitutività le forme di previdenza obbligatoria (AGO) nei confronti dei
giornalisti lavoratori dipendenti (in tale regime l’INPGI gestisce anche
l’assicurazione contro gli infortuni, che fu istituita e disciplinata per la
prima volta dal contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico del
1955, e confermata nei contratti successivi, con progressiva elevazione dei
massimali degli indennizzi).
Ciò vale a distinguere l’INPGI da altri enti
previdenziali privatizzati (v. Cass. 16 gennaio 2012, n. 1098). Una
differenziazione rispetto agli altri enti previdenziali (ed in particolare alle
Casse) si ricava anche dal fatto che il regime INPGI ricalca quello INPS per
quanto attiene all’imposizione, riscossione e recupero dei contributi
obbligatori.
Tale impostazione non si pone in contrasto con il
d.lgs. n. 509 del 1994 che, come sopra evidenziato, ha disposto la
privatizzazione degli enti di previdenza gestori di forme di previdenza
obbligatoria, lasciando tuttavia intatta la natura dell’attività previdenziale
da loro svolta.
Rispetto al sistema INPS quello sostitutivo
dell’INPGI, almeno fino alla riforma varata dal Consiglio di Amministrazione
dell’INPGI, con delibera del 28 settembre 2016, approvata dal Ministero del
Lavoro e dal Ministero dell’Economia, contenente nuove regole che entrano in
vigore da subito, per chi matura i requisiti a partire dal 1° gennaio 2017, ha
conservato tutte le caratteristiche del metodo di calcolo retributivo (che
continua ad essere applicato per le anzianità maturate fino al 31.12.2016 ed in
base al quale la redditività delle pensioni INPGI risulta, così, alquanto
superiore ai regimi che già adottavano diffusamente il calcolo contributivo o
misto), il che rende evidentemente rilevante, per i soggetti interessati, l’una
ovvero l’altra soluzione contributiva.
9.9. L’ampiezza della sopra indicata previsione
legislativa (art. 2 della l. n. 1564 del 1951) ed il riferimento all’obbligo
contributivo previsto a carico dei “datori di lavoro per i giornalisti da essi
dipendenti è tale da far ritenere che la disposizione si applichi a tutti i
datori di lavoro a prescindere dalla natura privata o pubblica.
Ai sensi di tale disciplina generale, dunque,
qualunque datore di lavoro che abbia alle proprie dipendenze giornalisti è
tenuto all’iscrizione all’INPGI.
9.10. Ciò è confermato anche dall’art. 6 della sopra
citata l. n. 1122 del 1955 che, senza alcuna distinzione, dispone che: “il
datore di lavoro ha l’obbligo di denunciare all’Istituto i giornalisti
professionisti ad esso occupati, indicando la retribuzione corrisposta e tutte
le altre notizie che gli sono richieste dall’Istituto stesso per l’iscrizione
del giornalista professionista e per l’accertamento dei contributi dovuti.
9.11. L’art. 38 della 1. 5 agosto 1981, n. 416
(“Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l’edito rid’) ha, poi,
previsto, nella versione originaria, che: “1. L’Istituto nazionale di
previdenza dei giornalisti italiani “G.A.” (INPG1), che, a norma
della legge 30 dicembre 1951, n. 1564, gestisce in regime di sostitutività le
forme di previdenza obbligatone nei confronti dei giornalisti professionisti,
provvede a corrispondere ai propri iscritti: a) il trattamento straordinario di
integrazione salariale previsto dall’art. 35; b) la pensione anticipata di
vecchiaia prevista dall’art. 37. 2. Gli oneri derivanti dalle suddette
prestazioni sono a totale carico dell’Istituto. 3. Resta confermato all’INPGI
il compito di provvedere alla corresponsione ai giornalisti professionisti del
trattamento speciale di disoccupazione di cui all’art. 8 della legge 5 novembre
1968, n. 1115, e successive modificazioni e integrazioni, con finanziamento a
totale carico del Fondo di garanzia per l’assicurazione contro la
disoccupazione costituito presso l’Istituto medesimo a norma dei decreti
ministeriali 24 novembre 1965 e 3 maggio 1977. 4. Le forme previdenziali
gestite dall’INPGI devono essere coordinate con le norme che regolano il regime
delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale
obbligatoria, sia generali che sostitutive”.
9.12. La norma è stata oggetto di interventi
legislativi di modifica fino al testo sostituito dall’art. 76 della l. n. 388
del 23 dicembre 2020: “L’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti
italiani “G.A.” (INPGI) ai sensi delle leggi 20 dicembre
1951, n. 1564, 9 novembre 1955, n. 1122, e 25
febbraio 1987, n. 67, gestisce in regime di sostitutività le forme di
previdenza obbligatoria nei confronti dei giornalisti professionisti e
praticanti e provvede, altresì, ad analoga gestione anche in favore dei
giornalisti pubblicisti di cui all’articolo 1, commi secondo e quarto, della
legge 3 febbraio 1963, n. 69, titolari dì un rapporto di lavoro subordinato di
natura giornalistica. I giornalisti pubblicisti possono optare per il
mantenimento dell’iscrizione presso l’istituto nazionale della previdenza
sociale. Resta confermata per il personale pubblicista l’applicazione delle
vigenti disposizioni in materia di fiscalizzazione degli oneri sonali e di
sgravi contributivi”. 2. L’INPGI provvede a corrispondere ai propri iscritti:
a) il trattamento straordinario di integrazione salariale previsto
dall’articolo 35; b) la pensione anticipata di vecchiaia prevista dall’articolo
37 (lettera poi abrogata dall’articolo 19, comma 18-ter, lettera b), del d.l.
29 novembre 2008 n. 185, convertito, con modificazioni, dalla l. 28 gennaio
2009, n. 2). 3. Gli oneri derivanti dalle prestazioni di cui al comma 2 sono a
totale carico dell’INPGl. 4. Le forme previdenziali gestite dall’INPGl devono
essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei
contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che
sostitutive”.
E stato, così, innanzitutto mantenuto il regime
sostitutivo; né rileva in senso contrario il fatto che, come sopra ricordato,
l’INPGI sia stato privatizzato in epoca anteriore al citato art. 76, l. n. 388
del 2000. La forma giuridica di un ente e la sua funzione pubblicistica o privatistica
non necessariamente coincidono, cosicché è improprio sia far discendere dalla
natura pubblicistica di un ente la sua assoggettabilità integrale alle norme
sui pubblici servizi, sia viceversa escludere che un soggetto privato possa,
sol per la sua forma giuridica, assolvere a funzioni pubblicistiche o essere
destinatario di norme ispirate da finalità pubblicistiche.
9.13. La legge del 1981, in cui è inserito il sopra
citato art. 38, è, invero, relativa alla “Disciplina delle imprese editrici e
provvidenze per l’editoria”.
La successiva previsione di cui alla l. n. 388 del
2000 ha, come detto, modificato l’art. 38.
Pur in un contesto di disciplina chiaramente
relativo alle imprese editrici ed alle provvidenze per l’editoria, deve
ritenersi che la disposizione di cui all’art. 38 (sia nel testo originario sia
in quello modificato), specificamente rubricata “INPGI” abbia portata generale,
ora anche per quanto attiene alla gestione in regime di sostitutività delle
forme di previdenza obbligatoria in favore dei giornalisti pubblicisti di cui
all’art. 1, commi 2 e 4, della l. 3 febbraio 1963, n. 69.
Ciò emerge innanzitutto dal chiaro richiamo alla l.
n. 1564 del 1951 operato dall’art. 38.
Non può in contrario valorizzarsi il riferimento,
con riguardo alla possibilità di opzione, al solo INPS, che, all’epoca, non
ricomprendeva anche la gestione INPDAP: si ricorda, al riguardo, che l’Istituto
nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti dell’amministrazione
pubblica, nato come ente pubblico nel 1994 è stato accorpato all’INPS con il
c.d. decreto “salva Italia”, (art. 21 del d.l. n. 201 del 6 dicembre 2011
“Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti
pubblici ’, poi convertito con modifiche nella 1. n. 214 del 27 dicembre 2011).
Essendo, infatti, nel 2000 già vigente il sistema
del pubblico impiego privatizzato con il conseguente obbligo per il datore di
lavoro pubblico di attenersi alla disciplina della contrattazione del comparto
(v. infra) nessuna possibilità di scelta poteva essere prevista in favore del
giornalista pubblicista pubblico dipendente.
Si è, evidentemente, trattato di una disposizione,
che, quanto alla possibilità di opzione, che come detto riguardava la sola
gestione INPS, è stata meramente intesa ad una conservazione della situazione
in atto (scopo di detta previsione normativa non è stato rendere facoltativa
l’iscrizione all’INPGI dei giornalisti pubblicisti ma consentire a quei
giornalisti pubblicisti già in forza alla data in vigore della legge ed iscritti
all’INPS di optare per il mantenimento dell’iscrizione a questo ente: v. Cass.
4 giugno 2019, n. 15162).
9.14. D’altra parte, è stato ritenuto da questa
Corte di legittimità (Cass. 20 luglio 2007, n. 16147, pronuncia richiamata
anche da Corte cost. n. 112 del 2020) che “perché sorga l’obbligo di iscrizione
all’INPGI è sufficiente la instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato
avente ad oggetto attività giornalistica con un soggetto che sia giornalista
professionista o praticante giornalista. La natura del datore di lavoro è
indifferente, sicché questo può essere un ente pubblico territoriale (e il
giornalista dipendente un impiegato comunale: Cass. 26 giugno 2004, n. 11944) o
un imprenditore che, pur operando in settori diversi dall’editoria, assume alle
sue dipendenze un giornalista professionista o praticante assegnandogli
mansioni di carattere giornalistico”.
Tale portata generale è stata ribadita da questa
Corte nelle decisioni 12 gennaio 2016, n. 11407 e n. 15162/2019 cit. rese
proprio con riferimento a pubblicisti addetti a uffici stampa istituiti presso
pubbliche amministrazioni.
Il principio è stato applicato anche per affermare
l’obbligo contributivo nei confronti dell’INPGI in presenza di un accertamento
di attività giornalistica da parte di società (M. S.p.A.) che applicava il
c.c.n.l. Grafici (v. Cass. 22 giugno 2016, n. 12897). Nel medesimo alveo si
colloca Cass. 25 giugno 2018, n. 16691 che egualmente ha attribuito centralità
all’attività giornalistica espletata che costituisce il presupposto di
riferimento per ritenere l’obbligo di iscrizione all’INPGI.
Ancora più di recente è stato ribadito (Cass. 25
maggio 2021, n. 14391), richiamando i requisiti di iscrizione di cui al
regolamento INPGI, che l’obbligo assicurativo presso l’INPGI ricorre nei casi
in cui, a prescindere dal c.c.n.l. applicato e dell’inquadramento aziendale,
concorrano le seguenti condizioni: a) iscrizione all’Albo dei giornalisti
(elenco professionisti, elenco pubblicisti e/o registro praticanti); b)
svolgimento di attività lavorativa riconducibile a quella professionale
giornalistica. Si tratta di condizioni che devono essere tra loro concorrenti e
non alternative. Ai sensi della vigente normativa (l. n. 1564 del 1951, l. n.
1122 del 1955, art. 38 della l. n. 416 del 1981 – come sostituito dall’art. 76
della l. n. 388 del 2000 -, Statuto e Regolamento dell’INPGI), dunque, il
giornalista (professionista, pubblicista e/o praticante) che svolga attività di
lavoro subordinato riconducibile a quella della professione giornalistica, ai
fini della tutela previdenziale, è obbligatoriamente iscritto all’INPGI. Si
tratta di principio che è stato nuovamente ribadito – per i dipendenti da
aziende private – dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con nota
n. 14072 del 27 dicembre 2005.
Ai sensi di tale più recente pronuncia,
l’accertamento che l’attività svolta sia giornalistica è perciò un prerequisito
indispensabile che concorre, con l’iscrizione anche d’ufficio e retroattiva
all’albo dei praticanti, nel radicare il diritto del lavoratore e dell’Istituto
a pretendere che si provveda all’iscrizione e che siano versati i dovuti
contributi.
9.15. In verità, prima delle modifiche di cui alla
l. n. 388 del 2000 è intervenuto il d.lgs. n. 503 del 30 dicembre 1992 (“Norme
per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e
pubblici, a norma dell’articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 ) con il
quale, all’art. 17, comma 3, è stato stabilito che: “I dipendenti giornalisti
professionisti iscritti nell’apposito albo di categoria e i dipendenti
praticanti giornalisti iscritti nell’apposito registro di categoria, i cui
rapporti di lavoro siano regolati dal contratto nazionale giornalistico, sono
obbligatoriamente iscritti presso l’Istituto nazionale di previdenza dei
giornalisti italiani «G.A.»’ (comma modificato dall’art. 11 della l. 24
dicembre 1993, n. 537).
Come la legge del 1951, anche quella del 1992 è di
generale applicazione (ma tiene fuori i pubblicisti poi inseriti dal
legislatore del 2000: si vedano, a confronto, il testo normativo dell’art. 38
della 1. n. 416 del 1981 nella versione originaria e quello sostituito
dall’art. 76 della l. n. 388 del 2000 sopra riportati) ed integra la prima con
la previsione dell’obbligo di iscrizione obbligatoria all’INPGI per i
dipendenti il cui rapporto sia regolato dal c.c.n.l. giornalistico.
Al riguardo va ritenuto che il legislatore del 1992,
che è intervenuto quando la riforma del pubblico impiego che era già in
itinere, abbia voluto dare una chiara indicazione stabilendo in termini
generali l’iscrizione all’INPGI per tutti i giornalisti dipendenti con rapporto
regolato dal c.c.n.l. giornalistico.
La norma non afferma che l’obbligo sussista “solo”
per i dipendenti cui si applica il c.c.n.l. giornalistico ma afferma che di
certo quando si applichi tale c.c.n.l. c’è l’obbligo di contribuzione in favore
dell’INPGI.
Una interpretazione diversa (basata sul discrimine
esclusivo costituito dall’applicazione del c.c.n.l. giornalistico e che
porterebbe ad accogliere la tesi dell’Azienda sanitaria) si scontra con tutta
la giurisprudenza di questa Corte di legittimità sopra ricordata in materia di
obbligo di iscrizione all’INPGI, anche nell’impiego pubblico, che afferma la
sussistenza di tale obbligo a prescindere dalla natura del datore di lavoro (e
quindi del c.c.n.l. applicato).
Peraltro, andrebbe considerato, per escludere la
suddetta interpretazione diversa, che nell’impiego privato, per il quale la
applicazione del c.c.n.l. non è obbligatoria ma rimessa ad un atto di volontà
(ciò, ovviamente, per l’impiego privato diverso da quello facente capo agli
editori di quotidiani e di periodici, alle agenzie di informazioni quotidiane
per la stampa, all’emittenza radiotelevisiva privata di ambito nazionale, agli
uffici stampa comunque collegati ad aziende editoriali cui si applica
obbligatoriamente il c.c.n.l. giornalistico: per una ricostruzione si rimanda a
Cass., Sez. Un., 28 gennaio 2020, n. 1867 evidenziandosi che il primo contratto
nazionale di lavoro giornalistico del 10/1/1959 è stato reso efficace erga
omnes con d.P.R. 16 gennaio 1961, n. 153, e ha pertanto valore di legge; lo
stesso è stato seguito dai contratti collettivi sottoscritti in data 1/10/1995,
30/9/1999, 1/3/2001, 28/2/2005, 1/4/2009, 31/2/2013), basterebbe applicare un
contratto di diverso da quello giornalistico per sfuggire all’iscrizione
all’INPGI, nonostante lo svolgimento di attività giornalistica, il che non è
sostenibile.
9.16. Si aggiunga che vi è stata una significativa
conformazione, per consolidata e pluriennale prassi amministrativa, ad una
interpretazione nel senso sopra illustrato da parte non solo del Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali ma dello stesso INPDAP.
Ed infatti, come evidenziato anche nella sentenza
impugnata, già con parere n. 80907 del 24 settembre 2003, il Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali, preso atto della disposizione di cui all’art.
76 della l. n. 388 del 2000, ha affermato l’iscrizione previdenziale dei
giornalisti all’INPGI indipendentemente dalla contrattazione collettiva ad essi
applicabile. In sede di tale parere si è evidenziato che l’unico requisito
richiesto è dato dalla natura dell’attività espletata che deve essere
“giornalistica” e si è posto in rilevo che, a decorrere dal 1° gennaio 2001, i
giornalisti assunti alle dipendenze della pubblica amministrazione, a tempo
determinato o a tempo indeterminato, pubblicisti e professionisti, in presenza
del duplice requisito di affidamento di incarico di natura giornalistica,
ovvero svolgimento di attività riconducibile alla professione giornalistica e
di iscrizione all’albo di categoria, devono essere obbligatoriamente iscritti,
ai fini pensionistici, presso l’INPGI.
Ciò ha comportato che da allora le amministrazioni
si sono adeguate e (fatte salve, a quanto risulta dai contenziosi, le eccezioni
per lo più costituite da Enti locali e da ASL), i contributi sono stati versati
all’INPGI.
Sulla scorta di dette indicazioni Ministeriali sono
state anche diramate circolari congiunte INPGI e INPDAP (così la n. 9 del 9
febbraio 2004) con cui si poneva a carico delle amministrazioni pubbliche
aventi alle proprie dipendenze personale soggetto all’obbligo contributivo
presso FINPGI di provvedere alla costituzione delle posizioni assicurative
presso tale Istituto (si vedano gli ampi riferimenti contenuti nel
controricorso dell’INPGI; si veda anche la nota operativa INPDAP n. 12 del 16
febbraio 2007 con la quale si è chiarito che: “In applicazione del citato
disposto legislativo, i giornalisti dipendenti da pubbliche amministrazioni, iscritti
all’INPDAP fino al 31 dicembre 2000, sono stati iscritti ope legis all’INPGI
dal 1° gennaio 2001 senza alcuna modifica degli elementi costitutivi e
fondamentali del rapporto di lavoro che, pertanto, è proseguito senza alcuna
modifica soggettiva o oggettiva dello stesso senza soluzione di continuità).
10. In questo quadro si inserisce l’art. 9 della l.
7 giugno 2000, n. 150 (“Disciplina delle attività di informazione e di
comunicatone delle pubbliche amministrazioni) che ha così disposto: “1. Le amministrazioni
pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993,
n. 29, possono dotarsi, anche in forma associata, di un ufficio stampa, la cui
attività è in via prioritaria indirizzata ai mezzi di informazione di massa. 2.
Gli uffici stampa sono costituiti da personale iscritto all’albo nazionale dei
giornalisti. Tale dotazione di personale è costituita da dipendenti delle
amministrazioni pubbliche anche in posizione di comando o fuori ruolo, o da
personale estraneo alla pubblica amministrazione in possesso dei titoli
individuati dal regolamento di cui all’art. 5, utilizzato con le modalità di
cui all’art. 7, comma 6, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e
successive modificazioni, nei limiti delle risorse disponibili nei bilanci di
ciascuna amministrazione per le medesime finalità. 3. L’ufficio stampa è
diretto da un coordinatore, che assume la qualifica di capo ufficio stampa, il
quale, sulla base delle direttive impartite dall’organo di vertice
dell’amministrazione, cura i collegamenti con gli organi di informazione,
assicurando il massimo grado di trasparenza, chiarezza e tempestività delle
comunicazioni da fornire nelle materie di interesse dell’amministrazione. 4. I
coordinatori e i componenti dell’ufficio stampa non possono esercitare, per
tutta la durata dei relativi incarichi, attività professionali nei settori
radiotelevisivo, del giornalismo, della stampa e delle relazioni pubbliche.
Eventuali deroghe possono essere previste dalla contrattazione collettiva di cui
al comma 5.
5. Negli uffici stampa l’individuazione e la
regolamentazione dei profili professionali sono affidate alla contrattazione
collettiva nell’ambito di una speciale area di contrattazione, con l’intervento
delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti.
Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a
carico della finanza pubblica. Ai giornalisti in servizio presso gli uffici
stampa delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di “Trento e
di Bolzano, in via transitoria, sino alla definizione di una specifica
disciplina da parte di tali enti in sede di contrattatone collettiva e comunque
non oltre il 31 ottobre 2019, continua ad applicarsi la disciplina riconosciuta
dai singoli ordinamenti (comma modificato dall’articolo 25-bis, comma 1, del
D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla Legge 28 marzo
2019, n. 26). 5- bis. Ai dipendenti di ruolo in servilo presso gli uffici
stampa delle amministrazioni di cui al comma 1 ai quali, in data antecedente
all’entrata in vigore dei contratti collettivi nazionali di lavoro relativi al
triennio 2016-2018, risulti applicato il contratto collettivo nazionale di
lavoro giornalistico per effetto di contratti individuali sottoscritti sulla
base dì quanto previsto dagli specifici ordinamenti dell’amministrazione di
appartenenza, può essere riconosciuto il mantenimento del trattamento in
godimento, se più favorevole, rispetto a quello previsto dai predetti contratti
collettivi nazionali di lavoro, mediante riconoscimento, per la differenza, di
un assegno ad personam riassorbibile, in attuazione di quanto previsto
dall’articolo 2, comma 3, ultimo periodo, del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, con le modalità e nelle misure previste dai futuri contratti
collettivi nazionali di lavoro (comma, quest’ultimo, inserito dall’art. 1,
comma 160, della 1. 27 dicembre 2019, n. 160)”.
Sono, quindi, intervenuti il Regolamento di
attuazione di cui al d.P.R. 21 settembre 2001, n. 422, (in G.U. n. 282 del 4
dicembre 2001) recante “Norme per l’individuazione dei titoli professionali del
personale da utilizzare presso le pubbliche amministrazioni per le attività di
informazione e di comunicazione e la disciplina degli interventi formativi e la
Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della
Funzione Pubblica del 7 febbraio 2002 (in G.U. n. 74 del 28 marzo 2002).
10.1. In realtà, già sulla scia delle proclamazioni
di taluni statuti regionali che, a partire dagli anni 70, avevano tradotto in
specifiche previsioni di quella particolare fonte del diritto che, in virtù del
principio di autonomia, disciplina l’organizzazione interna delle Regioni, la
necessità di un rapporto bidirezionale tra pubblici poteri e comunità
(inserendo disposizioni intese, ad esempio, a promuovere l’informazione sui
programmi, sulle decisioni e sugli atti di rilevanza regionale), la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 348 del 1990, ha per prima riconosciuto che
ogni articolazione dei pubblici poteri, e, in particolare, ogni soggetto di
autonomia non può non avere, tra i suoi compiti, anche quello di realizzare un
corretto circuito informativo con la comunità di riferimento.
In sede di tale pronuncia si è significativamente
evidenziato che: “L’informazione, nei suoi risvolti attivi e passivi (libertà
di informare e diritto ad essere informati), esprime (…) una condizione
preliminare (o, se vogliamo, un presupposto insopprimibile) per l’attuazione ad
ogni livello, centrale o locale, della forma propria dello Stato democratico.
Nell’ambito di tale forma, qualsivoglia soggetto od organo rappresentativo
investito di competenze di natura politica non può, di conseguenza, pur nel
rispetto dei limiti connessi alle proprie attribuzioni, risultare estraneo all’impiego
dei mezzi di comunicazione di massa”.
10.2. È in questo contesto culturale che si colloca
la l. n. 150 del 2000 che è, indubbiamente, figlia di questa idea, dell’idea
cioè che l’attivazione di circuiti di informazione e comunicazione tra
amministrazioni e cittadini è un aspetto irrinunciabile della democratizzazione
dell’informazione.
10.3. L’art. 1 di tale legge fissa le finalità e
l’ambito di applicazione della stessa stabilendo che: “1. Le disposizioni della
presente legge, in attuazione dei principi che regolano la trasparenza «
l’efficacia dell’azione amministrativa, disciplinano le attività di informatone
e di comunicazione delle pubbliche amministrazione”.
La medesima norma introduce, poi, una distinzione
tra “comunicazione” e “informazione”: dove per “informazione” si intende (art.
1, comma 4, lett. a) l’attività rivolta “ai mezzi di comunicazione di massa,
attraverso stampa, audiovisivi e strumenti telematici, mentre la comunicazione
(quella “esterna” cui si affianca quella “internet tra vari uffici di ciascun
ente), è intesa come l’attività “rivolta ai cittadini, alle collettività e ad
altri enti attraverso ogni modalità tecnica ed organizzativa (art. 1, comma 4,
lett. b e c).
Si tratta di una distinzione cui si ricollega anche
la distinzione tra le diverse “strutture” deputate ad occuparsi della
informazione e comunicazione pubblica.
Ed infatti, secondo l’art. 6 della l. n. 150 del
2000: “le attività di informazione si realizzano attraverso il portavoce e
l’ufficio stampa e quelle di comunicazione attraverso l’ufficio per le
relazioni con il pubblico, nonché attraverso analoghe strutture quali gli
sportelli per il cittadino, gli sportelli unici della pubblica amministrazione,
gli sportelli polifunzionali e gli sportelli per le imprese”.
Tale distinzione, poi, si riflette sui differenti
titoli richiesti per lo svolgimento delle funzioni.
Per quanto riguarda le Amministrazioni dello Stato,
tali titoli sono previsti dal citato Regolamento attuativo di cui al d.P.R. n.
422 del 2001.
Con specifico riferimento allo svolgimento
dell’attività di informazione nell’ambito degli uffici stampa, l’art. 9, comma
2, della l. n. 150 del 2000 prevede che: “Gli uffici stampa sono costituiti da
personale iscritto all’albo nazionale dei giornalisti.
L’art. 3 del Regolamento, sviluppando l’indicazione
già contenuta nel suddetto art. 9, comma 2, stabilisce che l’esercizio di tale
attività “è subordinato, oltre al possesso dei titoli culturali previsti dai
vigenti ordinamenti e disposizioni contrattuali in materia di accesso agli
impieghi nelle pubbliche amministrazioni, al possesso del requisito della
iscrizione negli elenchi dei professionisti e dei pubblicisti dell’albo
nazionale dei giornalisti”, limitatamente, però, al “personale che svolge
funzioni di capo ufficio stampa”, nonché (comma 2) al “personale che, se
l’organizzazione degli uffici lo prevede, coadiuva il capo ufficio stampa
nell’esercizio delle funzioni istituzionali, anche nell’intrattenere rapporti
diretti con la stampa e, in generale, con i media”.
Il requisito dell’iscrizione all’albo nazionale dei
giornalisti è, dunque, richiesto proprio perché il compito informativo, inteso
alla creazione di un flusso continuo di notizie ed al trasferimento di
specifiche tematiche di pubblico interesse, è svolto interfacciandosi con i
“mezzi di comunicazione di massa, attraverso stampa, audiovisivi e strumenti
telematici.
L’indicato titolo professionale non è, invece,
previsto né per coloro che svolgano attività di comunicazione né per i
portavoce (quanto ai primi – art. 2 del Regolamento – è richiesto il diploma di
laurea in scienze della comunicazione o in relazioni pubbliche e materie
assimilate ovvero specializzazioni o perfezionamento post lauream rilasciati in
scienze della comunicazione o relazioni pubbliche o materie assimilate, titoli
che, a ben guardare, sarebbero senz’altro adeguati ad una attività, non
giornalistica, di mera comunicazione delle notizie, quale sarebbe, nell’assunto
della ricorrente, quella degli uffici stampa presso la pubblica amministrazione;
nessun requisito professionale specifico è richiesto per il personale addetto
all’ufficio stampa ma con mansioni non rientranti nelle previsioni di cui ai
commi 1 e 2 dell’art. 3 e per i portavoce).
10.4. Quello previsto dalla l. n. 150 del 2000 è,
come evidenziato anche nella sopra indicata direttiva, un nuovo indispensabile
strumento a disposizione delle pubbliche amministrazioni per sviluppare le loro
relazioni con i cittadini, potenziare e armonizzare i flussi di informazioni al
loro interno e concorrere ad affermare il diritto dei cittadini ad un’efficace
comunicazione.
Quest’ultima cessa di essere un segmento aggiuntivo
e residuale dell’azione delle pubbliche amministrazioni, e ne diviene parte
integrante.
A termini di legge, per consentire il pieno
raggiungimento di questi obiettivi, le pubbliche amministrazioni devono: 1)
dare avvio e sviluppo alle strutture deputate alla realizzazione delle attività
di informazione, portavoce e ufficio stampa, e di comunicazione, ufficio per le
relazioni con il pubblico; 2) promuoverne il pieno raccordo operativo sotto
forma di coordinamento e attraverso una adeguata struttura organizzativa.
Ma il legislatore ha anche previsto l’individuazione
e la regolamentazione dei profili professionali per mezzo della contrattazione
collettiva nell’ambito di una speciale area di contrattazione, con l’intervento
delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti.
10.5. Un dato certo è che proprio lo scopo di cui
alla l. n. 150 del 2000 (che, come evidenziato da Corte cost. n. 81 del 2019,
ha connotati di specialità, anche rispetto alla normativa di cui al d.lgs. n.
165 del 2001, regolando l’attività di comunicazione e informazione nelle
pubbliche amministrazioni, prevedendo una specifica area di contrattazione per
gli addetti agli uffici stampa; si vedano anche Corte cost. n. 10 del 2019 e n.
112 del 2020) e l’intento di realizzare una “casa di vetro induce ad una
considerazione dell’attività di informazione professionale a tanto dedicata
(che il legislatore non qualifica espressamente attività giornalistica pur
dettando, come sopra evidenziato, chiare coordinate per una individuazione in
tali termini) caratterizzata da una spiccata autonomia anche nell’acquisizione
delle conoscenze.
Se l’obiettivo è quello di “non nascondere nulla” di
quanto avviene all’interno dell’amministrazione per fornire all’esterno, con la
mediazione di figure professionali (iscritte all’albo dei giornalisti e
regolamentate attraverso una – non ancora attuata – speciale area di contrattazione
con l’intervento delle organizzazioni rappresentative dei giornalisti), una
corretta informazione, si è di fronte ad una attività finanche più libera di
quella tradizionalmente svolta ad esempio alle dipendenze di una testata
editoriale in cui, ad esempio, vi è una linea politica da seguire.
10.6. Sotto questo profilo, ritiene il Collegio di
non condividere l’impostazione di cui a Cass. 15 giugno 2020, n. 11543 che
parte dal differente assunto secondo cui la garanzia di riservatezza che
caratterizza l’attività interna sarebbe tale da impedire l’indiscriminata
divulgazione di qualsiasi possibile notizia del formarsi dell’azione
amministrativa e così escluderebbe quell’autonomia tipica dell’attività
giornalistica.
Una tale impostazione, secondo cui l’attività svolta
dagli addetti all’ufficio stampa non potrebbe per definizione assumere le
caratteristiche dell’attività giornalistica, è, infatti, smentita dallo stesso
art. 1 della l. n. 150 del 2000 che, come detto, fissando la finalità di
applicatone della legge medesima, ha specificato che la stessa è quella di
attuare i principi che regolano “la trasparenza e l’efficacia dell’atone
amministrativa, disciplinano le attività di informatone e di comunicatone delle
pubbliche amministrazioni” (sul punto è del tutto condivisibile quanto
evidenziato dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni scritte) e che lo
stesso art. 9 della legge prevede, al comma 3, che, nei collegamenti con gli
organi di informazione, deve essere assicurato “il massimo grado di trasparenza,
chiarezza e tempestività delle comunicazioni da fornire nelle materie di
interesse dell’amministratone”, ancorché sulla base delle “direttive impartite
dall’organo di vertice dell’Amministratone”.
Non vi è dubbio che l’intento del legislatore sia
stato quello di prevedere, per realizzare la sopra indicata finalità, figure
deputate allo svolgimento di vera e propria attività giornalistica nel solco
della tradizionale elaborazione di tale attività effettuata sulla base della l.
n. 69 del 1963.
Tanto di ricava dalla formale istituzione degli
uffici stampa, dalla differenziazione tra attività di informazione e di
comunicazione, dalla necessità per gli addetti agli uffici stampa
dell’iscrizione all’albo nazionale dei giornalisti, dall’essere stata
l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali affidata alle
parti collettive nell’ambito di una speciale area di contrattazione, con
l’intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei
giornalisti.
È stato, dunque, delineato un modello di
informazione che non vi è dubbio si ricolleghi al concetto di attività
giornalistica come tracciato dalla Corte di legittimità (v. da ultimo, Cass.,
Sez. Un., n. 1867/2020 cit. secondo cui, alla luce di un’interpretazione
letterale e sistematica, della 1. n. 63 del 1969, nella parte in cui include il
giornalista professionista e il pubblicista in uno stesso ordinamento,
sottoponendoli agli stessi poteri e doveri disciplinari, la “professione di
giornalista” è da intendersi come quell’attività “di lavoro intellettuale
diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie attraverso gli
organi di informazione, in cui il giornalista si pone quale mediatore
intellettuale tra il fatto e la sua diffusione”: si vedano anche Cass. 1°
febbraio 2016, n. 1853; Cass. 29 agosto 2011, n. 17723; Cass. 21 febbraio 1992,
n. 2166).
10.7. Peraltro, il modello dell’addetto all’ufficio
stampa dipendente pubblico è assolutamente conforme ai principi del buon
andamento e imparzialità dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. che
esclude che si possano modificare ovvero edulcorare all’esterno notizie per
compiacere gli organi di vertice perché ciò sarebbe in contrasto con quel
principio di trasparenza sopra ricordato oltre al principio secondo il quale i
pubblici impiegati (tutti, e quindi anche gli addetti agli uffici stampa) sono
al servizio esclusivo della Nazione (art. 98 Cost.) e non al servizio dei
titolari prò tempore delle posizioni di vertice.
D’altra parte, l’art. 1, comma 4, della l. n. 150
del 2000 chiarisce che le attività di comunicazione ed informazione devono
svolgersi: “nel rispetto delle norme vigenti in tema di segreto di Stato, di
segreto d’ufficio, di tutela della risen>ate%ja dei dati personali e in
conformità ai comportamenti richiesti dalle carte deontologiche”.
Esiste, allora, di certo una tutela sulla
riservatezza dell’attività interna, ma tale ambito di tutela non può essere
ricavato mediante un’operazione di bilanciamento con la libertà di espressione
essendo rimessa alla professionalità del giornalista (e ne costituisce il
propnum) la cernita di ciò che si deve e si può pubblicare e quello che invece
non è necessario o non è consentito rendere pubblico. Oltre i suddetti limiti
legislativamente previsti la pubblica amministrazione, come qualunque altro
soggetto giuridico, non potrà opporre ostacoli alla “trasparenza” dell’operato
dell’addetto all’ufficio stampa.
Del resto, non è affatto scontato che l’addetto
all’ufficio stampa, cui si richiede soprattutto credibilità laddove il compito
attribuito è quello di creare all’esterno una buona immagine della pubblica
amministrazione, sia tenuto solo a riportare quanto riferito dal proprio ente
di appartenenza (ed in ogni caso si tratterebbe, non diversamente da quanto
avviene nelle agenzie di stampa, di una fonte indiretta o intermedia, che si
organizza autonomamente allo scopo di divulgare notizie) e non possa, invece,
per una migliore riuscita della comunicazione, integrare quanto riferito con
altre notizie apprese aliunde o anche seguire iniziative editoriali o
pubblicare articoli su “materie di interesse dell’amministrazione” che non
servano a dare specifico conto di atti o attività e che siano perciò fondati su
altri strumenti di conoscenza (integrando, così, una fonte diretta di
informazione), rientrando nell’ambito degli obiettivi dell’ufficio stampa anche
quello di accreditare il proprio Ente come riferimento indispensabile su
specifiche tematiche.
Né appare rilevante, al fine di escludere la natura
giornalistica, il fatto che, come previsto dalla l. n. 150 del 2000, l’addetto
all’ufficio stampa si interfacci con i mezzi di comunicazione di massa,
attraverso stampa, audiovisivi e strumenti telematicì e non direttamente con il
pubblico indifferenziato, tale essendo per lo più anche l’attività delle
agenzie di stampa che storicamente sono nate proprio per fornire informazioni
ai giornali e fungono da fonti per i mass media.
È pur vero che il giornalista dell’ufficio stampa
pubblico, in quanto dipendente della pubblica amministrazione, è tenuto anche all’obbligo
di fedeltà proprio di qualunque lavoratore subordinato, e quindi deve evitare
di “divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione”
del suo datore di lavoro e non deve “fame uso in modo da recare pregiudizio”
all’amministrazione (art. 2105 cod. civ.), ma questo è un limite generale, che
riguarda anche il giornalista “privato” che non deve pregiudicare gli interessi
del proprio editore.
Anche la circostanza che gli addetti all’ufficio
stampa siano vincolati alle “direttive impartite dall’organo di vertice
dell’amministrazione” non è certo tale da escludere, per ciò solo, la natura
giornalistica della prestazione, configurandosi anche in questo caso una
situazione non dissimile da quella tradizionale del rapporto giornalista-editore
(si ricorda, peraltro, che l’art. 6, comma 4, del c.c.n.l. lavoro giornalistico
1/4/2014 – 31/3/2016 prevede che: “[…] è competenza specifica ed esclusiva
del direttore fissare ed impartire e direttive politiche e tecnicoprofessionali
del lavoro redazionale, stabilire le mansioni di ogni giornalista, adottare le
decisioni necessarie per garantire l’autonomia della testata, nei contenuti del
giornale e di quanto può essere diffuso con il medesimo”).
L’iscrizione all’albo professionale e l’appartenenza
ad un Ordine che fissa le regole deontologiche e vigila sulla loro osservanza è
quanto consente al giornalista subordinato di resistere alle sollecitazioni ed
interferenze cui sia eventualmente esposto nella sua posizione di dipendenza, a
tutela dell’interesse pubblico alla correttezza dell’informazione.
Come evidenziato da Cass., Sez. Un., n. 1867/2020
cit., richiamando Corte cost. n. 98 del 1968: “L’iscrizione all’albo è di per
sé garanzia di qualità dell’informazione e di tutela degli interessi preminenti
legati alla libertà di manifestazione del pensiero, perché consente all’ordine
professionale di esercitare il suo controllo preventivo e sanzionatorio; il
pubblicista, proprio perché iscritto all’albo, offre le stesse garanzie di
professionalità ed efficienza del giornalista professionista, differenziandosi
da questo unicamente in ragione della non esclusività della sua prestazione”.
11. Quello descritto è il sistema come delineato dal
legislatore.
11.1. Orbene, uffici stampa sono stati istituiti presso
le pubbliche amministrazioni mediante specifica articolazione organizzativa
degli enti (si vedano: quanto alla sottoposizione del personale dell’ufficio
stampa regionale al c.c.n.l. dei dipendenti degli enti locali, in ragione della
sentenza della Corte cost. n. 189 del 2007, Cass. 9 giugno 2009, n. 13248;
quanto all’impossibilità di costituire rapporti di lavoro pubblico
contrattualizzato per gli uffici stampa in mancanza di pubblico concorso, Cass.
9 febbraio 2015, n. 2370 e Cass. 4 novembre 2016, n. 22485; quanto
all’inapplicabilità dell’accordo collettivo regionale siciliano del 24 ottobre
2007 per la mancata stipulazione del contratto integrativo, Cass. 11 gennaio
2017, n. 488).
11.2. Alcune Regioni italiane hanno, invero,
stabilito di applicare le previsioni del vigente contratto collettivo dei
giornalisti, stipulato dalle organizzazioni degli editori e dalla Federazione
nazionale della stampa italiana (FNSI), al personale degli istituiti uffici
stampa.
Le relative disposizioni di legge regionale, però,
sono state dichiarate costituzionalmente illegittime per violazione della sfera
di competenza statale, che riserva alla contrattazione collettiva la disciplina
del pubblico impiego (richiamandosi, a tal fine, la previsione di cui all’art.
40 del d.lgs. n. 165 del 2001, e successive modificazioni il quale prevede, al
comma 2, ultimo periodo, che “nell’ambito dei comparti di contrattazione
possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche
professionalità’’ (v. Coste cost. n. 112 del 2020 e Corte cost. n. 200 del 2020
che hanno chiarito che è la contrattazione collettiva di settore la sede in cui
si adottano le soluzioni più consone per regolamentare l’attività dei
giornalisti alle dipendenze della pubblica amministrazione).
11.3. L’area speciale di contrattazione, come detto,
non è stata attuata; tuttavia, raccogliendosi le sollecitazioni di cui alla
Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 7 febbraio 2002 sopra
ricordata, e l’invito ad adeguare i profili professionali alle nuove figure
degli operatori dell’informazione e comunicazione legislativamente previsti,
nei contratti collettivi di comparto sono state previste specifiche figure
professionali per le attività di comunicazione e informazione e per
quest’ultima il profilo dello “specialista nei rapporti con i media,
giornalista pubblico” distinto rispetto a quello dello ‘specialista della
comunicazione istituzionale” (si veda il c.c.n.1. comparto funzioni locali
2016-2018 che, all’art. 18-bis istituzione nuovi profili per le attività di
comunicazione e informazione, prevede: “1. Nel quadro dei processi di
innovazione del lavoro pubblico, al fine di valorizzare e migliorare le
attività di informazione e di comunicatone svolte dalle pubbliche
amministrazioni, sono previsti distinti specifici professionali idonei a
garantire l’ottimale attuazione dei compiti e funzioni connesse alle suddette
attività, il comma 5 definisce i “contenuti professionali di base” delle
attività di informazione e di comunicazione, in relazione ai quali gli enti
procederanno alla definizione dei profili di cui al comma 1. 5. In linea con
quanto previsto nei precedenti commi, i suddetti contenuti professionali di
base sono così articolati e definiti: a) Settore Comunicazione Categoria D
Gestione e coordinamento dei processi di comunicazione esterna ed interna in
relazione ai fabbisogni dell’utenza ed agli obiettivi dell’amministrazione,
definizione di procedure interne per la comunicazione istituzionale, gestione
degli eventi istituzionali, raccordo dei processi di gestione dei siti
internet, nonché delle comunicazioni digitali WEB e social, anche nell’ottica
dell’attuazione delle disposizioni in materia di trasparenza e della
comunicatone esterna dei servizi erogati dall’Amministratone e del loro funzionamento.
Profili di riferimento: specialista della comunicazione istituzionale, b)
Settore Informazione Categoria D Gestione e coordinamento dei processi di
informazione sviluppati in stretta connessione con gli obiettivi istituzionali
dell’Amministrazione; promozione e cura dei collegamenti con gli organi di
informazione; individuazione e/o implementandone di soluzioni innovative e di
strumenti che possano garantire la costante e aggiornata informazione
sull’attività istituzionale dell’amministrazione; gestione degli eventi stampa,
dell’accesso civico e delle consultazioni pubbliche. Profili di riferimento:
specialista nei rapporti con i media, giornalista pubblico”-, si veda anche il
c.c.n.l. comparto sanità 2016-2018 e la disposizione di cui all’art. 13 del
tutto sovrapponibile, per quanto qui rileva, rispetto a quella del c.c.n.l.
comparto enti locali).
11.4. E allora dall’intero sistema che si ricava la
natura giornalista dell’attività presso gli uffici stampa: dalla formale
istituzione di tali uffici, dai titoli richiesti per l’assegnazione agli
stessi, dalla previsione di una contrattazione speciale con l’intervento delle
organizzazioni rappresentative dei giornalisti, dalle classificazioni della
contrattazione di comparto (in qualche modo riempitive del vuoto di un’area di
contrattazione speciale non attuata).
11.5. Certo è che, in assenza dell’area di
contrattazione speciale, non si sfugge all’applicazione dell’ordinario c.c.n.l.
di comparto. Né potrebbe essere diversamente visto che, come già accennato,
nell’ambito del pubblico impiego privatizzato il datore di lavoro pubblico – a
differenza del datore di lavoro privato – non ha il potere di disporre
dell’inquadramento dei lavoratori ma è obbligato ad attenersi alla disciplina
della contrattazione del comparto.
Il legislatore della privatizzazione, infatti, sin
dal primo intervento ha provveduto a conoscere il ruolo della contrattazione
collettiva come fonte direttamente regolativa dei rapporti di lavoro ed ha
dettato una specifica disciplina delle sue parti e delle modalità di
negoziazione.
In particolare, l’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 165
del 2001, già art. 2, comma 3, d.lgs. n. 29 del 1993, stabilisce che i rapporti
individuali di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono regolati
contrattualmente e che i contratti collettivi sono stipulati secondo le
modalità previste nel titolo III del medesimo decreto legislativo.
Il successivo art. 45 d.lgs. n. 165 del 2001, già
art. 49 d.lgs. n. 29 del 1993, ha rimesso alla contrattazione collettiva la
disciplina del trattamento economico e, nel contempo, ha posto il principio di
parità di trattamento contrattuale dei dipendenti.
Va anche considerato che questa Corte di legittimità
(Cass. n. 16691/2018 cit.) ha già affermato che la qualificazione dell’attività
giornalistica, per la sua rilevanza pubblicistica con riflessi costituzionali
(art. 21 Cost.) non può desumersi in via primaria ed esclusiva dalla
contrattazione collettiva (resa efficace erga omnes con d.P.R. 16 gennaio 1961,
n. 153), ma trova gli elementi per la sua qualificazione e regolamentazione in
un compendio normativo costituito dalla Costituzione, dalla l. 3 febbraio 1963,
n. 69 e dal regolamento di esecuzione emanato con d.P.R. 4 febbraio 1965, n.
115, modificato dal d.P.R. 19 luglio 1976, n. 649 e dal contratto collettivo 19
gennaio 1959, efficace erga omnes (v., per le prime affermazioni del principio
appena enunciato, le decisioni di questa Corte in tema di qualificazione come
giornalistica dell’attività dei telecinefotoperatori, fra le altre, Cass. 2
luglio 1985, n. 3998 e 21 aprile 1986, n. 2780 e numerose successive conformi;
fra le più recenti, in tema di attività giornalistica radiotelevisiva ravvisata
in programmi di intrattenimento o svago, Cass. 19 gennaio 2016, n. 830). Anche
il legislatore del 2001, con la l. n. 62 del 2001, art. 1, recante nuove norme
sull’editoria e sui prodotti editoriali, non ha introdotto una definizione di
giornalismo o informazione on line, dando rilievo all’informazione con
qualunque strumento mediatico utilizzato e delineando, con il comma 3-bis
introdotto dalla l. 26 ottobre 2016, n. 198, il contenuto della testata
giornalistica costituita da un quotidiano on line.
Dalla citata sentenza si evince, altresì, che la
giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea equipara la stampa
tradizionale a quella on line, ritenendo irrilevante il mezzo utilizzato per la
pubblicazione, dovendosi avere riguardo soltanto alla finalità di divulgazione
al pubblico di informazioni, opinioni o idee, a prescindere dal mezzo
utilizzato (cfr., fra le altre, CGUE 16 dicembre 2008, causa C-73/07, Satakun
Markkinaporssi ed ulteriori precedenti richiamati da Cass., Sez. Un. pen., n.
31022 del 2015 e Cass. 18 novembre 2016, n. 23469). Anche la Corte Europea dei
diritti dell’Uomo (cfr. Corte EDU, Gr. Ch., 16 giugno 2015, Delfi As c/Estonia,
ric. n. 64569/09, punto 133) presuppone tale equiparazione, ai fini della
libertà di espressione, riconoscendo che i siti internet contribuiscono
grandemente a migliorare l’accesso del pubblico all’attualità e, in maniera
generale, a facilitare la comunicazione dell’informazione (richiamando i suoi
precedenti 18 dicembre 2012, Ahmet Yildirim c. Turchia, ric. n. 3111/10, punto
48, nonché 10 marzo 2009, Times Newspapers ltd c. Regno Unito, ricorsi nn.
3002/03 e 23676/03, punto 27).
11.6. I suddetti principi rilevano quando, come nel
caso in esame, la struttura “ufficio stampa” sia stata istituita e gli addetti
a tale ufficio siano stati inquadrati in modo diverso rispetto alla specifica
qualificazione dei c.c.n.l. (che non è quella che dovrebbe risultare
dall’apposita contrattazione di area speciale ma che, come detto, fornisce
significative indicazioni sulla qualificazione dell’attività di cui al profilo
dello “specialista nei rapporti con i media, giornalista pubblico).
Ricordato, infatti, che il datore di lavoro pubblico
non può attribuire inquadramenti in contrasto con quelli previsti dalla legge e
dalla contrattazione collettiva e che il prestatore deve essere adibito allo svolgimento
delle prestazioni per cui è stato assunto, ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n.
165 del 2001, o a quelle che abbia successivamente acquisito per effetto delle
procedure selettive di cui all’art. 35 del medesimo d.lgs. n. 165 del 2001, a
fronte di una assegnazione all’ufficio stampa regolarmente istituito e dello
svolgimento in fatto di attività giornalistica, con il possesso del relativo
titolo, non può la pubblica amministrazione, per sottrarsi all’obbligo
contributivo in favore dell’INPGI, opporre la mancanza del formale
inquadramento con la qualifica giornalistica di cui al c.c.n.l. di comparto. In
tal caso, infatti, mentre non sussiste per il prestatore un diritto a svolgere
per sempre quelle funzioni, l’obbligo contributivo trova fondamento nell’art.
2126 cod. civ. che si applica anche al pubblico impiego privatizzato (v. Cass.,
Sez. Un., 29 maggio, 2012, n. 8519).
11.7. La questione si sposta, allora, sul piano
dell’accertamento in fatto dell’attività svolta.
Nella fattispecie per cui è causa, la Corte
territoriale ha concluso che: – l’attività svolta dai dipendenti C. e P. aveva
quei caratteri di creatività ed originalità che caratterizzano l’attività di
giornalista; – non si trattava di mera comunicazione all’esterno di dati e
notizie inerenti l’azienda; – sussisteva una attività di mediazione tra il
fatto e la diffusione della notizia; – il rapporto di subordinazione gerarchica
non era in contrasto con il principio fondamentale dell’autonomia
dell’informazione; – non vi era solo il trasferimento del contenuto di mail e
documenti cartacei nel sito rnb ma anche l’elaborazione dei documenti che
pervenivano; – il C. e il P. non si limitavano a riportare il testo delle
dichiarazioni rese dai vari esponenti aziendali ma introducevano e commentavano
la notizia collocandola all’interno di un articolato più organico simile ad un
articolo di un comune quotidiano, con l’utilizzazione di un linguaggio ed uno
stile tipicamente giornalistici.
Non vi era stato, dunque, il semplice trasferimento
all’esterno di messaggi informativi ma la capacità di trattare l’informazione e
cioè un’attività – implicante quella di reperire e verificare le notizie
(ancorché nell’ambito delimitato di una azienda sanitaria), selezionare quelle
rilevanti, individuare quelle suscettibili di essere veicolate all’esterno e le
relative modalità – precipuamente espressiva della professionalità di cui alla
l. n. 69 del 1963.
11.8. Il suddetto accertamento non è rivedibile in
sede di legittimità essendo, come è noto, riservati al giudice di merito
l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo
dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le
risultanze di causa, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in
discussione ed a formare il proprio convincimento.
12. Vi è, a questo punto, da chiedersi se, stante la
ricordata inattuazione della l. n. 150 del 2000 per la parte relativa all’area
di contrattazione speciale prevista per legge, un’attività svolta in concreto
con le caratteristiche dell’attività giornalistica nel senso sopra considerato
comporti, per tale via, per il datore di lavoro pubblico (che applica –
essendovi tenuto – il c.c.n.l. di comparto ancorché, come nella fattispecie,
senza l’inquadramento nello specifico profilo professionale del ‘giornalista
pubblicò) l’obbligo di versamento dei contributi all’INPGI legislativamente
previsto.
12.1. Orbene, per tutto quanto sopra detto con
riguardo alle funzioni attribuite, nel tempo, dal legislatore all’INPGI, la
fonte di tale obbligo è da rinvenirsi della normativa generale sopra ricordata
rispetto alla quale, come evidenziato, l’applicazione – necessitata – di un
c.c.n.l. pubblico non può costituire ragione ostativa.
Invero l’applicazione del c.c.n.l. giornalistico
(ove pure in ipotesi sussistente per uno o per entrambi i pubblicisti per cui è
causa) sarebbe stata una anomalia considerato quanto detto circa l’obbligo per
la pubblica amministrazione di applicare il c.c.n.l. di comparto, stante la
mancata attuazione dell’area di contrattazione speciale prevista per legge.
12.2. Da tanto consegue che vanno respinti i primi
tre motivi di ricorso avendo la Corte territoriale correttamente ritenuto
sussistente l’obbligo di contribuzione in favore dell’INPGI.
13. Il quarto motivo è inammissibile.
14. Nonostante la formale denuncia della violazione
dell’art. 1189 cod. civ. il motivo, nella sostanza, tende a contrastare la
valutazione di fatto del giudice di appello circa la non ricorrenza, nel caso
di specie, dei presupposti di applicabilità della norma dell’apparenza e della
buona fede: quanto al primo, il giudice d’appello ha argomentato che ogni
possibile dubbio sull’individuazione dell’Ente cui versare i contributi doveva
ritenersi superato da quando, con la nota del 24 settembre 2003, il Ministero
del Lavoro aveva chiarito che i giornalisti assunti dalla pubblica
amministrazione per svolgere attività giornalistica dovevano essere iscritti
all’INPGI; quanto al secondo, il giudice d’appello ha ritenuto che la buona
fede dovesse escludersi in base al fatto che l’Azienda con la delibera
dell’8/4/2003 aveva manifestato l’intenzione di applicare al P. “il contratto
di lavoro giornalistico come consentito dalla legge n. 150 del 2000”.
Peraltro, come questa Corte ha affermato in varie
occasioni, deve negarsi, comunque, che possa esistere il presupposto dell’art.
1189 cod. civ., nel caso di pagamento all’INPS di contributi dovuti all’INPGI,
in quanto il datore non può ignorare l’attività di lavoro espletata dai propri
dipendenti e dove essa debba essere assicurata a fini previdenziali (Cass. 5
novembre 2012, n. 18916; Cass. n. 12897/2016.
15. Il ricorso va, dunque, rigettato dovendo
enunciarsi i seguenti principi di diritto: “Deve essere considerata
giornalistica l’attività svolta nell’ambito dell’ufficio stampa di cui alla l.
n. 150 del 2000 per la quale il legislatore ha richiesto il titolo
dell’iscrizione all’albo professionale e previsto un’area speciale di
contrattazione con la partecipazione delle oo.ss. dei giornalisti”.
“In presenza dello svolgimento di attività
giornalistica l’iscrizione all’INPGI ha portata generale a prescindere dalla
natura pubblica o privata del datore di lavoro e dal contratto collettivo
applicabile al rapporto”.
16. Le spese devono essere compensate tra le parti
per l’evidente complessità e controvertibilità della questione.
17. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del
d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del
2012, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un.,
n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla
legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012,
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art.
13, se dovuto.