Il Tribunale di Ravenna rimette nuovamente l’art.18, co.7, Stat. Lav. al giudizio della Consulta.
Nota a Trib. Ravenna, ord., 6 maggio 2021
Francesco Belmonte
Il carattere “manifesto” dell’insussistenza del fatto posto a fondamento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, richiesto dall’art. 18, co. 7, Stat. Lav. per accedere alla tutela reintegratoria, crea un’illogica disparità di trattamento rispetto all’analoga patologia (insussistenza del fatto) prevista dall’art. 18, co. 4, per i licenziamenti disciplinari, tale da sollevare nuovamente dei dubbi di costituzionalità.
A rilevarlo è il Tribunale di Ravenna (ord., 6 maggio 2021) relativamente ad una fattispecie concernente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in relazione al quale era già stata sollevata, dal medesimo organo giudicante, questione di legittimità costituzionale, su cui si era pronunciata la Corte Cost. con la sentenza 1° aprile 2021, n. 59, annotata, in questo sito, da F. BELMONTE, Reintegra “obbligatoria” per i licenziamenti economici.
ll Tribunale ritiene, alla luce delle motivazioni della Consulta rese nella sentenza citata, che sussista ancora un problema di costituzionalità dell’art. 18, co. 7, con la conseguenza che deve essere nuovamente sollevata una diversa ed ulteriore (rispetto a quella già accolta) questione in via incidentale, in relazione alla qualifica di “manifesta” «che l’insussistenza del fatto di licenziamento per motivo oggettivo connesso ad una ragione c.d. “economica” deve avere per condurre alla reintegra».
In altri termini, il Tribunale dubita della legittimità costituzionale della norma statutaria laddove prevede che «in ipotesi in cui il giudice accerti l’insussistenza di un fatto posto a fondamento di un licenziamento per G.M.O. “economico”, non debba sempre applicare la tutela reintegratoria (come fa quando accerta l’inesistenza di un fatto soggettivo di licenziamento, ma anche in materia di licenziamenti collettivi), dovendo ulteriormente andare a distinguere l’ipotesi in cui l’insussistenza in questione è manifesta (nella quale – ora – deve applicare la tutela in forma specifica), dall’ipotesi in cui l’insussistenza è “non manifesta”, nella quale applica solo la tutela monetaria del 5° comma, senza reintegra».
L’attuale versione dell’art. 18, co. 7, prevede che il giudice “applica altresì la predetta disciplina [n.d.r. quella di cui al 4° co. dell’art. 18, ossia la tutela reale debole] nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma“.
il giudice ritiene che tale disposizione sia in contrasto con alcuni parametri costituzionali, quali: gli artt. 1; 3, co. 1 e 2; 4; 24 e 35 Cost.
In particolare, il fulcro della questione ruota attorno all’art. 3, co. 1, Cost., sotto vari profili, «dal mancato rispetto del principio di uguaglianza (rispetto a due diverse ipotesi omogenee in cui il legislatore ha previsto la reintegra), al cattivo uso della discrezionalità normativa, che si risolve nel conio di una disciplina irragionevole, fondata su un criterio illogico e indeterminato, passando per la violazione del diritto di azione del lavoratore, giungendosi sino all’ingiusto bilanciamento dei valori costituzionali in materia e alla violazione del precetto di uguaglianza sostanziale di cui al 2° comma dell’art. 3».
Per il Tribunale è impossibile fornire un’interpretazione adeguatrice della norma, la quale prevede espressamente, in modo chiaro ed univoco, la necessità per il giudice di compiere – ai fini della tutela reale – una verifica ulteriore rispetto a quella dell’insussistenza del fatto, ossia la verifica che tale insussistenza sia anche “manifesta“.
Sul punto, deve muoversi dalla premessa che il legislatore «ha voluto creare (si tratta della peculiarità della riforma dell’art. 18 di cui alla L. n. 92/2012) una serie di diversi rimedi per diversi vizi del licenziamento, prevedendo varie e diversificate tutele, talvolta reintegratorie, talvolta risarcitorie e, tra queste, diverse graduazioni dell’entità del risarcimento del danno. E nel fare questo ha espressamente differenziato la tutela per il g.m.o. da quella per il licenziamento per motivo soggettivo … prevedendo, oltre all’abrogata (in quanto incostituzionale) “facoltà” meramente potestativa di reintegra, un ulteriore elemento, pure esso essenzialmente potestativo (seppure declinato su un piano apparentemente probatorio), rappresentato dalla necessità che il “fatto” risulti (secondo la valutazione del singolo giudice del caso concreto) non solo inesistente, ma anche “manifestamente” tale».
A fronte di tale dato letterale insopprimibile, «la sola interpretazione adeguatrice sarebbe una interpretazione chiaramente abrogatrice di un chiaro precetto normativo, opzione ermeneutica incompatibile con il modello accentrato di verifica di costituzionalità di cui alla suprema Carta».