Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 agosto 2021, n. 23149

Licenziamento, Erronea indicazione della soppressione,
Omessa indicazione nella lettera di licenziamento delle unità accorpate

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 13
luglio 2018, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto
l’impugnativa del licenziamento intimato al dirigente F.C. da I.B. Spa ai fini
del riconoscimento dell’indennità supplementare prevista dal CCNL dirigenti
della Banche di Credito Cooperativo, Casse Rurali e Artigiane.

2. Per quanto ancora qui interessa, in ordine al
primo motivo di appello del C., la Corte ha rilevato che “nel ricorso ex
art. 414 c.p.c. non era mai stata sollevata la questione relativa
all’inesattezza dei motivi del licenziamento nel senso – della erronea
indicazione della soppressione invece che dell’accorpamento (intese
dall’appellante come due vicende distinte) nonché dell’omessa indicazione nella
lettera di licenziamento delle unità accorpate, con la conseguenza che la
tematica non può entrare in questa sede in quanto tardiva”.

3. Circa il terzo motivo di gravame del dirigente,
la Corte ha considerato “tardiva e quindi inammissibile la doglianza
dell’appellante il quale ritiene che il tribunale avrebbe omesso di accertare
genericamente ‘se c’erano o no posti di dirigente disponibili’ (e quindi
verosimilmente su tutto l’organico aziendale”); argomenta la Corte che
“in sede di ricorso ex art. 414 c.p.c. lo stesso C. ha delimitato la
violazione del principio di buona fede esclusivamente in relazione agli
incarichi dirigenziali attribuiti ai dirigenti F. e M. e mai ha affermato che
la I.B. SPA, in violazione del suddetto principio, non aveva esteso la ricerca
di posti disponibili a tutto l’organico aziendale con conseguente novità e
quindi inammissibilità della violazione oggi dedotta”.

4. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto
ricorso F.C. con 4 motivi. Ha resistito I.B. Spa con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art.
378 c.p.c..

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia:
“violazione e falsa applicazione degli articoli 414 e 437 c.p.c., in
relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., per avere erroneamente
affermato che nel ricorso di primo grado non era stata mai sollevata la
questione concernente la differenza tra ‘soppressione’ dell’Unità diretta dal
C. e “accorpamento” di due Unità, sicché il relativo motivo d’appello
era tardivo”.

Si sostiene che l’affermazione della Corte
territoriale sarebbe “gravemente erronea” in quanto nel ricorso di
primo grado “si rilevava chiaramente non solo la ‘soppressione della Unità
Organizzativa Applicazioni di Mercato’, ma anche il suo ‘accorpamento
all’interno della Unità Organizzativa Applicazioni Interne e di Mercato”.
Pertanto l’atto di appello ben poteva censurare la sentenza del Tribunale
“fondandosi su fatti dedotti e pacifici nel ricorso di primo grado”.

2. Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Parte ricorrente si duole di come i giudici d’appello
abbiano interpretato il ricorso introduttivo del giudizio, ma, per principio
radicato nella giurisprudenza di questa Corte qui condiviso, l’interpretazione
della domanda giudiziale e dei suoi confini è riservata al giudice del merito
(cfr., tra le altre, Cass. n. 24480 del 2020; Cass. n. 31546 del 2019; Cass. n.
29609 del 2018; Cass. n. 18 del 2015, Cass. n. 21421 del 2014; Cass. n. 12944
del 2012; Cass. n. 21208 del 2005) e non è sufficiente che l’interpretazione
offerta dai giudici ai quali compete non corrisponda alle attese della parte
per determinare la cassazione della sentenza impugnata, ove sia sorretta da
adeguata motivazione (Cass. n. 14650 del 2012; Cass. 22893 del 2008; Cass. n.
14751 del 2007) ovvero, nel vigore del novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., da
una motivazione che soddisfi il “minimo costituzionale” (cfr. Cass.
31546 del 2019).

Inoltre il solo fatto che nell’atto introduttivo del
giudizio fossero dedotte talune circostanze non significa necessariamente che
le medesime potessero costituire fondamento di una pretesa giudiziale
identificata da una determinata causa petendi, spettando al giudice del merito
effettuare tale valutazione sulla base dell’esame complessivo dell’atto.

3. Il secondo motivo denuncia: “violazione e
falsa applicazione dell’art. 41 Cost. e dell’art. 53 CCNL Dirigenti Banche di
credito cooperativo del 24 luglio 2008, in relazione all’art. 360, comma 1, nn.
3 e 4, c.p.c., per avere erroneamente affermato che la motivazione del
licenziamento non deve comprendere le ragioni del l’effettuata riorganizzazione
interna”.

Si sostiene che “la motivazione del
licenziamento prevista dal predetto articolo 53, se il licenziamento non è
disciplinare ma per ragioni aziendali, deve comprendere non solo l’eliminazione
del posto di lavoro, ma anche le ragioni che hanno causato questa eliminazione
e quindi, nel caso di specie, l’accorpamento di due Unità, una delle quali era
diretta da C.”.

4. Il motivo non è accoglibile.

In disparte i profili di inammissibilità derivanti
dalla circostanza che non viene riportato il contenuto della disposizione
contrattuale su cui si fonda il motivo, si trascura di considerare che, secondo
questa Corte, anche laddove la contrattazione collettiva applicabile al
rapporto dirigenziale preveda la necessità di contestuale motivazione del
recesso, ove la stessa non sia stata resa con il licenziamento (ovvero, risulti
insufficiente o generica), il datore di lavoro può esplicitarla (od integrarla)
nell’ambito del giudizio arbitrale, e, nell’ipotesi in cui il dirigente abbia
scelto, in conformità al principio di alternatività delle tutele nelle
controversie del lavoro, di adire direttamente il giudice ordinario, analoghe
facoltà vanno riconosciute alla parte datoriale nell’ambito del processo,
atteso che, diversamente, la posizione del datore di lavoro verrebbe ad essere
compromessa per effetto di una autonoma ed insindacabile determinazione della
controparte (Cass. n. 3175 del 2013; conf. Cass. n. 23894 del 2018; Cass. n.
3147 del 2019).

Pertanto la pretesa “inesattezza” della
motivazione del recesso, di per sé, non avrebbe potuto determinare
l’ingiustificatezza del licenziamento e, quindi, l’accoglimento della domanda.

5. Il terzo mezzo denuncia: “violazione e falsa
applicazione degli articoli 414 e 437 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma
1, nn. 3 e 4, c.p.c., per avere erroneamente affermato che nel ricorso di primo
grado non era stato mai dedotto l’obbligo della Banca di ricercare posti
disponibili in tutta l’azienda per ricollocare il ricorrente, sicché il relativo
motivo di appello era inammissibile in quanto trattava una questione
nuova”.

Si deduce che “nel ricorso introduttivo di
primo grado era citato per tre volte l’obbligo della Banca di ricollocare il
ricorrente”, per cui non si sarebbe verificata alcuna preclusione.

6. Il motivo non merita accoglimento per le ragioni
già esposte al paragrafo

2, in quanto attiene all’interpretazione dei confini
della domanda giudiziale di competenza del giudice del merito.

7. Ne consegue l’inammissibilità del quarto motivo,
con cui si denuncia ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 53 della
contrattazione collettiva applicabile ad opera della sentenza impugnata,
“per avere erroneamente affermato che l’obbligo di repechage per il
licenziamento del dirigente deriva dal principio di correttezza e buona fede
trascurando la motivazione del licenziamento”.

Infatti il rigetto del motivo che precede determina
che la statuizione della Corte territoriale, con cui è stata ritenuta
“inammissibile la doglianza dell’appellante” contenuta nel terzo
motivo di gravame, ha resistito al vaglio di legittimità e la pronuncia
processuale della Corte di Appello preclude ogni esame della questione di
merito.

8. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto,
con spese liquidate secondo il regime della soccombenza.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228
del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1 -bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese liquidate in euro 4.500,00, oltre euro 200,00 per
esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1 – bis dello stesso art. 13

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