Il dottore commercialista che svolge anche attività di consulente del lavoro non può iscriversi nel registro dei praticanti (per incompatibilità ex art. 2, co. 8, del Regolamento sul Praticantato che individua il professionista Consulente del Lavoro come unico dante pratica abilitato). Tirocinante e dominus dante pratica devono infatti appartenere al medesimo ordinamento professionale.
Nota a Cons. Stato 19 luglio 2021, n. 5441
Rossella Rossi
“Nel caso in cui al professionista sia affidato un aspirante consulente del lavoro, il dante pratica è tenuto ad osservare la disciplina stabilita con regolamento del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, al fine di garantire il proficuo svolgimento della pratica, consentendo all’aspirante professionista di acquisire le competenze necessarie per lo svolgimento di tale attività professionale; poiché il professionista è soggetto alla sola disciplina stabilita dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza, ove non sia iscritto a tale ordine professionale (ma a quello dei Dottori Commercialisti) non può soggiacere alla disciplina del regolamento di un differente Ordine professionale (quello dei Consulenti del Lavoro) rispetto a quello di appartenenza e tantomeno può essere assoggettato al suo potere disciplinare….
Ne consegue che dalla disamina delle norme si evince in modo palese che sia il tirocinante che il dominus dante pratica devono appartenere al medesimo ordinamento professionale e che, quindi, l’aspirante Consulente del Lavoro deve svolgere la pratica professionale presso un professionista iscritto all’Albo dei Consulenti del Lavoro”.
Questo il principio stabilito dal Consiglio di Stato 19 luglio 2021, n. 5441, in seguito alla impugnazione della delibera del Consiglio Provinciale dell’Ordine di Treviso dei Consulenti del Lavoro del 30 maggio, in quanto era stata respinta la richiesta del praticante di essere iscritto nel relativo elenco, poiché svolgente pratica presso l’appellante dottore commercialista. In particolare, secondo il ricorrente, se la legge permette al commercialista di esercitare l’attività di consulente del lavoro, deve essergli consentito anche di far svolgere presso di sé l’attività di praticantato per l’accesso alla professione, avendone le necessarie competenze.
Tuttavia, il Consiglio di Stato precisa che:
– l’appello si fonda su una lettura inattuale e superata della disciplina legislativa, in quanto non tiene conto delle novità normative in materia di professioni regolamentate, introdotte dal D.L. n. 138 del 13 agosto 2011 (convertito in Legge n. 148 del 14 settembre 2011) e dal suo regolamento attuativo, emanato con D.P.R. n. 137, il 7 agosto 2012, recante la riforma degli ordinamenti professionali;
– in particolare, l’art. 3, co. 5, lett. c), D.L. n. 138/2011 stabilisce che: “La disciplina del tirocinio per l’accesso alla professione deve conformarsi a criteri che garantiscano l’effettivo svolgimento dell’attività formativa e il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione”; l’art. 6, co. 3, D.P.R. n. 137/2012, prevede poi che – nell’ambito del tirocinio per l’accesso professionale – “il professionista affidatario … è tenuto ad assicurare che il tirocinio si svolga in modo funzionale alla sua finalità”; ed il successivo co. 8, dispone che “i praticanti osservano gli stessi doveri e norme deontologiche dei professionisti e sono soggetti al medesimo potere disciplinare”.
Per il Consiglio di Stato, la disciplina richiamata ha dunque previsto “un sistema di norme diretto a garantire il proficuo svolgimento del periodo di tirocinio professionale, responsabilizzando, anche sul piano disciplinare, sia il professionista affidatario che il praticante, ed affidando specifici poteri di vigilanza e disciplinari agli organismi territoriali degli ordini professionali. Dal combinato disposto delle norme sopra richiamate si evince, quindi, che “l’effettivo svolgimento dell’attività formativa” del tirocinio professionale, nelle modalità concrete declinate nel regolamento professionale relativo alla professione che il tirocinante intende svolgere, costituisce dovere deontologico sia del tirocinante, sia del professionista affidatario, entrambi soggetti al medesimo potere disciplinare degli organi territoriali e nazionali competenti”.
Si tratta di un sistema che presuppone l’appartenenza del professionista “dante pratica” al medesimo ordine professionale al quale l’aspirante consulente del lavoro intende iscriversi (dopo il superamento dell’esame).
Con particolare riferimento all’art. 6, co.3, D.P.R. n. 137/2012, si rileva che la disposizione dispone che il professionista non possa assumere più di tre praticanti contemporaneamente, “salva la motivata autorizzazione rilasciata dal competente consiglio territoriale sulla base di criteri concernenti l’attività professionale del richiedente e l’organizzazione della stessa, stabilito con regolamento del consiglio nazionale dell’ordine o del collegio, previo parere vincolante del ministro vigilante”.
In tale disposizione non si specifica quale sia l’ordine professionale. Tuttavia, laddove si esaminino il co. 2 ed il co. 3 dello stesso art. 6, secondo cui “presso il consiglio dell’ordine o del collegio territoriale è tenuto il registro dei praticanti” (co. 2) e “il professionista affidatario deve avere almeno cinque anni di anzianità di iscrizione all’albo” (co.3) risulta evidente, secondo i giudici, che la mancata precisazione dello specifico “ordine professionale” e dello specifico “albo” è dovuta alla circostanza che “è assolutamente chiaro, tanto da essere implicitamente ricavabile dal sistema di norme, che il consiglio competente a tenere il registro dei praticanti e l’albo di iscrizione del professionista affidatario non possano che essere gli stessi della professione relativa alla quale viene svolto il tirocinio”.