Il datore di lavoro, in virtù del principio di correttezza e buona fede, non può ricorrere al trasferimento del lavoratore se le ragioni che lo sostengono possono essere soddisfatte in un altro modo equivalente.
Nota a Cass. 6 luglio 2021, n. 19143
Pamela Coti
Il datore di lavoro, qualora possa far fronte alle ragioni poste alla base del trasferimento, avvalendosi di differenti soluzioni organizzative, per lui paritarie, è tenuto a preferire quella meno gravosa per il lavoratore, soprattutto nel caso in cui questi deduca e dimostri la sussistenza di serie ragioni familiari ostative al trasferimento.
Questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione 6 luglio 2021, n. 19143 in relazione all’accertamento della illegittimità del trasferimento di un lavoratore.
Al riguardo, i Supremi Giudici hanno precisato che:
- sebbene il provvedimento di trasferimento non sia soggetto ad alcun onere di forma e non debba contenere l’indicazione dei motivi, né il datore di lavoro abbia l’obbligo di rispondere al lavoratore che li richieda, ove sia contestata la legittimità, il datore di lavoro ha l’onere di allegare e di provare in giudizio le fondate ragioni che lo hanno determinato;
- il controllo giudiziale è circoscritto all’accertamento del nesso di casualità tra il provvedimento di trasferimento e le ragioni poste a fondamento della scelta imprenditoriale, senza che sia sindacabile il merito di tale scelta, al fine di valutarne l’idoneità o inevitabilità;
- la comunicazione del trasferimento del lavoratore, come pure la richiesta dei motivi e la relativa risposta, non sono soggetti ad alcun onere di forma, salvo che sia contestata la legittimità del trasferimento.
Alla luce delle considerazioni esposte, la Corte ha accolto il ricorso del lavoratore e ha cassato la sentenza impugnata.