Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 agosto 2021, n. 22998
Tributi, IRPEF, Redditi di lavoro dipendente,
Determinazione, Stock option, Rivendita delle azioni opzionate, Plusvalenza
– Imputazione temporale e tassazione, Applicazione disciplina riformulata dal
Decreto Legge 3 ottobre 2006, n. 262
Rilevato che
Il contribuente F.A., dipendente di A. SPA, ha
chiesto il rimborso delle maggiori imposte corrisposte sulla realizzazione di
diritti di opzione per l’acquisto di azioni della controllante A.I. I SA,
società di diritto lussemburghese non quotata in borsa, diritti assegnatigli
nel 2004 e, previa rivalutazione nell’anno 2005 a termini dell’art. 11
-quaterdecies, comma 4, d.l. 30 settembre 2005, n. 203, esercitati in data 15
dicembre 2006, con contestuale rivendita delle azioni. Il contribuente ha
contestato l’applicazione della ritenuta IRPEF meno favorevole, applicata
dall’Ufficio sulla differenza tra il prezzo di esercizio del diritto di opzione
e il prezzo di rivendita, ritenendo non applicabile la disposizione di cui
all’art. 51, comma 2, lett. g-bis d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) come
riformulata dal d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, sul presupposto dell’applicabilità
della precedente e più favorevole disciplina vigente al momento dell’assegnazione
(2004); ha, quindi, chiesto applicarsi la minor imposta sostitutiva del 12,50%
sulla plusvalenza tra prezzo di vendita e prezzo di esercizio delle opzioni,
nonché ha chiesto tenersi conto della rivalutazione medio tempore operata.
La CTP di Torino ha rigettato il ricorso e la CTR
del Piemonte, con sentenza in data 9 novembre 2011, ha parzialmente accolto
l’appello del contribuente. La CTR ha ritenuto che, in caso di diritti di
opzione attribuiti a dipendenti, il momento impositivo per il datore di lavoro
si verifica all’atto dell’esercizio del diritto di opzione. La CTR ha, poi,
ritenuto che la fase successiva di vendita a terzi delle azioni non attiene al
rapporto di lavoro; ha, pertanto, concluso che la vendita delle azioni va
assoggettata a tassazione quale operazione finanziaria, tassandosi la
plusvalenza determinata dalla differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di
realizzo, previa valorizzazione della rivalutazione del diritto di opzione
sulla base della perizia effettuata dal contribuente.
Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a
due motivi, cui resiste con controricorso il contribuente, che propone a sua
volta ricorso incidentale affidato a un unico motivo e ulteriormente illustrato
da memoria, ricorso incidentale al quale resiste con controricorso l’Agenzia
ricorrente.
Considerato che
1.1. Con il primo motivo di ricorso principale si
deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.,
violazione dell’art. 51, comma 2, lett. g-bis TUIR, nella parte in cui la CTR
ha ritenuto che la fase successiva di rivendita a terzi delle azioni per la
quale sia stata esercitata l’opzione non attiene al rapporto di lavoro, con
conseguente assoggettamento a tassazione come operazione finanziaria e non
quale compenso per l’attività lavorativa svolta.
Deduce il ricorrente principale che la scissione
dell’esercizio del diritto di opzione – all’atto dell’acquisto delle stesse –
dalla fase di rivendita a terzi delle azioni acquistate non trova riscontro
nella norma di legge invocata; evidenzia come il beneficio riconosciuto al
dipendente contribuente, in forza dello svolgimento dell’attività lavorativa, è
quello di lucrare l’eventuale plusvalenza tra la sottoscrizione del diritto di
opzione e il prospettato maggior valore del prezzo di mercato delle stesse
all’atto dell’esercizio del diritto di opzione; pertanto, prosegue il
ricorrente, il reddito da assoggettare a tassazione è dato non dall’acquisto
delle azioni (e, quindi, dal mero esercizio del diritto di opzione), bensì dalla
cessione sul mercato delle azioni opzionate.
1.2. Con il secondo motivo del ricorso principale si
deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.,
violazione dell’art. 5 I. 28 dicembre 2001, n. 448, cui rinvia l’art. 11-
quaterdecies, comma 4, d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con I. 2
luglio 2001, n. 248, nonché falsa applicazione dell’art. 81 (ora 67), primo
comma, lett. c) e c-bis) TUIR, nella parte in cui la CTR ha riconosciuto la
rivalutabilità delle stock options previo pagamento di imposta sostitutiva.
Evidenzia l’Ufficio ricorrente che il diritto di opzione non sarebbe idoneo a
generare plusvalenza in quanto, da un lato, ceduto al contribuente a titolo
gratuito e, dall’altro, non cedibile a terzi, per cui non potrebbe ragionevolmente
essere assoggettato a rivalutazione in assenza della originaria cessione
onerosa del diritto. Deduce, pertanto, il ricorrente che il reddito generato
dall’esercizio del diritto di opzione non costituirebbe reddito diverso, bensì
reddito da lavoro dipendente.
1.3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale il
contribuente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc.
civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 1 e dell’art. 3,
comma 1, I. 27 luglio 2000, n. 212, nella parte in cui la sentenza impugnata ha
ritenuto applicabile la disciplina del TUIR di cui all’art. 51, comma 2, lett.
g-bis TUIR come riformulata dal d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla
I. 2 dicembre 2005, n. 248. Evidenzia il ricorrente incidentale che, mancando
una disciplina transitoria nel d.l. n. 262/2006, la disciplina in oggetto
sarebbe applicabile con decorrenza dal periodo di imposta 2007, ossia dal primo
esercizio successivo a quello in corso all’atto dell’entrata in vigore della novella,
ciò risultando dalla disposizione di cui all’art. 3, comma 1, I. n. 212/2000,
che trova fondamento nel principio di affidamento del contribuente. Evidenzia,
ulteriormente, come le modifiche alla disciplina dei tributi periodici emanate
in corso d’anno non possono retroagire all’inizio del periodo di imposta, cosi
sancendosi il divieto di retroattività infrannuale.
2. Il ricorso incidentale, il quale assume ruolo
pregiudiziale, è infondato. Questa Corte ha ritenuto, anche in casi del tutto
in termini rispetto a quello di specie (così rigettandosi le deduzioni
contenute dal contribuente in memoria), che «in tema di determinazione del
reddito da lavoro dipendente, la disposizione agevolativa che esclude
l’imputazione della plusvalenza per le cd. stock options ai sensi dell’art. 51,
comma 2, lett. g-bis), del d.P.R. n. 917/1986, nella formulazione introdotta
dal d.l. n. 262/2006, non soggiace all’applicazione dell’art. 3, comma 1, della
I. n. 212/2000, relativo ai soli tributi periodici destinati a durare nel
tempo, avendo la novella inciso meramente sulle condizioni aI verificarsi delle
quali può trovare applicazione l’imposta sostitutiva, avente natura istantanea,
sicché detta disciplina non contrasta con i principi dell’affidamento e di
certezza giuridica, dovendosi escludere che al momento dell’offerta del diritto
di opzione il contribuente potesse avere certezza che il valore delle azioni si
sarebbe incrementato e potesse, di conseguenza, fare affidamento
sull’immutabilità delle previsioni agevolative» (Cass., Sez. V, 30 dicembre 2020, n. 29891; Cass., Sez. V,
Cass., 21 gennaio 2020, n. 1238; Cass., Sez. V, 30 settembre 2019, n. 24269;
Cass., Sez. V, 1° marzo 2019, n. 6118; Cass., Sez. V, 20 giugno 2018, n. 16227;
Cass., Sez. V, 17 luglio 2018, n. 18917). Pertanto, «la disciplina applicabile
alle stock option è quella vigente alla data dell’esercizio del diritto di
opzione e non quella della loro attribuzione, senza che ciò violi il principio
del legittimo affidamento del contribuente, poiché questi, al momento
dell’offerta, non ha certezza del futuro incremento delle azioni e della
immutabilità della disciplina agevolativa» (Cass., n. 24269/2020, cit.).
3. Né può fondatamente sostenersi che ciò
comporterebbe una violazione del divieto di retroattività della norma
tributaria, poiché l’operazione alla quale consegue la tassazione non va
individuata nell’attribuzione gratuita del diritto di opzione, che non è
soggetta ad imposizione tributaria, bensì nell’effettivo esercizio del diritto
di opzione mediante l’acquisto delle azioni, che costituisce il presupposto
dell’imposizione commisurata sul prezzo delle azioni, diritto di opzione
rimesso alla libera scelta del beneficiario, secondo modalità e tempi ritenuti
opportuni dal contribuente (Cass., Sez. V, 23 dicembre 2020, n. 29343; Cass., Sez. V, 12 aprile 2017, n.
9465).
La sentenza impugnata ha, sotto tale profilo, fatto
buon governo dei suddetti principi.
4. Il primo motivo del ricorso principale è fondato.
L’attribuzione al dipendente da parte della società datrice di lavoro, a titolo
gratuito, dell’opzione di acquisto di proprie azioni (granting), da effettuare
entro una certa data (vesting), assume rilevanza fiscale solo se l’esercizio
dell’opzione al prezzo di acquisto fissato al momento della concessione
dell’opzione (exercising) risulti minore del valore dei titoli al momento
dell’acquisto, in modo tale da determinare un guadagno per il beneficiario, che
non integra una plusvalenza, ma concorre a formare il reddito di lavoro
dipendente (Cass., Sez. V, 6 febbraio 2019, in. 3458), con conseguente
«riconduzione del reddito così conseguito nel regime di tassazione ordinaria»
(Cass., Sez. V, 27 ottobre 2020, n. 23504). Sicché, deve procedersi
all’applicazione dell’aliquota prevista per il reddito ordinario prodotto, «in
ordine alla differenza del minor prezzo pagato rispetto al valore delle azioni
acquistate e poi rivendute a terzi», con conseguente erroneità della scissione
delle operazioni di esercizio dell’opzione e di rivendita in caso di operazioni
contestuali (Cass., n. 23504/2020, cit., del tutto in termini, diversamente da
quanto deduce il contribuente: «le azioni, acquistate al prezzo di valore al
momento dell’offerta della stock option -€ 74.375,00- valevano al momento della
assegnazione € 432.284,39 ed a tale prezzo sono state poi cedute
contestualmente a terzi. Dunque, non vi era plusvalenza da tassare con riguardo
alla cessione a terzi. Quello che invece andava tassato era proprio la
differenza di valore ottenuta dal contribuente nel versamento di un prezzo
inferiore – fissato al momento della offerta del diritto di opzione – al valore
che le azioni avevano al momento dell’esercizio della opzione con contestuale
rivendita a terzi»). Né ricorrono le circostanze di cui all’art. 51, comma
2-bis (esercizio dell’opzione oltre un triennio dall’attribuzione, quotazione
della società in mercati regolamentati, mantenimento di un investimento in
titoli di cui all’art. 51, comma 2-bis lett. c) per almeno cinque anni). La
sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto di operare una scissione
dell’esercizio del diritto di opzione dalla fase di rivendita a terzi delle
azioni acquisite, con conseguente assoggettamento del prezzo di rivendita
all’aliquota del 12,50%, non ha fatto buon governo di tali principi e va
cassata.
5. Il secondo motivo è parimenti fondato. In tema di
determinazione del reddito imponibile, l’art. 5 della I. n. 448/2001, – cui
rinvia l’art. 11 -quaterdecies, comma 4, d.l. n. 203/2005 – nel consentire al
contribuente la rideterminazione del valore di acquisto delle partecipazioni
(qualificate e non qualificate), previo versamento di un’imposta sostitutiva
sulla rivalutazione, disciplina le plusvalenze e minusvalenze derivanti, in
caso di cessione a titolo oneroso, da redditi diversi di natura finanziaria di
cui all’art. 81 TUIR, con la conseguenza che non è applicabile alle stock
options correlate all’imposizione di plusvalenze imputabili a redditi di lavoro
dipendente (Cass., n. 29891/2020, cit.; Cass., Sez. V, 1° marzo 2019, n. 6118),
posto che, trattandosi di tassazione ordinaria da lavoro dipendente, non può
farsi applicazione del regime di tassazione delle plusvalenze in tema di
redditi diversi, né sussistendo in tesi neanche il divieto di doppia
imposizione ex art. 163 TUIR, atteso che il contribuente potrebbe agire
comunque per il rimborso del pagamento dell’imposta sostitutiva (Cass., n.
29343/2020, cit.; Cass., Sez. V, 9 ottobre 2020, n. 21788; Cass., Sez. V, 6
ottobre 2020, n. 21404; Cass., Sez.
V, 17 gennaio 2020, n. 918; Cass., Sez. V, 23 dicembre 2019, n. 34403; Cass.,
Sez. V, 4 dicembre 2019, n. 31620; Cass., Sez. V, 30 settembre 2019, n.
24269; Cass., Sez. V, 2 luglio 2019, n. 17695; Cass., Sez. V, 1° marzo 2019, n.
6118). La sentenza impugnata, anche sotto tale profilo, non si è attenuta ai
suddetti principi e va cassata.
6. Il ricorso principale va, pertanto, accolto e va
rigettato il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va, pertanto, cassata
e, non essendo necessari ulteriori accertamento in fatto ex art. 384 cod. proc.
civ., la causa va decisa nel merito, rigettandosi l’originario ricorso del
contribuente. Le spese del doppio grado di merito sono integralmente compensate
stante l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità. Le spese del giudizio
di legittimità sono soggette a soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato per il
ricorrente incidentale.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso
incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito,
rigetta l’originario ricorso; dichiara compensate tra le parti le spese del
doppio grado del giudizio di merito; condanna il controricorrente al pagamento
delle spese processuali in favore del ricorrente che liquida in complessivi €
5.600,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti
processuali, a carico di parte ricorrente incidentale, ai sensi dell’art. 13
comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17
della I. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale,
a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.