Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 agosto 2021, n. 23418

Rapporto di lavoro, Dirigente, Patto di non concorrenza,
Mancanza della determinazione del compenso, Validità

 

Rilevato che

 

1. Il Tribunale di Milano, con la pronuncia n. 2414
del 2012, in ordine alle domande proposte da U.F. nei confronti della C. N.A.,
presso la quale svolgeva con contratto di lavoro a tempo indeterminato
dall’1.11.2005 l’attività di dirigente P.B., dichiarava la nullità del patto di
non concorrenza, condannando il ricorrente alla restituzione della somma
percepita a titolo di corrispettivo del suddetto patto; condannava, poi, la
Banca al pagamento, in favore del F., della somma lorda di euro 16.788,47 a
titolo di TFR; rigettava, nel resto, le altre domande del dipendente dirette,
in via principale e subordinata, ad accertare che tra le parti si erano
avverate le condizioni risolutive previste dalla scrittura privata datata
30.5.2008 e, per l’effetto, accertare che il rapporto di lavoro, sebbene da
considerarsi consensualmente risolto alla data del 31.3.2009, era proseguito
sino alla data del 29.9.2009, con condanna della C. N.A. al pagamento della
somma di euro 609.000,00 a titolo di incentivo all’esodo e con declaratoria che
il rapporto di lavoro svoltosi tra il 31.3.2009 ed il 29.9.2009 era un rapporto
di lavoro di fatto per il quale il dipendente era stato già retribuito. Il
Tribunale rigettava, altresì, la domanda riconvenzionale spiegata dalla Banca
finalizzata ad ottenere, in via principale, il riconoscimento della penale per
la violazione del patto di non concorrenza e la restituzione del 50% del
“forgivable loan” ricevuto e, in via subordinata, in caso di
accertata nullità del patto di non concorrenza, la restituzione degli importi
ricevuti a tale titolo.

2. La Corte di appello di Milano, con la sentenza n.
799 del 2015, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, che
confermava nel resto, decidendo sugli appelli hic et inde proposti, dichiarava
la validità del patto di non concorrenza apposto al contratto di assunzione;
dichiarava che nulla andava restituito a tale titolo da F. alla società;
condannava U.F. al pagamento della somma di euro 100.000,00 quale penale per
violazione del patto di non concorrenza e della somma di euro 82.500,00 quale
50% del “forgivable loan”, oltre accessori.

3. I giudici di seconde cure, a fondamento della
decisione, rilevavano che: a) dalla scrittura privata del 30.5.2008 emergeva
che la Banca non aveva ancora deciso in maniera definitiva di cessare
l’attività di P.B. in quanto il suo scopo primario era quello di potere cedere
entro il 30.3.2009 detto ramo di azienda; l’incentivo all’esodo era finalizzato
a garantire al lavoratore una copertura a fronte della perdita del posto di
lavoro ed era condizionato non solo alla mancata cessione del ramo di azienda
al 31.3.2009 ma, altresì, alla effettiva comunicazione, entro la stessa data,
della definitiva decisione d cessare la suddetta attività e alla sottoscrizione
di un accordo di risoluzione contrattuale; b) alla data del 30.3.2009 non si
era realizzata alcuna cessione del ramo ma non era stata neanche assunta la
decisione di cessare l’attività del P.B., che anzi, in virtù di un processo di
ristrutturazione comunicato alle OOSS, nella forma dell’off shore (che
coinvolgeva alcuni clienti del F.) avrebbe dovuto permanere nell’ambito della
Banca, come del resto avvenne ancora alla fine del 2009; c) non essendosi
verificata alcuna delle condizioni previste dalla scrittura del 30.5.2008, il
rapporto di lavoro non poteva considerarsi risolto alla data del 31.3.2009 per
cui al F., che aveva continuato a lavorare senza soluzione di continuità,
continuavano ad applicarsi le disposizioni del contratto individuale
dell’1.11.2005; d) né poteva ritenersi che la condizione della cessazione del business
entro il 31.3.2009 doveva ritenersi verificata ai sensi dell’art. 1359 cc
perché il F. non aveva provato il mancato avveramento per colpa o dolo del
debitore o per violazione dei principi di correttezza e buona fede; e) il
comportamento della Banca, circa la mancanza di spiegazioni da fornire ai
clienti in ordine al futuro della stessa, non costituiva un inadempimento così
grave da giustificare le dimissioni del F. del 22.9.2009; f) gli altri motivi
di appello del lavoratore dovevano, pertanto, ritenersi assorbiti; g) il patto
di non concorrenza, contenuto nel contratto di assunzione, non poteva
considerarsi nullo sia in ordine alla aleatorietà sia sotto il profilo della
congruità; i) vi erano i presupposti perché il lavoratore restituisse il 50%
del forgivable loan, atteso che il lavoratore non aveva comunicato la rinuncia,
contrattualmente prevista, per la seconda tranche del finanziamento di euro
165.000,00 ottenuto dalla Banca.

4. Avverso la decisione di secondo grado proponeva
ricorso per cassazione U.F. affidato a nove motivi cui resisteva con
controricorso la C. N.A.

5. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

6. Il ricorrente ha depositato memoria.

 

Considerato che

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1358 e 1359 cc in
relazione all’interpretazione della scrittura privata sottoscritta in data
30.5.2008 e della conseguente decisione circa il mancato avveramento della
condizione ivi prevista ritenuta dalla Corte di appello, non attribuibile alla
Banca (art. 360 n. 3 c.p.c.) e, pertanto, resa con statuizione in violazione
dell’art. 112 c.p.c.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e
falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cc relativamente al contenuto della
scrittura privata del 30.5.2008, in relazione all’art. 1359 cc che regola
l’avveramento della condizione, per essere pervenuta la Corte territoriale alla
conclusione di negare la sussistenza della violazione da parte della Banca del
principio fissato da tale norma anche in relazione al fatto che F. non godeva
della tutela reale di cui all’art. 18 St. Lav. e comunque in violazione del
principio di correttezza e buona fede (art. 360 n. 3 c.p.c.).

4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole
dell’omessa pronuncia sulla parte della domanda inerente alla restituzione di
somme diverse dal preavviso, pari ad euro 16.788,47, ottenuta dalla differenza
delle somme trattenute per un totale di euro 49.657,50 da cui andava sottratto
l’importo di euro 32.869,03 per il mancato preavviso.

5. Con il quarto motivo il F. lamenta che la Corte
di appello aveva errato ad escludere la nullità del patto di non concorrenza
intercorso tra le parti violando e falsamente applicando la fattispecie dell’art.
2125 cc, anche in relazione agli artt. 112 e 113 c.p.c., perché non vi era
alcuna determinazione o determinabilità del compenso per il patto e perché era
previsto un pagamento in costanza di rapporto.

6. Con il quinto motivo si eccepisce la violazione
dell’art. 112 c.p.c. per il totale mancato esame, da parte della Corte di
merito, delle domande formulate da U.F. nell’iniziale ricorso e riproposto in
sede di appello, con la richiesta di reiezione della domanda di C. in merito
alle altre cause di “nullità” del patto di non concorrenza (art. 360
co. 1 n. 4 c.p.c.).

7. Con il sesto motivo si obietta la nullità della
gravata sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in
relazione alle domande formulate in via subordinata da esso F.U., circa la
riduzione della penale (art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.) nonché la nullità, sotto il
profilo dell’anomala motivazione costituente violazione di legge
costituzionale, perché inesistente ovvero perplessa ed obiettivamente
incomprensibile (art. 360 n. 5 c.p.c.).

8. Con il settimo motivo si deduce la nullità e
comunque la erroneità della impugnata sentenza nel punto in cui ha rigettato la
domanda di riduzione della penale con violazione e falsa applicazione dell’art.
1384 cc, anche in relazione all’art. 112 c.p.c., non essendo state esaminati
tutti gli elementi che individuavano come eccessivo l’ammontare della penale
(art. 360 co. 1 nn. 3 e 4 c.p.c.).

9. Con l’ottavo motivo si sostiene la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2697 cc, in relazione all’art. 115 c.p.c, per
avere la Corte territoriale riconosciuto che la prova sulla violazione del
patto di non concorrenza costituiva onere a carico della Banca e che la Banca
avesse adempiuto a tale onere, mediante il meccanismo del principio di non contestazione
di cui all’art. 115 c.p.c.

10. Con il nono motivo si argomenta la violazione e
falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., in relazione all’omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra
le parti, per avere la Corte di appello omesso di pronunciare sulla domanda
afferente l’evidente modifica sostanziale ed anzi la soppressione (in concreto)
del Gruppo P.B., quali fatti che erano venuti a costituire ragioni essenziali
delle dimissioni e, quindi, il verificarsi della condizione prevista al n. 10
della lettera di assunzione (art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.), con specifico
riguardo al “forgivable loan”.

11. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente
perché interferenti tra loro, sono infondati.

12. Invero, con riguardo alle censure riguardanti
l’interpretazione della scrittura del 30.5.2008, deve rilevarsi che la parte,
la quale con il ricorso per cassazione intenda denunciare un errore di diritto
o un vizio di ragionamento nella interpretazione della clausola contrattuale,
non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. cod.
civ., avendo invece l’onere di specificare i canoni che, in concreto, assuma
violati, e in particolare punto ed il modo in cui il giudice di merito si sia
discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera
contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella
sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente
possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni sicché, quando di una
clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è
consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal
giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata
privilegiata l’altra (Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 27136 del 2017).

13. Orbene, nel caso in esame, il ricorrente, pur
insistendo nel sostenere l’interpretazione disattesa, non ha affatto
specificato i canoni ermeneutici che sarebbero stati violati e in che modo il
giudice di merito se ne sarebbe discostato.

14. Anzi, le doglianze presuppongono che si erano
verificate le condizioni risolutive previste nella citata scrittura privata e,
quindi, la circostanza che la società aveva deciso in maniera definitiva o di
vendere il ramo di azienda o di dismettere il settore del P.B. cessandone tutta
l’attività, non avendo alcuna rilevanza il protrarsi dell’attività lavorativa
fino al 31.3.2009.

15. Sotto questo profilo, però, i giudici di seconde
cure, interpretando la scrittura con un accertamento in fatto adeguatamente
motivato, hanno precisato che la Banca alla data del 30.8.2008 non aveva ancora
deciso in maniera definitiva di cessare l’attività del P.B. in quanto il suo
scopo primario era quello di potere cedere entro il 30.3.2009 detto ramo di
azienda, per cui l’incentivo all’esodo era finalizzato a garantire al
lavoratore una copertura a fronte della perdita del posto di lavoro ed era
condizionato non solo alla mancata cessione del ramo al 31.3.2009, ma altresì
all’effettiva comunicazione, entro la stessa data, della definitiva decisione
di cessare la suddetta attività e alla sottoscrizione di un accordo di
risoluzione consensuale; inoltre, hanno specificato che lo stesso comportamento
delle parti dimostrava che nessuna delle condizioni previste dalla scrittura
privata del 30.5.2008 si fosse realizzata per cui il rapporto di lavoro del F.
non poteva considerarsi risolto alla data del 31.3.2009 e l’attività era
proseguita senza soluzione di continuità e senza che vi fosse stata una nuova
fonte contrattuale a regolamentare il periodo successivo.

16. Le doglianze, quindi, sono infondate sia in
relazione alla ricostruzione della volontà delle parti, adeguatamente motivata
dai giudici di seconde cure, e il cui accertamento è riservato al giudice di
merito, sia perché insistono a ritenere verificate le condizioni risolutive,
quando, invece, la Corte di merito, con motivazione logica, congrua e corretta
relativamente ai criteri ermeneutici legali, ha reputato che l’attività del
business non era cessata alla data del 31.3.2009.

17. Il terzo motivo è inammissibile per difetto di
specificità.

18. Il ricorrente lamenta, infatti, un’omessa
pronuncia da parte della Corte territoriale in ordine alla restituzione, in suo
favore, della somma di euro 16.788,47 quando, invece, per tale somma vi era
stata la condanna al pagamento, in primo grado, della Banca (pag. 1 della
gravata sentenza) e sul punto non è stato specificato che vi fosse stata
impugnazione e in che termini essa eventualmente fosse stata proposta.

19. Il quarto ed il quinto motivo possono essere
scrutinati congiuntamente per connessione logico-giuridica.

20. Questa Corte, al fine di valutare la validità
del patto di non concorrenza disciplinato dall’art. 2125 cod. civ., ha
affermato che occorre osservare i seguenti criteri: a) il patto non deve
necessariamente limitarsi alle mansioni espletate dal lavoratore nel corso del
rapporto, ma può riguardare qualsiasi prestazione lavorativa che possa
competere con le attività economiche volte da datore di lavoro, da
identificarsi in relazione a ciascun mercato nelle sue oggettive strutture, ove
convergano domande e offerte di beni o servizi identici o comunque parimenti
idonei a soddisfare le esigenze della clientela del medesimo mercato; b) non
deve essere di ampiezza tale da comprimere la esplicazione della concreta
professionalità del lavoratore in termini che ne compromettano ogni
potenzialità reddituale; c) quanto al corrispettivo dovuto, il patto non deve
prevedere compensi simbolici o manifestamente iniqui o sproporzionati in
rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue
capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento
richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di
mercato (cfr. Cass. n. 9790 del 2020); d) il corrispettivo del patto di non
concorrenza può essere erogato anche in corso del rapporto di lavoro (per tutte
Cass. n. 3507 del 2001).

21. La valutazione di compatibilità del vincolo
concernente l’attività con la necessità di non compromettere la possibilità del
lavoratore di assicurarsi un guadagno idoneo alle esigenze di vita come pure la
valutazione della congruità del corrispettivo pattuito costituiscono oggetto di
apprezzamento riservato al giudice del merito, come tale insindacabile in sede
di legittimità se congruamente e logicamente motivato (Cass. n. 7835 del 2006).

22. I principi di diritto sopra esposti sono stati
applicati dalla impugnata sentenza che ha -in relazione al devolutum oggetto
del giudizio di gravame e riguardante la sola questione dell’incertezza del
corrispettivo del patto di non concorrenza, per essersi sugli altri profili
dedotti formato un giudicato interno- in primo luogo, proceduto alla
ricognizione del patto di non concorrenza, evidenziando che lo stesso prevedeva
un impegno del F., dopo la risoluzione del rapporto, a non svolgere
direttamente o per interposta persona attività o mansioni di tipo analogo a
quelle svolte in Citigroup per la durata di tre mesi in determinate ragioni del
nord e centro Italia ricevendo durante il rapporto un corrispettivo per ogni
anno di euro 10.000,00.

23. Al fine, poi, di verificare se le modalità di
determinazione del corrispettivo fossero aleatorie, ha precisato che l’importo
era facilmente determinabile ed il fatto che il compenso fosse stato previsto
in costanza di rapporto e destinato ad aumentare con la durata dello stesso,
meglio contemperava gli interessi di entrambe le parti posto che una più lunga
permanenza in un posto di lavoro specializzante poteva rendere più difficile
una nuova collocazione sul mercato e, quindi, idoneo a compensare il maggior
sacrificio rispetto ad un rapporto di breve durata.

24. In ogni caso, la Corte territoriale ha aggiunto
che la durata del vincolo era molto contenuta e riguardava una estensione
territoriale limitata solo ad alcune regioni.

25. L’esame dei giudici di seconde cure è stato,
pertanto, completo, esaustivo, logico e corretto giuridicamente, in relazione
alle doglianze rite et recte sottoposte in appello, e resiste alle critiche
sollevate dall’odierno ricorrente.

26. Il sesto ed il settimo motivo, da trattarsi
anche essi congiuntamente, non sono meritevoli di pregio.

27. E’ opportuno premettere che, in sede di
legittimità, è stato affermato che la motivazione è solo apparente, con la
conseguenza che la sentenza è nulla per error in procedendo, quando, benché
pacificamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della
decisione perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere
il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio
convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla
con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. Sez. Un. n. 22232 del 2016) oppure
allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha
tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza una approfondita loro
disamina logico-giuridica e rendendo in tal modo, impossibile ogni controllo
sulla esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017)
oppure ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo
talmente contraddittorio da non permetterla di individuarla, cioè da
riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. n. 20112 del 2009).

28. Tali carenze non sono in alcun modo
riscontrabili nella sentenza impugnata dalla quale è agevole ricostruire il
percorso logico-giuridico che ha condotto al rigetto della domanda di riduzione
della clausola penale.

29. Va precisato che l’apprezzamento in ordine alla
eccessività dell’importo fissato con la clausola penale dalle parti contraenti
per il caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, nonché alla misura
della riduzione equitativa dell’importo medesimo, rientra nel potere
discrezionale del giudice di merito, il cui giudizio è incensurabile in sede di
legittimità, se correttamente basato sulla valutazione dell’interesse del
creditore all’adempimento con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso
sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale,
indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l’entità del
danno subito (Cass. n. 7528 del 2002).

30. Nel caso in esame la Corte, dopo avere
correttamente precisato che la penale attiene esclusivamente a una
predeterminazione del danno operata dalle parti, per l’ipotesi di
inadempimento, svincolando, quindi il suo esame e la sua fondatezza da ogni
altra questione, ha in sostanza effettuato la valutazione di congruità,
desumibile dall’accertamento eseguito tra la rilevanza dell’attività del F.,
quale dirigente P.B., svolta nell’ambito della C. N.A., ed il settore di
mercato in cui operava la società, senza incorrere in alcun vizio di omessa
pronuncia perché la questione è comunque stata vagliata.

31. L’ottavo motivo presenta profili di infondatezza
e di inammissibilità.

32. E’ infondato lì dove si deduce che il principio
di non contestazione richieda una espressa istanza della parte che intenda
avvalersene.

33. Deve, infatti, evidenziarsi che la
giurisprudenza citata dal ricorrente a sostegno della propria tesi è
antecedente alla riforma di cui alla legge n. 69 del 2009 con la quale è stato
modificato l’art. 115 c.p.c., nel senso che il giudice può porre a fondamento
della decisione anche i fatti non specificamente contestati dalla parte
costituita.

34. A seguito della novella, infatti, la non
contestazione non costituisce prova legale, ma un mero elemento di prova sicché
il giudice di appello, ove nuovamente investito dell’accertamento dei medesimi
con specifico motivo di impugnazione, è chiamato a compiere una valutazione
discrezionale di tutto il materiale probatorio ritualmente acquisito, senza
essere vincolato alla condotta processuale tenuta dal convenuto in primo grado
(Cass. n. 8708 del 2017).

35. L’accertamento della sussistenza di una
contestazione, ovvero di una non contestazione, rientrando nel quadro
dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto di parte, è poi
funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di
motivazione (Cass. n. 27490 del 2019).

36. Nel caso in esame, così venendo anche ai profili
di inammissibilità delle censure perché riguardanti la valutazione del
materiale probatorio, la Corte territoriale, con argomentazioni congrue e
logicamente motivate, aderenti ai principi sopra esposti, una volta escluso che
le condizioni previste dalla scrittura privata del 30.5.2008 si fossero
realizzate, ha dato atto che non risultava contestato che il F., immediatamente
dopo avere risolto il rapporto, in violazione del patto di non concorrenza
contrattualmente stabilito, era stato assunto da un istituto concorrente per lo
svolgimento di un incarico del tutto analogo a quello svolto in C..

37. Alcuna inesatta applicazione dell’art. 115
c.p.c. è ravvisabile, trattandosi di circostanze processualmente e
pacificamente acquisite, né dell’art. 2697 cc, che si configura soltanto
nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte
diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma,
non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni
istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia
assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento
sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di
cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. n. 19064 del 2006; Cass. n. 2935 del 2006).

38. Il nono motivo è, infine, esso infondato.

39. La Corte territoriale si è pronunciata sulla
questione riguardante la denunciata modifica sostanziale ed anzi la
soppressione del Gruppo P.B., sottolineando che ciò che era cessato era stato
solo il Private Banking on shore mentre era rimasto pienamente attivo il P.B.
offshore che coinvolgeva anche i clienti seguiti dal F..

40. Analogamente, con il richiamo alle ragioni già
espresse per la penale prevista per il patto di non concorrenza, ha escluso
l’applicabilità dell’art. 10 della lettera di assunzione al “forgivabie
loan” di cui ha disposto la restituzione del residuo 50% del finanziamento
ricevuto.

41. Alcun omesso esame ovvero omessa pronuncia, da
parte dei giudici di seconde cure, è, quindi, ravvisabile su tali punti.

42. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve,
pertanto, essere rigettato.

43. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
come da dispositivo.

44. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR
n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve
provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da
dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio
di legittimità che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello
stesso art. 13, se dovuto.

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