Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 agosto 2021, n. 22834
Rapporto di lavoro, Riconoscimento dell’anzianità di servizio
conseguita presso il precedente datore, Conservazione del trattamento
economico in godimento
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Palermo, in riforma della
sentenza del Tribunale di Termini Imerese che aveva accolto i ricorsi, poi
riuniti, proposti da M.V., A.L.B., B.C. e G.A., ha rigettato le domande
proposte nei confronti del Consorzio Intercomunale Rifiuti Energia Servizi –
C., volte ad ottenere il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata
alle dipendenze dell’ente locale prima del passaggio alla società d’ambito e la
conseguente attribuzione degli aumenti periodici previsti dal CCNL
Federambiente, da calcolare a far tempo dall’anno 1995;
2. la Corte territoriale ha, in sintesi, osservato
che l’accordo quadro del 20 aprile 2004 e il coevo accordo decentrato, nel
garantire il mantenimento dell’anzianità giuridica e la conservazione del
trattamento economico in godimento, non potevano essere interpretati nei
termini sollecitati dagli appellati, ossia per conseguire un miglioramento
retributivo mediante l’applicazione retroattiva di un istituto, la progressione
economica per anzianità, non previsto dalla contrattazione dell’ente di
provenienza;
3. ha, pertanto, ritenuto che correttamente la
società cessionaria aveva garantito il livello retributivo raggiunto e
riconosciuto gli scatti di anzianità solo a partire dal periodo successivo
all’assunzione;
4. per la cassazione della sentenza hanno proposto
ricorso A.L.B. e M.V. sulla base di tre motivi, ai quali il COINRES ha
replicato con controricorso, illustrato da memoria.
Considerato che
1. con il primo motivo i ricorrenti addebitano alla
Corte territoriale il «mancato rilievo dell’inammissibilità dell’appello per
violazione dell’art. 342 c.p.c. come sostituito dall’art. 54, comma 1. L. 7
agosto 2012 n. 134…» e rilevano che il COINRES si era limitato a riproporre
le difese articolate nel primo grado di giudizio senza confutare in modo
specifico le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata;
2. con la seconda censura, intitolata «violazione
del principio tantum devolutum quantum appellatum e contraddittorietà della
motivazione», si sostiene che non poteva il giudice d’appello, in assenza di
uno specifico motivo, porre a fondamento della pronuncia un’interpretazione
dell’art. 202, comma 6, del d.lgs. n. 152/2006 e dell’art. 2112 cod. civ.
diversa da quella fornita dal Tribunale, perché sui capi non impugnati si era formato
giudicato interno;
3. il terzo motivo denuncia la violazione degli
artt. 2112 e 1362 cod. civ., della direttiva 77/187/CE, dell’accordo quadro
regionale e di quello decentrato perché ha errato la Corte territoriale nel
sostenere che la contrattazione applicata dall’ente di provenienza non
prevedesse l’istituto degli scatti di anzianità, che, invece, i ricorrenti
avevano percepito dalla data dell’assunzione ex art. 47 del d.P.R. n. 266/1987
e conservato ai sensi dell’art. 28 del CCNL 16.2.1999 con il quale era stata
operata la trasformazione degli aumenti periodici in retribuzione individuale
di anzianità;
3. il primo motivo è infondato perché, anche a voler
prescindere dall’erronea invocazione di una disposizione processuale non
applicabile alle controversie in materia di lavoro, per le quali l’appello è
disciplinato dall’art. 434 cod. proc. civ., sollecita, quanto al requisito
della specificità dei motivi, un’interpretazione dell’art. 342 cod. proc. civ.,
come riformulato dal d.l. n. 83/2012, che è stata smentita dalle Sezioni Unite
di questa Corte secondo cui «l’impugnazione deve contenere, a pena di
inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti
contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze,
affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti
le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di
particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di
decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della
permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il
quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata
» ( Cass. S.U. n. 27199/2017);
3.1. il Tribunale di Termini Imerese aveva ritenuto
fondata la domanda sul rilievo che l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ.,
richiamato dall’art. 202, comma 6, del d.lgs. n. 152/2006, comportasse «il
mantenimento dell’anzianità conseguita presso il precedente datore di lavoro e
con essa un trattamento economico e di carriera non inferiore a quello dei
colleghi con pari anzianità e qualifica dell’impresa cessionaria»;
3.2. questa argomentazione, che costituisce la ratio
decidendi della pronuncia, è stata specificamente contestata dall’appellante,
il quale nell’atto d’appello ha, in sintesi, osservato che all’esito del
trasferimento il cessionario è tenuto solo a garantire la conservazione del
livello retributivo già raggiunto, sicché il riconoscimento dell’anzianità non
può implicare il diritto alla ricostruzione della carriera, tanto più che ciò
determinerebbe la valorizzazione di periodi antecedenti alla sottoscrizione del
contratto collettivo nonché una disparità di trattamento con i lavoratori
assunti direttamente dalla società d’ambito, per i quali gli scatti di
anzianità potevano maturare solo dalla data dell’assunzione;
3.3. non è sufficiente per escludere la specificità
del motivo la circostanza che nel gravame non sia stato espressamente
richiamato l’art. 2112 cod. civ., perché la censura, nel circoscrivere con
esattezza la questione devoluta, è chiaramente volta a contestare
l’interpretazione che della norma aveva dato il giudice di prime cure;
4. parimenti infondata è la seconda censura giacché
il principio della necessaria specificità dei motivi di appello va coordinato
con quello espresso dall’art. 113 cod. proc. civ., riassunto dal brocardo iura
novit curia, e pertanto, una volta che l’impugnazione sia idonea ad introdurre
nel giudizio di appello la questi() iuris, quest’ultima può e deve essere
risolta dal giudice anche sulla base di argomenti giuridici diversi da quelli
prospettati dalle parti ( cfr. in termini Cass. 7190/2010);
4.1. né si può sostenere che si sarebbe formato
giudicato interno sull’interpretazione dell’art. 2112 cod. civ. data dal
Tribunale perché il giudicato si determina «su una statuizione minima della
sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia
decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’appello motivato con
riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la
cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo
nuovamente il potere del giudice di
riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene
ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via
implicita, dal motivo di gravame» ( Cass. n. 12202/2017);
5. quanto al merito della questione controversa la
pronuncia impugnata è conforme alla giurisprudenza ormai consolidata di questa
Corte la quale, disattendendo l’isolato precedente richiamato dal Tribunale di
Termini Imerese, ha affermato che «nel caso di trasferimento di azienda, il
riconoscimento, in favore dei lavoratori dell’azienda ceduta, dell’anzianità
maturata presso il cedente non implica che il cessionario debba corrispondere
gli scatti in riferimento a tale anzianità, ove presso il datore di lavoro
precedente non esistesse il diritto a percepire gli scatti periodici di
anzianità, essendo questi dovuti solo a partire dal periodo lavorativo regolato
dalla contrattazione applicata presso il cessionario» ( Cass. n. 14208/2013;
Cass. n. 25021/2014; Cass. n. 23618/2018; Cass. n. 32070/2019);
5.1. il richiamato orientamento è stato applicato,
in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto di causa, da Cass. n. 4681/2019
con la quale si è precisato che l’accordo decentrato del 10.12.2004 e l’accordo
quadro del 20.4.2004 non vanno oltre la previsione del mantenimento
dell’anzianità e della conservazione della posizione giuridica economica in
essere alla data del trasferimento;
5.2. si tratta di un’interpretazione pienamente
rispettosa del diritto dell’Unione perché anche la Corte di Giustizia,
nell’interpretare la direttiva 77/187/CE, ha precisato che quest’ultima ha il
solo scopo di impedire che i lavoratori coinvolti nel trasferimento non
subiscano un peggioramento retributivo sostanziale e «non può essere
validamente invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive
o di altre condizioni lavorative in occasione di un trasferimento d’impresa»
(Corte di Giustizia 6.9.2011 in causa c- 108/10, Scattolon, punto 77);
6. il ricorso non sviluppa argomenti che possano
indurre a rimeditare l’orientamento già espresso, al quale va data continuità, e,
nella parte in cui sostiene che l’anzianità dei ricorrenti era stata
valorizzata anche nell’ente di provenienza, attraverso l’istituto della
retribuzione individuale di anzianità, prospetta una questione, alla quale non
fa cenno la sentenza impugnata, che implica un accertamento di fatto quanto
all’asserita corresponsione di detto emolumento al momento del passaggio
dall’ente locale al consorzio;
6.1. trova, pertanto, applicazione il principio,
consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nel giudizio di
legittimità, qualora la sentenza impugnata non affronti il tema indicato nel
motivo, il ricorrente ha l’onere, non solo di allegare l’avvenuta deduzione
della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di
completezza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio
precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la
veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa
( cfr. fra le tante Cass. n. 32804/2019; Cass. n. 2038/2019; Cass. n.
15430/2018);
6.2. a tanto i ricorrenti non hanno provveduto
sicché la censura, in parte qua, deve essere ritenuta inammissibile;
7. in via conclusiva il ricorso deve essere
rigettato con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del
giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo;
8. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R.
n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai
fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza
delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del
contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 200,00 per
esborsi ed € 6.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese
generali del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit.
art. 13, comma 1-bis, se dovuto.