Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 agosto 2021, n. 23068
Licenziamento disciplinare, Minacce ai colleghu, Omessa
comunicazione della situazione personale dei carichi pendenti e del casellario
giudiziale, Gravità dell’addebito
Rilevato
– che, con sentenza del 6 marzo 2019, la Corte
d’Appello di Napoli confermava la decisione resa dal Tribunale di Benevento e
rigettava la domanda proposta da G.F. nei confronti di P.I. S.p.A., avente ad
oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare
intimatogli per aver costretto con minacce taluni colleghi di lavoro a
ritrattare dichiarazioni già rese durante un precedente procedimento
disciplinare e non aver comunicato all’azienda la propria situazione personale
dei carichi pendenti e del casellario giudiziale;
– che la decisione della Corte territoriale discende
dall’aver questa ritenuto sufficiente ai fini della ricorrenza della giusta
causa di licenziamento, in ragione della sua gravità, l’addebito risultato
provato all’esito dell’espletata istruttoria di aver costretto con minacce
taluni colleghi di lavoro a ritrattare dichiarazioni già rese durante un
precedente procedimento disciplinare e, su questa base, suscettibile di essere
superata l’eccezione della tardività della contestazione ritenuta fondata solo
con riguardo al secondo addebito;
– per la cassazione di tale decisione ricorre il F.,
affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, la
Società;
– che la Società controricorrente ha poi presentato
memoria;
Considerato
– che, con il primo motivo, il ricorrente, nel
denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. lamenta la
non rispondenza dell’iter valutativo seguito dalla Corte per la formazione del
giudizio in ordine alla ricorrenza della giusta causa ai criteri elaborati da
questa Corte per la formulazione di tale giudizio;
– che, con il secondo motivo, si deduce, alla
stregua degli artt. 111 Cost. e 132, comma 1, n. 4, la nullità del procedimento
e della sentenza a motivo del carattere meramente apparente della motivazione
con la quale rigetta la sollevata eccezione di tardività della contestazione
con riferimento all’addebito relativo all’intimidazione e minaccia ai colleghi;
– che, prendendo le mosse dal secondo motivo, con il
quale il ricorrente mira all’accoglimento dell’eccezione di tardività della
contestazione anche con riguardo al primo addebito, che inficerebbe ab imis la
pronuncia della Corte territoriale la quale, riconosciuta la tardività della
contestazione del secondo addebito, fonda esclusivamente sul primo la ritenuta
ricorrenza della giusta causa di recesso, ne va rilevata l’infondatezza, invero
non trova riscontro la censura sollevata dal ricorrente, per la quale la Corte
territoriale, dato conto della data del 26.9.2016 in cui la Società, su
denuncia del collega del ricorrente i poi fatto oggetto delle minacce
contemplate dal primo addebito, veniva a conoscenza dei fatti che avrebbero poi
dato luogo al procedimento a carico del ricorrente medesimo, non avrebbe
motivato sulla ritenuta tempestività dell’inoltro della relativa contestazione
solo il successivo 17.5.2017; al contrario, la Corte territoriale dà conto del
proprio pronunciamento in relazione alla necessità di avviare una verifica
interna sui fatti denunciati dal collega a carico del ricorrente ed alle
dimensioni della Società che, lungi dal potersi qualificare riferimento
meramente generico, come pretenderebbe il ricorrente, evoca chiaramente la
complessità organizzativa della Società datrice, cui evidentemente si correla
la dilatazione dei tempi di avvio e di esecuzione dell’indagine, così che la
pronunzia ben può ritenersi conforme all’orientamento consolidatosi nella
giurisprudenza di questa Corte per cui “il requisito dell’immediatezza
della contestazione va inteso in senso relativo, potendo essere compatibile,
nei limiti della regola della buona fede e della correttezza nell’attuazione
del rapporto da parte del datore di lavoro, con un intervallo di tempo più o
meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno
spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura
organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso,
restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle
circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo” (cfr.
Cass. 11.4.2017, n. 9285);
– che parimenti infondato si rivela il primo motivo,
dovendosi ritenere la piena congruità con il disposto dell’art. 2119 c.c., nei
termini in cui questa Corte ha ritenuto di delinearne il procedimento
valutativo utile per ritenerne integrati gli estremi, di un giudizio che,
muovendo dalla considerazione della condotta sotto il profilo oggettivo e
soggettivo che approda alla qualificazione della medesima come condotta intenzionale
spinta fino ai limiti della rilevanza penale e tenendo conto altresì di come
quella condotta dal secondo addebito, (pur tardivamente contestato, relativo
alla mancata comunicazione della propria posizione circa i carichi pendenti e
il casellario giudiziale) riceva un’ulteriore illuminazione, riflettendo da
parte dell’azienda l’acquisizione in quel momento della consapevolezza di una
certa dimestichezza del ricorrente con azioni penalmente perseguibili, che
certamente non si confanno, come ulteriormente motiva la Corte territoriale,
all’affidamento di posizioni di preposizione gerarchica come quella di
supervisore rivestita dal ricorrente,
perviene alla conclusione della idoneità della
condotta medesima a pregiudicare l’affidamento del datore di lavoro sull’esatto
adempimento delle prestazioni future;
– che, il ricorso va dunque rigettato;
– che le spese seguono la soccombenza e sono
liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro
200,00 per esborsi ed euro 5.200,00 per compensi, oltre spese generali al 15%
ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se dovuto.