Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 agosto 2021, n. 23538

Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato, Prova, Erogazioni periodiche di denaro, Qualifica di
“datori di lavoro non imprenditori”

 

Rilevato che

 

la Corte d’appello di Torino, con sentenza del
31.10.2012,in riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda di
R.G. volta all’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato con O.A. (dante causa degli intimati F.N.,
A.A. e V.A.) in proprio e quale fondatore dell’Associazione in epigrafe, dal
1983 e fino al febbraio 2007, e quella consequenziale di condanna al pagamento
di crediti retributivi;

escludeva la Corte territoriale, per tutto il
periodo di adesione della G. a D. (dal maggio 1983 al febbraio 2007), la
sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato; riteneva che l’attività
svolta dall’aderente, di natura essenzialmente volontaria, non avesse le
caratteristiche della subordinazione, atteso che il rapporto, nella sua genesi
e nel suo complesso, era di totale dedizione al perseguimento dei fini della
comunità ed in tale contesto l’eventuale compenso corrisposto non era che
l’adempimento di una obbligazione naturale;

la decisione della Corte di appello veniva cassata
con pronuncia nr. 7703 del 2018 che affermava
il seguente principio di diritto: «L’attività oggettivamente configurabile come
di lavoro subordinato si presume onerosa e tale presunzione è rafforzata
allorché la prestazione sia resa in favore di un’organizzazione di tendenza
religiosa o culturale a cui l’art.
4 della I. n. 108 del 1990, attribuendo la qualifica di “datori di
lavoro non imprenditori”, implicitamente riconosce la possibilità
dell’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato; la prova idonea a
superare tale presunzione, che grava su colui che contesta l’onerosità, è tanto
più rigorosa quante volte siano provate erogazioni periodiche di denaro o di
altre utilità in favore del prestatore, per le quali quest’ultimo non è tenuto
a dimostrare l’insussistenza di un titolo di altra natura, spettando all’altra
parte la prova di una “causa solvendi” diversa da quella
retributiva»;

in sede rescissoria, la Corte di appello di Torino,
con sentenza nr. 243 del 2019, ha respinto gli appelli proposti avverso la
sentenza del Tribunale di Ivrea e ha confermato la condanna dell’Associazione
al pagamento del trattamento di fine rapporto maturato sull’ammontare delle
retribuzioni complessivamente corrisposte;

la Corte di appello, in applicazione del principio
espresso dalla pronuncia rescindente, ha osservato come, a fronte
dell’accertata remunerazione della prestazione lavorativa con monete d.,
spendibili all’interno della comunità, l’Associazione non avesse fornito la
prova della natura non retributiva della dazione. La natura retributiva era
peraltro confermata dalla corresponsione delle monete con cadenza mensile e
sulla base di un ammontare orario fisso; inoltre, ricorrevano anche altri
indici sintomatici di subordinazione, sia pure nella forma attenuata per la
peculiarità del contesto comunitario nel quale si svolgeva l’attività
lavorativa e per la discrezionalità e autonomia insite nel contenuto intrinseco
delle mansioni svolte, in un primo tempo, quale insegnante e, successivamente,
in qualità di dirigente addetta alle pubbliche relazioni nazionali ed
internazionali. Specifico rilievo assumeva, però, la prova dello stabile e
continuativo inserimento, ultraventennale, della Ginevra nella struttura
organizzativa dell’associazione e l’esistenza di un potere di controllo da
parte dell’Associazione attraverso la previsione di un apparato sanzionatorio
risultante dal testo della Costituzione D., come confermato dai testi;

avverso la decisione, ha proposto ricorso per
cassazione l’Associazione Federazione D. in liquidazione, illustrato con
successiva memoria; sono rimaste intimate le parti indicate in epigrafe;

la proposta del relatore è stata comunicata alle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi
dell’art. 380 bis cod.proc.civ.;

 

Considerato che

 

con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr.4 c.p.c.- è dedotta la violazione
dell’art.112 cod.proc.civ. e dunque la nullità
della sentenza per omesso esame e statuizione, da parte della pronuncia
impugnata, del motivo di appello concernente l’eccezione di non riconducibilità
al paradigma dell’art. 2094 cod.civ. del lavoro
prestato dall’associato a favore della sua associazione, eccezione avanzata in
primo grado e già trascurata dalla decisione del Tribunale di Ivrea;

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr.3 c.p.c.- è dedotta la violazione
dell’articolo 2094 c.c:.- per avere la Corte
d’appello ricondotto le attività, latu sensu lavorative, poste in essere dalla
G. ad un parallelo, preteso rapporto di lavoro subordinato nonostante
l’esistenza tra le parti di un rapporto associativo effettivo e coerente nelle
finalità con le prestazioni rese dalla predetta G.;

i due motivi vanno congiuntamente esaminati e
presentano analoghi motivi di inammissibilità;

a tacer d’altro, tutte le censure -formulate sub
specie di violazione di legge processuale o sostanziale – si risolvono in una
critica dell’iter logico argomentativo che sorregge la decisione e involgono
questioni di fatto, sindacabili nei ristretti limiti del vizio ex art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.; nessuno dei motivi,
però, illustra, nei rigorosi termini richiesti dal vigente testo dell’art. 360 nr.5 cod. proc. civ. (applicabile alla
fattispecie), il «fatto storico», non esaminato, che abbia costituito oggetto
di discussione e che abbia carattere decisivo (Cass.,
sez.un., nr. 8053 del 2014);

è, infatti, inammissibile il ricorso per cassazione
con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in
realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da
realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un
nuovo, non consentito, terzo grado di merito (in questi sensi vedi Cass. n.
8758 del 2017);

è comunque il caso di osservare come i giudici di
merito, in ottemperanza al comando espresso dalla sentenza rescindente, abbiano
utilizzato i criteri astratti e generali indicati da questa Corte ai fini della
qualificazione, come subordinato, del rapporto di lavoro intercorso tra le
parti.

A tal fine, infatti, hanno valorizzato, in uno alla
circostanza rappresentata dal versamento di un corrispettivo mensile di importo
orario fisso, gli elementi dell’inserimento stabile della lavoratrice nella
organizzazione dell’Associazione -e, dunque, la continuità della prestazione
lavorativa- e la sussistenza di un sistema sanzionatorio;

coerentemente, uniformandosi al principio di diritto
affermato dalla Corte di legittimità nel giudizio rescindente, hanno giudicato
onerosa la prestazione lavorativa e quindi la dazione mensile del denaro di
natura retributiva, in difetto di prova di una diversa causa solvendi;

il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile;

non si provvede in merito alle spese, in assenza di
attività difensiva delle parti intimate;

sussistono, invece, i presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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