In caso di conversione di un contratto di lavoro (autonomo) a progetto in contratto di lavoro subordinato, la retribuzione può essere inferiore rispetto a quella corrisposta nel corso di pregressi contratti autonomi.
Nota a Cass. 24 agosto 2021, n. 23329
Francesco Belmonte
“Nel rapporto di lavoro che sia stato qualificato ab origine come autonomo e sia stato successivamente convertito ope iudicis in lavoro subordinato non opera il principio di irriducibilità della retribuzione, sancito dall’art. 2103 c.c.”.
È quanto enunciato dalla Corte di Cassazione 24 agosto 2021, n. 23329, in difformità da App. Venezia n. 262/2017 che aveva accolto la domanda di un lavoratore circa il pagamento di differenze retributive per il periodo in cui aveva svolto attività lavorativa presso la Fondazione Arena di Verona in esecuzione di un contratto di somministrazione, percependo una retribuzione inferiore rispetto a quella corrisposta nel corso di pregressi contratti a progetto, successivamente convertiti in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Il giudice di merito avendo accertato che la Fondazione aveva drasticamente ridotto il compenso della lavoratrice a parità di mansioni svolte rispetto al periodo precedente di svolgimento dei contratti a progetto, ha applicato il principio della irriducibilità della retribuzione e preso a comparazione il trattamento economico globale concordato dalle parti per il periodo di lavoro autonomo (convertito ope iudicis in lavoro subordinato).
Secondo la Cassazione, la Corte territoriale non si è limitata alla ”verifica del rispetto dei trattamenti minimi retributivi garantiti dal contratto collettivo in relazione alla categoria riconosciuta, ma ha esteso erroneamente al compenso pattuito dalle parti nell’ambito del lavoro autonomo criteri di erogazione della retribuzione applicabili esclusivamente al diverso schema negoziale del lavoro subordinato”.
Ed infatti, nel caso in cui, come nella specie, il compenso sia stato pattuito dalle parti – in relazione ad un rapporto di lavoro, dalle stesse considerato autonomo – ancorché ne sia stata, poi, giudizialmente accertata la natura subordinata …, il corrispettivo pattuito “s’intende destinato – per concorde volontà delle stesse parti – a compensare integralmente l’opera prestata” (Cass. n. 7172/ 1991, Cass. n. 4651/1992), non rilevando, in contrario, il sopravvenuto accertamento giudiziale della natura subordinata di quel rapporto di lavoro.
Ciò, poiché il suddetto accertamento non può influire ex post sull’ originaria intenzione delle parti di destinare il corrispettivo pattuito a compensare integralmente l’opera prestata, ma comporta unicamente “il diritto del lavoratore al trattamento economico corrispondente – articolato nelle diverse voci retributive previste dalla contrattazione collettiva (o da altra fonte)”. Stante la diversità degli schemi negoziali del lavoro subordinato e del lavoro autonomo, non si può presumere che “le parti abbiano inteso imputare a paga base per lavoro subordinato un corrispettivo pattuito per una prestazione d’opera, contestualmente, qualificata autonoma. Tale principio … e la connessa garanzia della irriducibilità della retribuzione, può essere logicamente riferito al solo caso di un accordo sulla retribuzione concluso all’interno di un rapporto di lavoro legittimo, qualificato fin dall’inizio come subordinato; rispetto al quale non può concepirsi un controllo sull’esercizio dello ius variandi del datore di lavoro rispetto alla concreta attuazione del medesimo rapporto di lavoro subordinato e all’evoluzione del trattamento economico” (v. Cass. n. 46/2017).
In un rapporto qualificato in origine come autonomo e poi convertito ope judicis in lavoro subordinato l’obbligazione retributiva è dunque regolata solo dal contratto collettivo di categoria ed il giudice è tenuto a verificare il rispetto dei minimi retributivi previsti in sede collettiva, non potendo applicare ex post – principi vigenti per il diverso schema negoziale della subordinazione.