Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 settembre 2021, n. 23890

Rapporto di lavoro, Inquadramento, Indici tipici del lavoro
giornalistico subordinato, Riconoscimento della qualifica di redattore

 

Fatti di causa

 

1. Con la pronuncia n. 468/2015 il Tribunale di
Milano ha accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro di natura
subordinata tra la R. Mediagroup spa (R.) e M.J.D., con decorrenza dal
10.6.2010 e inquadramento come redattore ordinario ai sensi del CCNL
Giornalistico e, per l’effetto, ha condannato la suddetta società a pagare, a
titolo di differenze retributive, la somma di euro 63.046,07 nonché ad
accantonare in azienda l’importo di euro 8.533,71 a titolo di TFR, oltre
accessori; ha, poi, ordinato a R. spa di riammettere J.D. nel posto di lavoro e
a corrispondergli una indennità pari ad euro 3.264,46, oltre accessori e spese
di giudizio.

2. La Corte di appello di Milano, rigettando il
gravame proposto dalla società, ha confermato la pronuncia del Tribunale.

3. A fondamento della decisione, per quello che
interessa, i giudici di seconde cure hanno rilevato che: a) non erano
applicabili, sull’eccezione di decadenza sollevata da R. spa, sia il comma 3
lett. b) sia il comma 4 lett. a) dell’art. 32 legge n. 183 del 2010, non
essendovi un atto di recesso del committente nell’ambito della serie di
contratti di collaborazione, svoltisi senza soluzione di continuità, l’ultimo
dei quali era scaduto il 31.8.2013, con relativa impugnazione stragiudiziale
dell’11.9.2013 e non vertendosi, altresì, in un rapporto regolato da contratti
a termine stipulati ai sensi degli artt. 1, 2 e 4 D.lgs. n. 368 del 2001; b)
dalle deposizioni testimoniali acquisite in primo grado erano emersi in modo
univoco gli indici tipici del lavoro giornalistico subordinato e i requisiti,
per il riconoscimento, della qualifica di redattore.

4. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso
per cassazione la R. Mediagroup spa affidato a cinque motivi, cui ha resistito
con controricorso M.J.D.

5. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni
scritte, ai sensi dell’art. 23 comma 8 bis del d.l n. 137 del 2000 coordinato
con la legge di conversione n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso.

6. Le parti hanno depositato memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 32 comma 3 lett. a) e b) della legge
n. 183 del 2010, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per avere la Corte
di merito rigettato l’eccezione di decadenza, sollevata da essa società, sul
presupposto della mancanza di un atto di recesso da parte del datore di lavoro.
Sostiene, relativamente alla ipotesi di cui alla lettera a) comma 3 della sopra
indicata disposizione, che, invece, la decadenza operasse con riguardo alla
sola fattispecie estintiva qualificata come licenziamento dall’azione
giudiziaria intrapresa dal lavoratore e, con riguardo alla ipotesi di cui alla
lettera b) comma 3, che il comportamento datoriale di non proseguire la collaborazione
alla scadenza del termine andasse ritenuto come atto di contenuto negoziale,
idoneo a far sì che il rapporto si interrompesse e tale da essere equiparato ad
un licenziamento.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e
falsa applicazione dell’art. 32 co. 4 lett. a) della legge n. 183 del 2010, ai
sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per avere la Corte territoriale
erroneamente ritenuto che, nella fattispecie, non si verteva in una ipotesi di
contratti a termine stipulati ai sensi degli artt. 1, 2 e 4 D.lgs. n. 368 del
2001, in quanto il rapporto de quo era regolato formalmente da contratti di
collaborazione autonoma e non già di lavoro subordinato a tempo determinato,
quali quelli disciplinati dal D.lgs. n. 368 del 2001. Rileva la società che, a
differenza di quanto ritenuto dai giudici di seconde cure, la disposizione di
cui all’art. 32 citato richiamava in senso ampio l’istituto del contratto di
lavoro a tempo determinato, nelle sue diverse forme, posto che il riferimento
appunto ai contratti di lavoro a termine costituiva una formulazione unitaria,
indistinta e generale, che certamente ricomprendeva tutte le ipotesi in cui
fosse stata proposta un’azione di accertamento della nullità del termine
apposto al contratto.

4. Con il terzo motivo la ricorrente eccepisce la
nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., per non essere
stata presa, dalla Corte territoriale, alcuna posizione in ordine alla
eccezione decadenziale sollevata con riguardo anche alla lett. a) del comma 3
dell’art. 32 legge n. 183 del 2010.

5. Con il quarto motivo la ricorrente si duole della
violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2697 cc e degli artt. 115,
116 e 244 c.p.c., nonché del CCNL Lavoro Giornalistico (reso efficace erga
omnes con DPR 16.1.1961 n. 153), ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per
avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale, attraverso l’esame delle
risultanze istruttorie, sussistente un rapporto di lavoro giornalistico
subordinato e per avere posto, a fondamento della decisione, deposizioni
testimoniali valutative.

6. Con il quinto motivo la società lamenta la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2697 cc e degli artt. 115,
116 e 244 ss. c.p.c., nonché degli artt. 2, 5 e 11 CCNL Lavoro Giornalistico, ai
sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere erroneamente ritenuto la Corte di
merito che le dichiarazioni fornite dai testi Matteo e Lombardo avessero
fornito la prova piena della sussistenza dei requisiti previsti per
l’attribuzione della qualifica di redattore ex CCNL Giornalisti e per avere
escluso, di contro, che in caso di accertamento della subordinazione, fosse
attribuita al giornalista la qualifica di collaboratore fisso ex art. 2 CCNL
Giornalisti.

7. I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente,
vertendo entrambi su una presunta violazione e falsa applicazione dell’art. 32,
comma 3 lett. a) e b) e comma 4 lett. a) della I. n. 183/2010.

8. Essi sono entrambi infondati.

9. Infatti, la violazione del parametro normativo
deve ritenersi insussistente, non potendosi condividere la ricostruzione della
ricorrente secondo cui la Corte territoriale avrebbe errato nell’interpretarlo
in maniera eccessivamente restrittiva e difforme dall’intenzione del
legislatore. Viene sostenuto che, sebbene il legislatore all’art. 32, comma 3
lett. a) e b) preveda la decadenza dall’impugnazione solo nell’ipotesi in cui
il datore di lavoro ponga in essere un qualsiasi atto di recesso, debba essere
ricompresa nella suddetta fattispecie legale anche il caso, oggetto del
presente giudizio, in cui il rapporto tra le parti cessi in sulla base della
scadenza del termine apposto all’ultimo contratto a progetto.

10. I Giudici di seconde cure hanno
condivisibilmente disatteso questa ricostruzione, che attuerebbe un’estensione
della decadenza prevista dall’art. 32 I. 183/2010 a fattispecie non
espressamente menzionate dal legislatore, contravvenendo al principio generale
in base al quale le norme che limitano l’esercizio di un diritto sono di
stretta interpretazione, andando ad incidere, nel caso di specie, sul diritto
d’azione, che riceve espressa tutela costituzionale nell’art. 24 (Cass. n.
32254/2019).

11. Inoltre, va sottolineato che, nell’ambito dei
criteri interpretativi della legge, un ruolo primario va accordato al criterio
letterale e, solo ove esso si riveli insufficiente ed inidoneo a pervenire ad
una ricostruzione chiara e comprensibile della disposizione normativa, sarà
ammissibile operare una sua integrazione mediante altri criteri ermeneutici,
quali quello teleologico o sistematico (Cass. n. 5128 del 2001; Cass. n. 12081
del 2003; Cass. n. 24165/2018).

12. Il medesimo iter logico-giuridico deve essere
ribadito anche in relazione alla censura veicolata con il secondo motivo, che
lamenta la violazione dell’art. 32, comma 4 lett. a), sostenendo che la Corte
territoriale ha errato nel non ricomprendere nell’ambito applicativo di questa
disposizione la fattispecie oggetto del presente giudizio, confermando quanto
statuito in merito dalla sentenza di primo grado. Ciò è stato escluso sulla
base del rilievo secondo cui la disposizione fa riferimento ai contratti di
lavoro subordinato a termine, mentre il rapporto intercorrente tra le parti del
presente giudizio è stato formalmente regolato da contratti di collaborazione a
progetto. Infatti, il legislatore ha specificato che l’alt. 32, comma 4 lett.
a) trova applicazione con riguardo non alla generica categoria dei contratti a
termine, in cui potrebbe essere astrattamente ricondotto anche quello oggetto
del presente giudizio, ma solo ai contratti a termine stipulati ai sensi degli
artt. 2 e 4 del d. Igs. n. 368/2001.

13. Né può ritenersi meritevole di accoglimento
l’ulteriore ricostruzione prospettata dalla ricorrente secondo cui la norma
dovrebbe trovare applicazione anche alle ipotesi di lavoro autonomo o
parasubordinato, qualificate solo a posteriori in sede di giudizio come
rapporti subordinati, non essendo questa interpretazione assolutamente in linea
con il tenore letterale della disposizione che, prevedendo una limitazione
temporale per l’esercizio dell’azione giudiziaria di non poco conto, tanto da
dovere ritenere che la norma oggetto di esame abbia carattere di eccezionalità,
richiede una interpretazione particolarmente rigorosa (cfr. Cass. n. 8964/2021
in motivazione).

14. Anche il terzo motivo è infondato.

15. Infatti, la censura relativa alla presunta
nullità della sentenza per omessa trattazione dell’eccezione di decadenza
prevista dall’art. 32, comma 3 lett. a) della I. n. 183/2010 è priva di
fondamento, dal momento che il rigetto della suddetta eccezione da parte della
Corte territoriale è implicitamente ricompreso nel respingimento del motivo di
appello concernente la violazione dell’art. 32, considerato che l’applicazione
di questa disposizione è subordinata all’accertamento dell’esistenza di un atto
di recesso del datore di lavoro, che nel caso di specie è ritenuto
pacificamente mancante.

16. Con il quarto ed il quinto motivo la ricorrente
contesta, da un lato, l’individuazione degli indici di subordinazione effettuata
dalla Corte di appello, che avrebbe dato eccessiva rilevanza ad elementi
trascurabili e comunque non conformi a quelli indicati dalla giurisprudenza di
questa Suprema Corte; dall’altro, l’attribuzione a J.D. della qualifica di
redattore ordinario ai sensi del CCNL Giornalisti.

17. Relativamente alla prima censura, si ritiene che
essa non possa essere accolta.

Risulta, infatti, evidente che i Giudici di seconde
cure abbiano fondato il loro convincimento, in ordine alla sussistenza di un
rapporto giornalistico di tipo subordinato, sugli indici di subordinazione
individuati dalla giurisprudenza di legittimità, che ha ormai da tempo
sottolineato il carattere peculiare della subordinazione nel settore in esame.

18. Infatti, stante la creatività, la particolare
autonomia, il carattere prettamente intellettuale che contraddistinguono la
prestazione giornalistica, la valutazione circa l’esistenza di un vincolo di
subordinazione deve essere condotta mediante modalità e criteri non del tutto
corrispondenti a quelli adottati in relazione alle altre attività lavorative,
rivelandosi opportuna la considerazione di indici complementari e sussidiari
rispetto all’eterodirezione.

19. Come ha correttamente ritenuto la Cotte
territoriale, ai fini dell’accertamento di tale vincolo, soprattutto con
riguardo alla figura del lavoratore nella attività redazionale, che interessa
il caso in esame, è decisivo il suo pieno inserimento nella attività stessa,
con utilizzazione degli strumenti di lavoro -computer e cellulari- forniti dalla
casa editrice, e con la preposizione in via stabile a settori di informazioni o
rubriche fisse, nonché l’assoggettamento del medesimo al potere decisionale e
di controllo del capo cronista che impartiva direttive (Cass. n. 22785/2013).

20. Nella fattispecie, i giudici di seconde cure
hanno sottolineato che l’istruttoria espletata aveva consentito di accertare
come J.D. operasse nell’ambito della organizzazione aziendale in modo identico
ai dipendenti, con obbligatoria presenza in redazione e quotidiana partecipazione
alle riunioni in cui venivano assegnati i temi da trattare; era, inoltre,
soggetto alle direttive e ai rimproveri del redattore capo, doveva chiedere
eventuali permessi, si avvaleva degli strumenti forniti da R. e veniva
retribuito in maniera fissa.

21. Il quinto motivo contesta l’attribuzione della
qualifica di redattore ordinario CCNL Giornalisti all’odierno controricorrente
a seguito di escussione di alcuni testi.

22. Questa doglianza presenta spiccati profili di
inammissibilità, <sostanziandosi in una contestazione della valutazione
istruttoria effettuata dalla Corte territoriale, che ha coerentemente e
adeguatamente motivato in ordine al siffatto profilo, specificando i compiti
svolti da J.D. e la coincidenza degli stessi con la qualifica espressamente
attribuitagli dalla stessa R. nel contratto di collaborazione, soprattutto con
riguardo al requisito della quotidianità della prestazione, tipica del
redattore, in contrapposizione alla semplice continuità, caratterizzante la
figura del collaboratore fisso (da ultimo Cass. n. 14913/2018).

23. Solo per completezza deve ribadirsi che la
violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura soltanto
nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una
parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella
norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle
acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte
onerata non avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un
erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di
legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 epe (Cass. n.
19064/2006; Cass. n. 2935/2006), con i relativi limiti di operatività ratione
temporis applicabili.

24. In tema, poi, di ricorso per cassazione, la
questione della violazione o falsa applicazione degli art. 115 e 116 c.p.c. non
può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal
giudice di merito, ma rispettivamente, solo allorché si alleghi che
quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti
ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali o abbia disatteso,
valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero
abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento
critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (Cass. n. 27000 del
2016; Cass. n. 13960 del 2014): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in
esame.

25. Infine, la valutazione delle risultanze delle
prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi (art. 244 c.p.c.), come la
scelta, tra le varie emergenze probatorie di quelle ritenute più idonee a
sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al
giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da
quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita
confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati
dalle parti (Cass. n. 16467 del 2017).

26. I motivi scrutinati, dunque, mirano ad una nuova
valutazione del materiale probatorio e ad una rivisitazione nel merito della
vicenda fattuale, preclusa in questa sede. Nel giudizio di Cassazione, infatti,
è sindacabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti adottati
per accertare la sussistenza del vincolo di subordinazione da applicare al caso
concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – incensurabile in tale sede
ove congruamente motivata – la relativa valutazione. (Cass. n. 227805/2013).

27. Alla stregua di quanto esposto il ricorso va
rigettato.

28. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
come da dispositivo.

29. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR
n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve
provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da
dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento, in favore del contro ricorrente, delle spese del presente giudizio
di legittimità che liquida in euro 5.250,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del
DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 settembre 2021, n. 23890
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