Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 settembre 2021, n. 24077

Rapporto di lavoro, Offerta di assunzione, Diritto,
Accertamento, Accordo sindacale, Applicabilità della clausola di garanzia

 

Fatti di causa

 

1. Con la sentenza depositata il 3.5.2012 la Corte
di appello di Ancona ha confermato la pronuncia del Tribunale di Ascoli Piceno,
n. 391/2008, con la quale era stata respinta la domanda, proposta dai
lavoratori in epigrafe indicati nei confronti della B.P.A., diretta
all’accertamento del loro diritto a ricevere una offerta di assunzione dalla
suddetta Banca ai sensi dell’art. 2 dell’accordo sindacale del 31.3.2003 con il
quale, all’atto dell’acquisto da parte di A.T. spa della S.P., era stata
assicurata ai dipendenti di quest’ultima (tra i quali gli originari ricorrenti)
l’applicazione di tutte le normative aziendali e di “quant’altro previsto
e concesso a qualsiasi titolo” presso A.T., così estendendo
l’applicabilità della clausola di garanzia invocata non solo al personale della
A.T. spa (partecipata della Banca) ma anche a quello della S.P. ivi transitato.

2. Questa Suprema Corte, con la sentenza n.
8421/2018, ha rigettato il ricorso per cassazione, articolato su due motivi,
presentato dai lavoratori.

3. Per la revocazione di tale provvedimento hanno
proposto ricorso G.R.C. e i suoi litisconsorti.

4. Ha resistito con controricorso la U.B. spa, già
B.P.A. spa.

5. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni
scritte, ai sensi dell’art. 23 comma
8 bis del d.l n. 137 del 2020 coordinato con la legge
di conversione n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso.

6. Le parti hanno depositato memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1. A fondamento del ricorso per revocazione, per
errore di fatto ex art. 391 bis e 395 n. 4 c.p.c., i ricorrenti in epigrafe indicati
deducono che la sentenza impugnata erroneamente aveva dichiarato
l’inammissibilità del primo motivo per cassazione sull’assunto che, in
violazione degli artt. 366 n. 4 e 369 n. 4 c.p.c., non erano stati allegati al
ricorso gli accordi sindacali di cui era stata denunciata l’errata
interpretazione, senza alcuna precisazione sul “se e dove” gli stessi
fossero rinvenibili nei fascicoli di parte o nel fascicolo d’ufficio richiesto.
Sostengono, infatti, che nel loro fascicolo di I grado erano contenuti i testi
di tutti e tre gli accordi sindacali del 24.3.1995, 26.1.2001 e 31.3.2003,
rispettivamente come documenti n. 1, 2 e 3, sebbene solo sul documento n. 3
fosse insorta una diversità di interpretazione tra le parti in causa, per cui
non era vero quanto affermato nel provvedimento di legittimità. Inoltre, i
ricorrenti precisano che la clausola in contestazione, precisamente l’articolo
2, era stata riportata più volte in narrativa, per cui non avrebbe avuto alcun
pregio la critica di una sua mancata indicazione nel testo del ricorso per
cassazione, in quanto era stata riprodotta testualmente. Con riguardo alla fase
rescissoria, i ricorrenti si riportano alle conclusioni già formulate nel
precedente ricorso per cassazione.

2. E’ opportuno preliminarmente precisare che, salvo
che nella ipotesi prevista dall’art. 395 n. 6
c.p.c. (dolo del giudice), secondo l’ordinamento processuale vigente non
sussiste, per i magistrati che abbiano pronunciato la sentenza impugnata per
revocazione, alcuna incompatibilità a partecipare alla decisione sulla domanda
di revocazione, trattandosi di errore percettivo e non già valutativo che, come
tale, ben può essere riparato dallo stesso giudice o collegio giudicante (Cass.
n. 23498/2017; Cass. n. 19498/2006).

3. Nel caso in esame, pertanto, non è preclusivo
all’esame del presente ricorso il fatto che due componenti della sentenza di
cui si chiede la revocazione siano anche membri dell’odierno Collegio
giudicante.

4. Inoltre, va rimarcato che questa Corte ha
ripetutamente affermato che l’errore di fatto previsto dall’art. 395 n. 4 c.p.c., idoneo a costituire motivo
di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista
obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare
o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli
atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o
documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore
meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del
giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività;
l’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e
concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di
argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per
converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali,
vertendosi, in tal caso, nella ipotesi di errore di giudizio; esso presuppone,
quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle
quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali,
sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non
di giudizio, ne consegue che non è configurabile l’errore revocatorio per vizi
della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul
piano logicogiuridico o siano frutto di un qualsiasi apprezzamento delle
risultanze processuali, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle
allegazioni delle parti, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la
sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione
(cfr. Cass 3.4.2017 n. 8615 e i precedenti richiamati).

5. In applicazione delle premesse in diritto sopra
individuate, il ricorso è infondato in quanto l’errore in tesi imputato alla
sentenza della quale è chiesta la revocazione non è riconducibile all’ipotesi
di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c., richiamato per
le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391
bis c.p.c.

6. Invero, non sussiste l’errore revocatorio in
quanto con il provvedimento impugnato la Corte di legittimità ha testualmente
affermato: <i ricorrenti non allegano al ricorso gli accordi sindacali di
cui è denunciata l’errata interpretazione né precisano se e dove gli stessi
siano rinvenibili nei fascicoli di parte prodotti o nel fascicolo di ufficio
richiesto >.

7. La circostanza corrisponde al vero perché sono
gli stessi ricorrenti a precisare che i documenti erano contenuti nel fascicolo
di primo grado e contrassegnati dai nn. 1, 2 e 3, ma non contestano che non
siano stati allegati al ricorso ovvero che sia stata precisamente indicata la
loro collocazione, come evidenziato da questa Corte.

8. Del resto, le argomentazioni esplicitate nella
sentenza di cui si chiede la revocazione sono giuridicamente conformi
all’orientamento di legittimità secondo cui, in tema di ricorso per cassazione,
l’art. 366 co. 1 n. 6 c.p.c., novellato dal D.lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere
l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi
posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede
processuale il documento risulti prodotto (Cass. Sez. Un. n. 7161/2010 e Cass.
n. 27475/2017) e, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito
dallo stesso ricorrente e si trovi nel relativo fascicolo, mediante la sua
produzione, occorre che nel ricorso si specifichi che il fascicolo sia stato
prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile, non essendo consentita in
sede di legittimità la ricerca degli atti nelle produzioni di parte onde
verificare la fondatezza del gravame (Cass. n. 24340/2018).

9. Quanto, poi, alla doglianza, anche essa contenuta
nella istanza revocatoria, relativa al fatto che comunque la clausola di cui
all’articolo 2 dell’accordo, unica ad essere oggetto del contrasto
interpretativo tra le parti, fosse stata riportata nel motivo di impugnazione,
deve ribadirsi il principio che, in tema di interpretazione di una clausola
contrattuale controversa, sola la lettura dell’intero testo contrattuale
consente una corretta comprensione della convenzione e suo tramite della comune
intenzione delle parti (ex plurimis Cass. n. 2945/2021; Cass. n. 14882/2018).

10. Ne consegue che, anche sotto tale aspetto, non è
ravvisabile alcun errore percettivo della Corte di Cassazione.

11. In conclusione, quindi, la presente domanda di
revocazione deve essere rigettata.

12. Le spese seguono la soccombenza e vanno
liquidate come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti,
analogamente come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio
che liquida in euro 5.250,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli
accessori di legge. Ai sensi dell’art.
13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto
per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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