Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 settembre 2021, n. 24078
Contratto a progetto, Proroga, Accordo di transazione,
Assunzione a tempo determinato “per nuove iniziative editoriali,
Impugnativa stragiudiziale
Fatti di causa
1. Nella gravata sentenza, in punto di fatto, si
legge che tra la R.C. S.M. spa e C.D.G. si erano succeduti, dal 15.7.2007 al
30.9.2012, rapporti di lavoro formalmente regolati sulla base di contratti a
progetto, più volte prorogati; in data 8.10.2012 era stata stipulata tra le
parti una transazione, in sede non protetta, mediante la quale il D.G.,
rilevata la cessazione dell’ultimo contratto a progetto del 30.9.2012 – aveva
dato atto di non avere nulla a pretendere a fronte del riconoscimento di un
importo pari ad euro 40.000,00 (pacificamente non corrisposto); sempre in data
8.10.2012 veniva stipulato un contratto di lavoro subordinato a tempo
determinato “per nuove iniziative editoriali” poi prorogato fino al
30.9.2013; la transazione sopra menzionata veniva impugnata dal D.G. con
lettera del 25.3.2013, pervenuta alla società il 28.3.2013; in data 23.10.2013
era stata, poi, ricevuta da R.C.S. l’impugnativa stragiudiziale dei contratti
di collaborazione e lavoro subordinato, datata 3.10.2013..
2. Il Tribunale di Milano, adito su ricorso del
lavoratore, ha accertato la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato a far data dal 15.2.2007, con inquadramento
del D.G. come praticante giornalista; ha, altresì, ordinato alla società di riammettere
il D.G. in servizio e ha condannato la R.C.S. spa a corrispondergli una
indennità pari a otto mensilità retributive, sulla base dell’importo mensile di
euro 3.476,27, oltre accessori e spese processuali.
3. La Corte di appello di Milano, con la sentenza n.
791 del 2018, ha confermato la pronuncia di primo grado.
4. A fondamento del decisum la Corte territoriale ha
ritenuto la infondatezza della eccezione di decadenza, sollevata dalla società,
con riferimento all’art. 32 co. 3 lett. b) e comma 4 lett. a) legge n. 183 del
2010; ha sottolineato che il contratto di lavoro subordinato a tempo
determinato era stato travolto dall’accertata instaurazione di un rapporto a
tempo indeterminato fin dall’origine della prima collaborazione; ha precisato
che l’acquisizione, nel corso del giudizio di primo grado, dell’avviso di
ricevimento attestante il recapito dell’impugnativa, riguardava un documento
indispensabile ai fini della decisione in quanto idoneo a comprovare la
ricezione della lettera che era stata contestata dalla società; ha rilevato,
dal contenuto della lettera, la finalità di impugnativa della transazione; ha
considerato, dalle risultanze istruttorie, dimostrata la sussistenza della
natura subordinata del rapporto intercorso tra le parti e la correttezza della
qualifica di praticante giornalista riconosciuta in prime cure.
5. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso
per cassazione la R.C.S.M. spa affidato a nove motivi, cui ha resistito con
controricorso C. D.G. che ha depositato memoria.
6. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni
scritte, ai sensi dell’art. 23 comma 8 bis del d.I n. 137 del 2000 coordinato
con la legge di conversione n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 32 comma 3 lett. a) e b) della legge
n. 183 del 2010, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte di
merito rigettato l’eccezione di decadenza, sollevata da essa società, sul
presupposto della mancanza di un atto di recesso da parte del datore di lavoro.
Sostiene, relativamente alla ipotesi di cui alla lettera a) comma 3 della sopra
indicata disposizione, che, invece, la decadenza operasse con riguardo alla
sola fattispecie estintiva qualificata come licenziamento dall’azione
giudiziaria intrapresa dal lavoratore e, con riguardo alla ipotesi di cui alla
lettera b) comma 3, che il comportamento datoriale di non proseguire la
collaborazione alla scadenza del termine andasse ritenuto come atto di
contenuto negoziale, idoneo a far sì che il rapporto si interrompesse e tale da
essere equiparato ad un licenziamento.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione e
falsa applicazione dell’art. 32 co. 4 lett. a) della legge n. 183 del 2010, ai
sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale
erroneamente ritenuto che, nella fattispecie, non si verteva in una ipotesi di
contratti a termine stipulati ai sensi degli artt. 1, 2 e 4 D.Igs. n. 368 del
2001, in quanto il rapporto de quo era regolato formalmente da contratti di
collaborazione autonoma e non già di lavoro subordinato a tempo determinato,
quali quelli disciplinati dal D.Igs. n. 368 del 2001. Rileva la società che, a differenza
di quanto ritenuto dai giudici di seconde cure, la disposizione di cui all’art.
32 citato richiamava in senso ampio l’istituto del contratto di lavoro a tempo
determinato, nelle sue diverse forme, posto che il riferimento appunto ai
contratti di lavoro a termine costituiva una formulazione unitaria, indistinta
e generale, che certamente ricomprendeva tutte le ipotesi in cui fosse stata
proposta un’azione di accertamento della nullità del termine apposto al
contratto.
4. Con il terzo motivo la ricorrente eccepisce la
nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc, per non essere stata
presa, dalla Corte territoriale, alcuna posizione in ordine alla eccezione
decadenziale sollevata con riguardo anche alla lett. a) del comma 3 dell’art. 32
legge n. 183 del 2010.
5. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2113 cc e 414 cc, ai sensi
dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale erroneamente
ritenuto che l’azione relativa al periodo ante ottobre 2012 non fosse stata
preclusa dal negozio transattivo stipulato dalla società con il D.G. in data
8.10.2012.
Rileva, in particolare, l’erroneità dell’assunto
sulla validità dell’impugnazione in quanto l’avviso di ricevimento della
impugnazione era stato tardivamente prodotto e, quindi, non vi era la prova che
la transazione fosse stata impugnata nel termine di sei mesi.
6. Con il quinto motivo la società si duole della
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 cc e 2113 cc, ai sensi dell’art.
360 co. 1 n. 3 cpc, per avere errato la Corte di merito nell’avere attribuito
alla missiva del 25.3.2013 il valore di valida impugnazione ai sensi dell’art.
2113 cc della transazione, essendo, invece, ivi contenuta solo una
“rinuncia” alla stessa.
7. Con il sesto motivo la ricorrente lamenta la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2113 cc e 112 cpc, ai sensi
dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte di appello confermato la
pronuncia di prime cure, che aveva accertato la nullità o l’annullamento della
predetta transazione pur in mancanza di una espressa domanda formulata in tali
sensi dal D.G., così incorrendo nel vizio di ultra-petizione.
8. Con il settimo motivo si obietta la violazione e
falsa applicazione degli artt. 1362 e ss cc, 2113 cc e dell’art. 112 cpc, ai
sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere errato la Corte territoriale
nella interpretazione dell’atto transattivo ritenendolo annullabile,
relativamente alla cessazione dei rapporti di collaborazione intervenuta tra le
parti, nonostante lo stesso vedesse su diritti disponibili, come tali non
impugnabili ex art. 2113 cc, affermando che l’indicazione del 30.9.2012, quale
data di cessazione del rapporto, avesse carattere meramente ricognitivo e non
già abdicativo, trattandosi della data di naturale scadenza dell’ultimo
contratto a progetto.
9. Con l’ottavo motivo si contesta la violazione e
falsa applicazione degli artt. 2094, 2697 cc e degli artt. 115, 116 e 244 cpc,
nonché del CCNL Lavoro Giornalistico (reso efficace erga omnes con DPR
16.1.1961 n. 153), ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere
erroneamente ritenuto la Corte territoriale, attraverso l’esame delle
risultanze istruttorie, sussistente un tra le parti un rapporto di lavoro
giornalistico subordinato e per avere posto, a fondamento della decisione,
deposizioni testimoniali di carattere valutativo.
10. Con il nono motivo la società lamenta la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2697 cc e degli artt. 115,
116 e 244 ss. cpc, nonché dell’art. 35 e 11 CCNL Lavoro Giornalistico, ai sensi
dell’art. 360 n. 3 cpc, per avere erroneamente ritenuto la Corte di merito che
le dichiarazioni fornite dai testi P., T. e D. avessero fornito la prova piena
della sussistenza dei requisiti previsti per l’attribuzione della qualifica di
redattore ex CCNL Giornalisti e per avere escluso, di contro, che in caso di
accertamento della subordinazione, fosse attribuita al giornalista la qualifica
di praticante giornalista ex CCNL Giornalisti.
11. I primi due motivi possono essere trattati
congiuntamente, vertendo entrambi su una presunta violazione e falsa
applicazione dell’art. 32, comma 3 lett. a) e b) e comma 4 lett. a) della I. n.
183/2010.
12. Essi sono entrambi infondati.
13. Infatti, la violazione del parametro normativo
deve ritenersi insussistente, non potendosi condividere la ricostruzione della
ricorrente secondo cui la Corte territoriale avrebbe errato nell’interpretarlo
in maniera eccessivamente restrittiva e difforme dall’intenzione del
legislatore. Viene sostenuto che, sebbene il legislatore all’art. 32, comma 3
lett. a) e b) preveda la decadenza dall’impugnazione solo nell’ipotesi in cui
il datore di lavoro ponga in essere un qualsiasi atto di recesso, debba essere
ricompresa nella suddetta fattispecie legale anche il caso, oggetto del
presente giudizio, in cui il rapporto tra le parti cessi in sulla base della
scadenza del termine apposto all’ultimo contratto a progetto.
14. I Giudici di seconde cure hanno
condivisibilmente disatteso questa ricostruzione, che attuerebbe un’estensione
della decadenza prevista dall’art. 32 I. 183/2010 a fattispecie non
espressamente menzionate dal legislatore, contravvenendo al principio generale
in base al quale le norme che limitano l’esercizio di un diritto sono di stretta
interpretazione, andando ad incidere, nel caso di specie, sul diritto d’azione,
che riceve espressa tutela costituzionale nell’art. 24 (Cass. n. 32254/2019).
15. Inoltre, va sottolineato che, nell’ambito dei
criteri interpretativi della legge, un ruolo primario va accordato al criterio
letterale e, solo ove esso si riveli insufficiente ed inidoneo a pervenire ad
una ricostruzione chiara e comprensibile della disposizione normativa, sarà
ammissibile operare una sua integrazione mediante altri criteri ermeneutici,
quali quello teleologico o sistematico (Cass. n. 5128 del 2001; Cass. n. 12081
del 2003; Cass. n. 24165/2018).
16. Il medesimo iter logico-giuridico deve essere
ribadito anche in relazione alla censura
veicolata con il secondo motivo, che lamenta la violazione dell’art. 32, comma
4 lett. a), sostenendo che la Corte territoriale ha errato nel non
ricomprendere nell’ambito applicativo di questa disposizione la fattispecie
oggetto del presente giudizio, confermando quanto statuito in merito dalla sentenza
di primo grado. Ciò è stato escluso sulla base del rilievo secondo cui la
disposizione fa riferimento ai contratti di lavoro subordinato a termine,
mentre il rapporto intercorrente tra le parti del presente giudizio è stato
formalmente regolato da contratti di collaborazione a progetto. Infatti, il
legislatore ha specificato che l’art. 32, comma 4 lett. a) trova applicazione
con riguardo non alla generica categoria dei contratti a termine, in cui
potrebbe essere astrattamente ricondotto anche quello oggetto del presente
giudizio, ma solo ai contratti a termine stipulati ai sensi degli artt. 2 e 4
del d. Igs. n. 368/2001.
17. Né può ritenersi meritevole di accoglimento
l’ulteriore ricostruzione prospettata dalla ricorrente secondo cui la norma
dovrebbe trovare applicazione anche alle ipotesi di lavoro autonomo o
parasubordinato, qualificate solo a posteriori in sede di giudizio come
rapporti subordinati, non essendo questa interpretazione assolutamente in linea
con il tenore letterale della disposizione che, prevedendo una limitazione
temporale per l’esercizio dell’azione giudiziaria di non poco conto, tanto da
dovere ritenere che la norma oggetto di esame abbia carattere di eccezionalità,
richiede una interpretazione particolarmente rigorosa (cfr. Cass. n. 8964/2021
in motivazione).
18. Anche il terzo motivo è infondato.
19. Infatti, la censura relativa alla presunta
nullità della sentenza per omessa trattazione dell’eccezione di decadenza
prevista dall’art. 32, comma 3 lett. a) della I. n. 183/2010 è priva di
fondamento, dal momento che il rigetto della suddetta eccezione da parte della
Corte territoriale è implicitamente ricompreso nel respingimento del motivo di
appello concernente la violazione dell’art. 32, considerato che l’applicazione
di questa disposizione è subordinata all’accertamento dell’esistenza di un atto
di recesso del datore di lavoro, che nel caso di specie è ritenuto
pacificamente mancante.
20. Parimenti infondato è il quarto motivo.
21. Infatti, non può ritenersi sussistente la violazione
dell’art. 414 cpc, dal momento che la produzione ad opera del D.G. dell’avviso
di ricevimento, attestante il recapito della lettera con cui la transazione è
stata impugnata in un momento successivo rispetto alla sua costituzione in
giudizio, deve considerarsi pienamente ammissibile. Ciò sulla base del
consolidato principio secondo cui il deposito successivo di una prova
documentale è consentito ogniqualvolta la sua produzione sia necessaria alla
luce delle difese avanzate dalla controparte. Inoltre, in tal caso la prova,
oltre che essere ammissibile, avrebbe potuto essere acquisita anche d’ufficio. (Cass. n. 14820/2015; Cass. n.
10102/2015).
22. Il quinto ed il settimo motivo, da trattarsi
congiuntamente per connessione, sono inammissibili.
23. Essi si limitano a prospettare una diversa
interpretazione dell’atto unilaterale di impugnazione della transazione e della
transazione stessa, rispetto alla ricostruzione proposta dalla Corte
territoriale, ma non evidenziano in maniera puntuale e specifica quali siano i
criteri ermeneutici violati in concreto.
24. Risulta, dunque, manifesto che le censure,
nonostante siano formulate in termini di violazione di legge, mirino ad una
rivisitazione nel merito della vicenda fattuale, preclusa in sede di
legittimità.
25. Inoltre, essendo i criteri ermeneutici previsti
espressamente dal Codice civile in relazione ai contratti applicabili anche ai
negozi unilaterali, compatibilmente con la loro diversa struttura, può
considerarsi pienamente valido il criterio della necessaria interpretazione
complessiva dell’atto (Cass. n. 25608/2013). Pertanto, la Corte d’appello, dopo
aver compiuto un’opera ermeneutica unitaria e sistematica dell’intero atto, ha
correttamente ritenuto che quest’ultimo rappresentasse un atto di impugnazione
della transazione, avendo valorizzato le inequivoche espressioni usate dal
lavoratore in base alle quali la transazione “deve considerarsi nulla ad
ogni fine ed effetto”.
26. Più in particolare, la ricorrente censura con il
settimo motivo l’interpretazione dei Giudici di seconde cure in base alla quale
l’atto transattivo sarebbe stato annullabile in ordine alla cessazione dei
rapporti di collaborazione intervenuta tra le parti, sebbene si vedesse in
materia di diritti disponibili.
27. Tale ricostruzione è fondata su un’erronea
premessa logica, stante il fatto che nella fattispecie entrano in rilievo
diritti indisponibili e, pertanto, la transazione avrebbe potuto essere
suscettibile di annullamento.
28. Invero, rappresenta un principio consolidato
quello in base al quale non debba essere attuata un’interpretazione
eccessivamente restrittiva dei diritti indisponibili del lavoratore ex art.
2113 c.c., ritenendosi che debbano rientrare in questa categoria non solo i
diritti di natura retributiva o risarcitoria correlati alla lesione di diritti
fondamentali della persona, considerato che la ratio sottesa all’art. 2113 c.c.
consiste nella tutela del lavoratore, quale parte più debole del rapporto di
lavoro, la cui posizione viene regolata in via ordinaria attraverso norme
inderogabili, salvo che vi sia espressa previsione contraria (Cass. n. 2734 del
2004; Cass. n. 27940 del 2017).
29. Quanto, invece, alle doglianze relative alla
interpretazione del contratto, va rimarcato che, per sottrarsi al sindacato dì
legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito non deve essere
l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle
possibili, e plausibili, interpretazioni (Cass. n. 24539/2009), sicché la parte
che ha proposto una delle opzioni possibili non può contestare in sede di
giudizio di legittimità la scelta alternativa alla propria effettuata dal
giudice di merito (Cass. n. 27136/2017).
30. Da ciò
consegue che, nel caso di specie, è sicuramente annullabile, in punto di
diritto, se impugnata e in presenza dei relativi presupposti, la transazione
relativa alla cessazione dei rapporti di collaborazione.
31. Anche il sesto motivo è infondato.
32. Infatti, non è ravvisabile il vizio di
ultra-petizione lamentato dalla
ricorrente, in quanto l’annullamento della transazione costituiva il
presupposto logico-giuridico delle altre domande oggetto del ricorso (Cass. n.
482/1969 e Cass. n. 766/1966) e non rappresentava un ampliamento del petitum e
della causa petendi.
33. Nel caso di specie, dunque, la Corte
territoriale non ha pronunciato oltre i limiti e le pretese fatte valere in
giudizio dal D.G., ma si è limitata ad esaminare un profilo, quello
dell’annullabilità della transazione avente ad oggetto la cessazione dei
rapporti di collaborazione che si erano succeduti tra le parti, che risultava
preliminare ai fini del vaglio delle altre domande proposte.
34. Con i motivi otto e nove la ricorrente contesta,
da un lato, l’individuazione degli indici di subordinazione effettuata dalla
Corte di appello, che avrebbe dato eccessiva rilevanza ad elementi trascurabili
e comunque non conformi a quelli indicati dalla giurisprudenza di questa
Suprema Corte; dall’altro, l’attribuzione al D.G. della qualifica di praticante
giornalista a seguito dell’escussione di alcuni testi.
35. Relativamente alla prima censura, si ritiene che
essa non possa essere accolta. Risulta, infatti, evidente che i Giudici di
seconde cure abbiano fondato il loro convincimento, in ordine alla sussistenza
di un rapporto giornalistico di tipo subordinato, sugli indici di
subordinazione individuati dalla giurisprudenza di legittimità, che ha ormai da
tempo sottolineato il carattere peculiare della subordinazione nel settore in
esame.
36. Infatti, stante la creatività, la particolare autonomia,
il carattere prettamente intellettuale che contraddistinguono la prestazione
giornalistica, la valutazione circa l’esistenza di un vincolo di subordinazione
deve essere condotta mediante modalità e criteri non del tutto corrispondenti a
quelli adottati in relazione alle altre attività lavorative, rivelandosi
opportuna la considerazione di indici complementari e sussidiari rispetto
all’eterodirezione.
37. Come ha correttamente ritenuto la Corte
territoriale, ai fini dell’accertamento di tale vincolo, non può essere
attribuita eccessiva rilevanza alla circostanza che il giornalista non sia
tenuto al rispetto di un orario di lavoro fisso o alla permanenza sul luogo di
lavoro, ma al contrario, debbano essere presi in considerazione altri e più
appropriati elementi quali: lo stabile inserimento della prestazione resa dal
giornalista nell’organizzazione aziendale, la soddisfazione di un’esigenza
informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli su
specifici argomenti o di rubriche, la continuità della prestazione
giornalistica resa, la disponibilità del lavoratore alle esigenze e alle
richieste del datore di lavoro nell’intervallo tra una prestazione e l’altra. (Cass. n. 8068/2009; Cass. n.
10332/2012; Cass. n. 19199/2013; Cass. 22785/2013).
38. Nella fattispecie, i giudici di seconde cure
hanno sottolineato che l’istruttoria espletata aveva consentito di accertare il
continuativo inserimento organico del D.G. nell’attività aziendale, con
assoggettamento alle autorità dei superiori; in particolare, era emerso con
assoluta chiarezza che il D.G. era sottoposto a potere gerarchico dei suoi
superiori, con riguardo sia alla presenza sul posto di lavoro che alle modalità
di esecuzione delle prestazioni, sottoposte alle direttive, ai controlli e alle
correzioni dell’art director e del direttore.
39. Il nono motivo contesta l’attribuzione della
qualifica di praticante giornalista al D.G. a seguito di escussione di alcuni
testi.
40. Questa doglianza presenta spiccati profili di
inammissibilità, sostanziandosi in una contestazione della valutazione
istruttoria effettuata dalla Corte territoriale, che ha coerentemente e
adeguatamente motivato in ordine al siffatto profilo, specificando i compiti
svolti dal D.G. e la coincidenza degli stessi con la qualifica espressamente
attribuitagli dalla stessa RCS nel contratto di lavoro a tempo determinato,
senza che si fosse verificata alcuna modifica.
41. Solo per completezza deve ribadirsi che la
violazione del precetto di cui all’art. 2697 cc si configura soltanto
nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una
parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella
norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle
acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte
onerata non avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un
erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di
legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cpc (Cass. n.
19064/2006; Cass. n. 2935/2006), con i relativi limiti di operatività ratione
temporis applicabili.
42. In tema, poi, di ricorso per cassazione, la
questione della violazione o falsa applicazione degli art. 115 e 116 cpc non
può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal
giudice di merito, ma rispettivamente, solo allorché si alleghi che
quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti
ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali o abbia disatteso,
valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero
abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento
critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (Cass. n. 27000 del
2016; Cass. n. 13960 del 2014): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in
esame.
43. Infine, la valutazione delle risultanze delle
prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie
emergenze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione,
involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è
libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più
attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri
elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467
del 2017).
44. I motivi otto e nove, dunque, mirano ad una
nuova valutazione del materiale probatorio e ad una rivisitazione nel merito
della vicenda fattuale, preclusa in questa sede. Nel giudizio di Cassazione,
infatti, è sindacabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti
adottati per accertare la sussistenza del vincolo di subordinazione da
applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto –
incensurabile in tale sede ove congruamente motivata – la relativa valutazione.
(Cass. n. 227805/2013).
45. Alla stregua di quanto esposto il ricorso va
rigettato.
46. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
come da dispositivo.
47. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR
n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve
provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da
dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di
legittimità che liquida in euro 5.250,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del
DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.