Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 settembre 2021, n. 24485
Rapporto di lavoro, Indennità di vacanza contrattuale,
Pagamento, Crisi economico-finanziaria, Adempimento della obbligazione
Rilevato che
La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza resa
pubblica il 9/12/2019, in riforma della pronuncia di prime cure, accoglieva la
domanda proposta da D.D.S., E.M., G.D., C.A., M.E. nei confronti della s.p.a.
C.C., volta a conseguirne la condanna al pagamento della cd. indennità di
vacanza contrattuale relativa al contratto collettivo Case di Cura Private, per
il periodo 1/1/2006-31/8/2010.
Nel pervenire a tali conclusioni la Corte
territoriale osservava che in data 31/1/2013 presso la sede della Regione
Campania, era stato sottoscritto un verbale fra l’AIOP (Associazione Italiana
Ospedaliera Privata) e le OO.SS nel quale l’associazione – pur riconoscendo che
la corresponsione della una tantum a copertura degli arretrati contrattuali
rappresentava un diritto inderogabile dei lavoratori – affermava che le Case di
cura associate erano ancora tenute a procrastinarne la quantificazione e
l’erogazione, a causa della crisi economico-finanziaria in cui versava il
settore.
Le parti sociali, nella opinione della Corte,
avevano riconosciuto l’an del diritto dei lavoratori definendolo come
inderogabile, ma avevano sottoposto a condizione il “quando” della
sua esecuzione, costituita da un evento futuro (superamento della crisi) e
incerto (in quanto soggetto a preliminare valutazione del debitore). Detta
condizione era definita dai giudici del gravame come meramente potestativa, il
diritto dei lavoratori al pagamento dell’emolumento essendo stato subordinato
alla manifestazione della volontà del debitore di individuare il come e il
quando dell’adempimento della obbligazione; quale corollario delle esposte
premesse, discendeva coerente, l’effetto della nullità della condizione apposta
al negozio, secondo i dettami dell’art.1355 c.c.
Il giudice del gravame, provvedeva, quindi, in
applicazione del paradigma normativo di cui all’art.
36 Cost., alla liquidazione dell’indennità rivendicata dai lavoratori
facendo applicazione dei nuovi minimi tabellari previsti in sede pattizia per
il biennio economico 2006-2007.
Avverso tale decisione interpone ricorso per
cassazione la s.p.a. C.C. sulla base di quattro motivi successivamente
illustrati da memoria ex art.378 c.p.c.
Le parti intimate non hanno svolto attività
difensiva.
Considerato che
1. Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.
in relazione all’art. 360 comma primo n.4 c.p.c.
nonché violazione e falsa applicazione dell’art.
1421 c.c. ex art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.
Si prospetta la violazione del principio di
corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato e la falsa applicazione della
disposizione codicistica in tema di rilevabilità d’ufficio della nullità del
negozio giuridico.
La questione inerente alla presunta nullità – quale
clausola meramente potestativa – del verbale di incontro fra le parti sociali
(e non di accordo) del 31/1/2013, non era stata mai formulata dai ricorrenti,
ed il giudice del gravame nel sollevarla, aveva esorbitato dai suoi poteri
cognitivi, che sono delimitati dai motivi articolati dalle parti in atto di
impugnazione. Si imputa al giudicante, di aver introdotto un nuovo tema di
indagine assolutamente estraneo alla materia del contendere così incorrendo in
un evidente error in procedendo.
2. La seconda critica attiene alla violazione e
falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c. degli artt. 24 e 111 Cost.
in relazione all’art. 360 comma primo nn. 3 e 4
c.p.c. Si ribadisce la violazione della legge processuale riconducibile al
rilievo ex officio di una questione mai sollevata dalle parti, che ridonda in
termini di nullità della sentenza, ed integra una evidente violazione del
diritto di difesa delle parti, private dell’esercizio del contraddittorio e
della possibilità di allegare fatti e formulare richieste istruttorie sulla
questione decisiva ai fini della deliberazione.
Si osserva in ogni caso che gli approdi ai quali è
pervenuta la Corte di merito si collocano al di là del solco tracciato dalla
giurisprudenza di legittimità secondo cui la condizione non può considerarsi
meramente potestativa quando l’evento dedotto in condizione sia collegato a
valutazioni di interesse e si presenti come alternativa capace di soddisfare
anche l’interesse proprio del contraente, soprattutto se la decisione sia
affidata al concorso di fattori estrinseci, pur se la relativa valutazione sia
rimessa all’esclusivo apprezzamento dell’interessato.
3. Con il terzo motivo è denunciata violazione e
falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367 e 1355 c.c.
ex art.360 comma primo n. 3 c.p.c.
Si osserva che in sede di rinnovo della parte
economica del c.c.n.I. dei dipendenti di Case di Cura private sottoscritto il
15/9/2010 prodotto nel giudizio di primo grado, le parti sociali concordavano
di demandare a livello regionale, la negoziazione per “l’eventuale una tantum”
relativa all’arco temporale 2006-2010 in coerenza con le specifiche situazioni
regionali concernenti la copertura dei costi. Nell’ottica descritta andavano
inquadrati gli incontri intervenuti fra le parti sociali (AIOP ed OO.SS. dei
lavoratori dall’altra) presso la Regione, in cui era stato convenuto
espressamente che, tenuto conto del perdurante stato di crisi del settore
Sanità in Campania, non era possibile procedere al pagamento dell’indennità una
tantum.
La situazione di crisi in cui versava la sanità privata
era un dato assolutamente oggettivo, come tale ostativo alla configurazione di
una ipotesi di condizione meramente potestativa quale quella delineata dai
giudici del gravame.
In tal senso si prospetta una violazione dei canoni
di ermeneutica contrattuale da parte del giudice del gravame, considerata
altresì la interpretazione atomistica resa in relazione ad alcune espressioni
trasfuse nel verbale di incontro, quale al “diritto inderogabile dei
lavoratori” riferito alla indennità di vacanza contrattuale.
L’erroneità del procedimento esegetico sarebbe
insita nell’aver isolato tali locuzioni da tutto il contesto, considerandola
avulsa dal tenore dell’intero verbale così vulnerando il principio di cui
all’art.1363 che governa l’esercizio della attività ermeneutica in tema.
4. Con il quarto motivo si denunzia violazione e
falsa applicazione dell’art.2099 c.c. e dell’art.36 Cost. in relazione all’art.360 comma primo n.3 c.p.c.
Si stigmatizza l’impugnata sentenza per avere
ritenuto violato il principio sancito dalla richiamata disposizione della norma
fondamentale. Si osserva per contro che secondo i dieta di questa Corte, non
esiste nel nostro ordinamento un principio di ordine pubblico che imponga il
rispetto dei minimi retributivi previsti dalla contrattazione nazionale purché,
in base ad una valutazione globale del trattamento riconosciuto al lavoratore,
venga assicurata allo stesso una retribuzione sufficiente e proporzionata; solo
ove fosse accertata la violazione del criterio di sufficienza della
retribuzione, complessivamente percepita, a sopperire i bisogni di un’esistenza
libera e dignitosa, e del criterio di proporzionalità della stessa retribuzione
alla quantità e qualità del lavoro prestato, potrebbe prospettarsi il diritto
all’adeguamento per effetto della norma costituzionale.
5. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi
per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono fondati nei
termini di seguito esposti.
Per un ordinato iter argomentativo è bene rammentare
che, secondo l’insegnamento di questa Corte, la norma dell’Accordo sul costo
del lavoro del 23 luglio 1993 costituisce la fonte di orientamento sul punto
per i contratti di settore trattandosi di un Accordo interconfederale (Cass. n. 8803 del 15 aprile 2014, n. 9066 del 18
aprile 2014, n. 9188 e n. 9189 del 23 aprile 2014, n. 9581 del 5 maggio 2014,
n. 11236 del 21 maggio 2014 e n. 14356 del 25
giugno 2014), che – come sostenuto dalla prevalente dottrina la quale lo
esclude dal novero degli atti normativi – ha natura meramente programmatica o
di indirizzo, ed è inidonea di per sé, a . conferire posizioni di diritto
soggettivo piene; esso può essere fonte di un diritto a percepire l’indennità
di vacanza contrattuale, solo se recepito dalla contrattazione collettiva
nazionale.
Non può poi trascurarsi di considerare che le parti
collettive nell’accordo di rinnovo di cui al c.c.n.I. 2010 settore della sanità
privata applicabile alla fattispecie qui scrutinata, dando atto della scadenza
del precedente al 31/12/2005, sulla premessa che il comparto versava in
situazione di crisi economico-finanziaria molto differenziata da regione a
regione, hanno demandato a tale livello locale la negoziazione per
“l’eventuale una tantum” relativa all’arco temporale 2006/2010 in
coerenza con le specifiche situazioni regionali in ordine alla copertura dei
costi.
Quale corollario della differenziata condizione di
crisi nella quale si dà atto che versino le diverse realtà regionali, le parti
sociali hanno dunque contemplato la possibilità di negoziare a livello
decentrato la corresponsione della eventuale indennità una tantum relativa al
periodo successivo alla scadenza del precedente contratto, posto che
l’attribuzione generalizzata di un emolumento a titolo di indennizzo per il
ritardo nella quantificazione delle somme corrispondenti al parziale recupero
del potere di acquisto del dipendente rispetto all’aumento del costo della vita
con riferimento al periodo di mancato rinnovo del contratto collettivo, si
sarebbe posta in evidente contrasto con le premesse dell’accordo.
Venendo, quindi, all’esame della dinamica delle
relazioni sociali sviluppatasi a livello decentrato, giova precisare che il
tradizionale sindacato di legittimità può dispiegarsi sulla interpretazione dei
relativi * atti, riguardo i vizi di motivazione della sentenza impugnata, ai
sensi dell’art.360 c. 1 n. 5 c.p.c. (nel testo
antecedente alla novella del 2012) ovvero con la denunzia di violazione delle
norme di ermeneutica dettate dagli artt. 1362 e ss
cod. civ., ai sensi della disposizione citata: sindacato ampiamente ed
ammissibilmente sollecitato sotto tale ultimo profilo, dai motivi di ricorso
per cassazione in esame, con i quali non ci si limita a contrapporre una
diversa interpretazione rispetto a quella della sentenza impugnata, ma si
prospetta, sotto molteplici profili, l’inadeguatezza della motivazione della
Corte territoriale in relazione alle norme codicistiche di ermeneutica
negoziale come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della
congruità della motivazione medesima.
Al riguardo deve considerarsi che, come è stato
anche di recente chiarito (cfr. Cass. 26/7/2019 n.20294, 28/06/2017 n.16181,
Cass. 2/07/2020 n.13595 ) nell’interpretazione del contratto il carattere
prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto in quanto
il richiamo contenuto nell’art.1362 cod.civ.
alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri
logici, teleologici e * sistematici laddove si registri, pur nella chiarezza
del testo dell’accordo, una incoerenza con indici esterni che rivelino una
diversa volontà dei contraenti. In tal caso assume valore rilevante il criterio
logico-sistematico di cui all’art. 1363 cod.civ.,
che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame
complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa,
tenendosi conto, se del caso, anche del comportamento successivo delle parti.
L’assunzione di siffatta metodologia nella
esplicazione del processo esegetico si impone ancor più nella materia
sindacale, stante la natura complessa e particolare dell'”iter”
formativo della contrattazione, la non agevole ricostruzione della comune
volontà delle parti contrattuali attraverso il mero riferimento al senso
letterale delle parole, la vastità e complessità della materia trattata in
ragione dei molteplici profili della posizione lavorativa (con ricorso a
strumenti sconosciuti alla negoziazione tra parti private, quali preamboli,
premesse, note a verbale, ecc.), il particolare linguaggio in uso nel settore
delle relazioni industriali, non necessariamente coincidente-con quello comune
(cfr. Cass. 21/5/2009 n.11834).
Nell’ottica descritta, le critiche formulate dalla
parte ricorrente con riferimento all’erroneo approccio ermeneutico seguito dal
giudice di seconda istanza, risultano pienamente fondate.
La carenza di fondo che connota la pronuncia
impugnata va infatti ravvisata nella enfatizzazione del dato letterale
concernente la definizione , resa dall’AIOP, con riferimento alla erogazione
dell’emolumento “una tantum”, quale diritto inderogabile dei
lavoratori, con cui è stato esaltato il dato meramente letterale della
espressione contenuta nelle premesse dell’incontro 31/1/2013; dato che risulta
estrapolato dal contesto articolato del verbale ed atomisticamente considerato,
in violazione dei principi cardine che governano il procedimento ermeneutico in
subiecta materia, i quali individuano proprio nella connessione fra le clausole
negoziali lo strumento elettivo per la individuazione della volontà delle parti
sociali nella complessa materia delle relazioni sindacali.
Risulta infatti non adeguatamente valorizzato il
dato obiettivo della situazione di crisi in cui versava il settore già tenuto
ben presente dalle parti sociali in sede di contrattazione a livello nazionale,
e ribadito dall’AIOP nel verbale di incontro qui scrutinato, laddove afferma
essere “naufragata l’aspettativa dell’incremento del budget 2012, così
come stabilito dall’Accordo AIOP/Regione recepito con DCA 66/2012, che avrebbe
consentito…non solo di onorare gli impegni derivanti dall’applicazione del
rinnovo contrattuale ma anche di ristabilire l’equilibrio economico delle
aziende che allo stato, vedono compromesso addirittura il mantenimento degli
impegni finanziari derivanti dall’attività ordinaria”.
La conclamata problematicità della situazione
finanziaria nella quale versava il settore sanitario privato, della quale
l’AIOP ha fornito ampia contezza e le OO.SS. rappresentative dei lavoratori
hanno preso atto, costituisce elemento ostativo alla convalida della
ricognizione svolta dai giudici di seconda istanza – nel senso del
riconoscimento, da parte dell’Organizzazione datoriale, di un diritto dei
lavoratori a percepire l’indennità una tantum.
Nella ricerca della volontà delle parti sottesa al
verbale oggetto di scrutinio la Corte distrettuale non ha proceduto ad una
corretta sussunzione della fattispecie nelle norme di riferimento che informano
e governano la corretta esecuzione del procedimento ermeneutico, mancando,
nella struttura argomentativa che innerva la pronuncia impugnata, una visione *
globale degli elementi che lo compongono e ne definiscono il contenuto,
integrante strumento ermeneutico ineludibile per la realizzazione dei fini
considerati.
Né può ritenersi estraneo a tale ambito valutativo
il comportamento concludente osservato dalle parti sociali, le quali, in
occasione dei successivi incontri in data 8 e 19 gennaio 2015, hanno preso atto
delle dichiarazioni dell’AIOP con le quali si riteneva “ancora
insostenibile non solo la discussione sulla definizione della eventuale una
tantum prevista dall’accordo nazionale sul rinnovo del c.c.n.I. ma soprattutto
il mantenimento dell’equilibro economico di tutte le aziende associate”;
si tratta di indici rilevanti nell’ambito della indagine ricostruttiva
considerata, che risultano non correttamente sottaciuti.
6. Sotto altro versante, per completezza, va
rimarcato che gli approdi ai quali sono pervenuti i giudici del gravame,
ritenendo che con detto verbale, la parte datoriale avesse sottoposto a
condizione, di natura meramente potestativa, la quantificazione e l’erogazione
dell’indennità una tantum, si collocano al di là del solco tracciato dalla
giurisprudenza di , legittimità in materia.
In base ad un orientamento privo di contrasti ed al
quale va data continuità, la condizione non può considerarsi meramente
potestativa quando l’evento dedotto in condizione sia collegato – come in
questo caso – a valutazioni di interesse – e si presenti come alternativa
capace di soddisfare anche l’interesse proprio del contraente, soprattutto se
la decisione sia affidata al concorso di fattori estrinseci, pur se la relativa
valutazione sia rimessa all’esclusivo apprezzamento dell’interessato;
“meramente potestativa” è invece la condizione quando consiste in un
fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o
apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi
razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l’assenza
di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto (vedi
Cass. 20/11/2019 n.30143, Cass. 26/8/2014 n. 18239). Per quanto sinora detto,
si tratta di paradigma normativo nel quale non è sussumibile la fattispecie
concreta qui delibata: le parti hanno inserito nell’assetto negoziale un evento
esterno al potere dispositivo delle parti, consistente nel finanziamento da
parte della Regione, circostanza non ancora verificatasi, che ben poteva
integrare i presupposti della condizione sospensiva per il pagamento
dell’ulteriore vacanza contrattuale (vedi in motivazione Cass. 21/4/2016
n.8071).
8. In definitiva le suesposte considerazioni
inducono all’accoglimento del ricorso entro i termini descritti, ritenute
assorbite le ulteriori doglianze.
La pronuncia impugnata va pertanto cassata con
rinvio alla Corte d’appello designata in dispositivo la quale, nello scrutinare
la vicenda delibata, si atterrà ai principi innanzi enunciati, provvedendo
anche in ordine alle spese inerenti al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione,
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa
composizione anche per le spese del presente giudizio di legittimità.