Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 settembre 2021, n. 24478
Contratto di agenzia, Licenziamento privo di giusta causa di
recesso, Indennità sostitutiva del preavviso, Termine, Patto di stabilità
Rilevato che
– con sentenza del 16 ottobre 2017, la Corte
d’appello di Bari, respingendo l’impugnazione di C. S.p.A., ha parzialmente
accolto l’appello incidentale proposto da B.F. e condannato la società alla
restituzione, in suo favore, della somma di euro 1.055,22 oltre interessi
legali, confermando, nel resto, la decisione del Tribunale, il quale,
dichiarato privo di giusta causa il recesso dell’agente, intimato con missiva
del 2/7/2010, aveva condannato quest’ultimo al pagamento, in favore della
preponente, dell’indennità sostitutiva del preavviso che, detratte le somme
spettanti all’agente, veniva liquidata in euro 15.749,59, oltre interessi e
rivalutazione monetaria dal dovuto al soddisfo;
– la Corte ha, poi, rigettato la domanda dell’agente
volta anch’essa ad ottenere l’indennità di preavviso, nonché l’ulteriore
domanda proposta dalla C. finalizzata ad ottenere la somma di euro 100.000,00;
– in particolare, la Corte, confermando la decisione
del primo giudice che aveva ritenuto nulla la clausola prevista dall’art. 5
all. C) del contratto di agenzia che prevedeva la corresponsione della somma di
euro 100.000.000 per il caso di violazione dell’obbligo di mantenere in essere
il contratto per un periodo non inferiore al 31/12/2011 e, quindi, a non
esercitare il recesso per qualunque causa, ha poi ritenuto fondata la censura
dell’agente relativa alla non debenza della rivalutazione monetaria, da
escludersi per i crediti del datore di lavoro;
– per la cassazione della sentenza propone ricorso
la C. S.p.A., affidandolo a tre motivi;
– resiste, con controricorso, B.F.;
– entrambe le parti hanno presentato memorie.
Considerato che
– con il primo motivo di ricorso si deduce la
violazione degli artt. 1321, 1322, 1750 e 1344 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.;
– il motivo è infondato e, pertanto, non può essere
accolto;
deve preliminarmente osservarsi, in merito all’interpretazione
offerta dal giudice di secondo grado, conformatosi sul punto a quanto ritenuto
dal primo giudice, che egli ha ritenuto applicabile alla fattispecie
l’insegnamento di questa Corte, secondo cui, in tema di contratto di agenzia,
l’art. 1750, comma quarto, cod. civ., nel porre
la regola inderogabile secondo la quale i termini di preavviso devono essere
gli stessi per le due parti del rapporto, esprime un precetto materiale che
vieta pattuizioni che alterino la parità delle parti in materia di recesso, con
la conseguenza che è nullo per frode a detto precetto (art. 1344 cod. civ.) il patto che contempli, in
aggiunta all’obbligo di pagare l’indennità di mancato preavviso, una clausola
penale a carico del solo agente che si renda inadempiente all’obbligo di dare
preavviso (Cass. n. 24274 del 14/11/2006);
– in particolare, il giudice d’appello, pur
evidenziando come la clausola che prevedeva il patto di stabilità non fosse
correlata formalmente all’obbligo di osservare il preavviso (come nel caso
esaminato in sede di legittimità), ha evidenziato che, in fatto, anche
considerato il suo rilevantissimo importo, incidesse in maniera significativa
sulla normale facoltà di recedere di una sola delle parti, limitandola
fortemente, ed eludendo, per tale via, il principio imperativo della parità
delle parti medesime nella materia del recesso;
– il giudice ha, invero, ritenuto che la pattuizione
della penale, aggiuntiva rispetto all’indennità di mancato preavviso,
contraddicesse significativamente quel principio di parità, rendendo
notevolmente più gravosa, per il solo agente, la possibilità di liberarsi dal
vincolo corrispondendo esclusivamente l’indennità di preavviso;
– inconferente deve reputarsi, a fronte di tali
osservazioni, la censura dell’attuale ricorrente circa la non sovrapponibilità
della specie con quella decisa in sede di legittimità, trattandosi nell’un caso
di liquidazione anticipata del danno derivante alla preponente dall’aver
investito in un rapporto di collaborazione che si aspettava stabile,
nell’altro, di sanzione per il mancato adempimento dell’obbligo di preavviso:
ciò che rileva, nell’iter motivazionale del giudice di secondo grado, è la
circostanza del rilevante squilibrio contrattuale fra le parti contrapposte;
– orbene, giova evidenziare che l’interpretazione
del regolamento contrattuale è attività riservata al giudice di merito,
pertanto sottratta al sindacato di legittimità salvo per il caso della
violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale, tuttavia,
non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia
scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo
negoziale, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più
interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto
l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del
fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (sul punto, ex plurimis, Cass. n.
11254 del 10/05/2018);
– nel caso di specie appare evidente come la Corte,
nel richiamare il precetto contenuto nel comma quarto dell’art. 1750 cod. civ., abbia valorizzato il
principio secondo il quale lo stesso esprime un precetto materiale che vieta
pattuizioni che alterino la parità delle parti in materia di recesso, con la
conseguenza di reputare nullo per frode alla legge ( ai sensi dell’art. 1344 cod. civ.) il patto che contempli, in
aggiunta all’obbligo di pagare l’indennità di mancato preavviso, una clausola
penale che, in quanto eccessivamente onerosa a cagione del proprio
rilevantissimo importo, incida in misura significativa sulla normale facoltà di
recedere di una delle parti, limitandola fortemente, ed eludendo, per tale via,
il principio imperativo della partità delle parti medesime nella materia del
recesso;
– sicuramente non implausibile deve reputarsi
l’interpretazione offerta dalla Corte territoriale alla luce della cospicua
onerosità della penale, atta ad indurre a reputare non libera la volontà di uno
dei contraenti, ed a determinare uno squilibrio ingente fra le posizioni delle
parti, contrario alla salvaguardia del principio di parità negoziale;
– con il secondo motivo di ricorso si censura,
sempre ai sensi degli artt. 1362, 1363 nonché 1321 e
1322 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., l’altra ratto
decidendi del giudice d’appello secondo cui l’obbligo connesso alla clausola
penale considerata doveva reputarsi strettamente correlato all’affidamento
dell’incarico aggiuntivo di G. manager per la zona di Bari e Puglia Nord,
incarico di struttura accessoria e collaterale rispetto al contratto base di
agenzia, e revocabile in qualsiasi momento da C.;
– la Corte, rilevando che il contratto base di
agenzia prevedeva, salvi i casi di cui all’allegato C (che ancora doveva essere
stipulato nei termini suddetti) che ciascuna delle parti potesse recedere del
contratto dando il preavviso, nei termini di cui all’art.
1750, comma 3° cod. civ., ha, quindi, ritenuto che, la speciale disciplina
di cui al medesimo allegato, contemplante la corresponsione della ingente somma
di euro 100.000,00 dovesse recedere, determinando la riespansione della
disciplina generale in tema di contratto di agenzia, espressamente richiamata
dal contratto – base, una volta venuto meno l’incarico di G. manager;
– il motivo è inammissibile;
– in attuazione dei principi espressi da SU n. 793
del 29/03/2013, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di
ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul
piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una
delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto
difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente
fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque
condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della
decisione stessa (sul punto, Cass. n. 11493 dell’11/05/2018);
– il terzo motivo, con cui si censura, ai sensi
dell’art. 360 comma 1, n. 5, cod. proc. civ.,
la seconda ratio decidendi per motivazione apparente, è del pari inammissibile
per le medesime considerazioni dianzi svolte;
– alla luce delle suesposte argomentazioni, il
ricorso deve essere respinto;
– le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo;
– sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato ai sensi del comma 1-quater dell’art. 13 d.P.R. n. 115 del 2002, se
dovuto.
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente
alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite,
che liquida in complessivi euro 7.2900,00 per compensi e 200,00 per esborsi,
oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.