Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 settembre 2021, n. 24701
Rapporto di lavoro, Giornalista, Redattore ordinario,
Inquadramento superiore, Onere della prova
Svolgimento di fatto
1. Con sentenza n. 531 del 7/7/2017 la Corte di
appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di
Agrigento, ha condannato S.G., dipendente della Provincia regionale di
Agrigento con mansioni di giornalista presso l’ufficio stampa dell’ente
territoriale, alla restituzione alla Provincia delle differenze retributive
sussistenti tra la qualifica di Capo redattore (indebitamente attribuita) e
quella di Redattore (corrispondente alle mansioni effettivamente svolte) per il
periodo 1/1/2005 – 31/12/2009, con interessi legali decorrenti dalla messa in
mora (17/10/2011).
2. La Corte di Appello di Palermo, per quel che
interessa, ha ritenuto, in applicazione dell’accordo collettivo regionale
24/10/2007, che il corretto inquadramento del lavoratore era quello di
Redattore ordinario, non essendo stato dimostrato lo svolgimento di alcuna
attività di coordinamento di uffici implicante l’inquadramento nella superiore
qualifica richiesta.
3. Il Libero Consorzio comunale di Agrigento (già
Provincia regionale di Agrigento) chiede la cassazione di questa sentenza affidandosi
a tre motivi.
Il G. resiste con controricorso e propone due motivi
di ricorso incidentale, uno di questi condizionato all’accoglimento del ricorso
principale. L’INPGI e l’Associazione siciliana della stampa resistono con
distinti controricorsi. Tutte le parti hanno depositato memoria.
4. Il procedimento è regolato dall’art. 23, comma
8-bis del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con
modificazioni nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, secondo cui “Per la
decisione sui ricorsi proposti per la trattazione in udienza pubblica a norma
degli articoli 374, 375, ultimo comma, e 379 del codice di procedura civile, la
corte di cassazione procede in camera di consiglio senza l’intervento del
procuratore generale e dei difensori delle parti, salvo che una delle parti o
il procuratore generale faccia richiesta di discussione orale”. Né i
difensori delle parti, né il Procuratore Generale hanno fatto richiesta di
discussione orale.
5. Il P.G. ha rassegnato le proprie conclusioni
scritte, chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi.
Motivi della decisione
1. Con i primi due motivi il Libero Consorzio
comunale ricorrente denunzia – in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’accordo
collettivo regionale di lavoro del 24.10.2007 (pubblicato sulla GURS n. 54 del
16.11.2007) nonché dell’art. 12 delle preleggi al c.c., dell’art. 1362 c.c. e
degli artt. 1, 2, comma 3, 40, 46 del d.lgs. n. 165 del 2001: la Corte
territoriale ha, correttamente, ritenuto che – a seguito della sentenza della
Corte Costituzionale n. 189/2007 che ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 58 L.r.Sicilia n. 33 del
1996, dell’art. 16, comma 2, L.r. Sicilia n. 8 del
2000, del”art. 127, comma 2, L.r.Sicilia n. 2
del 2002 tutte concernenti l’inquadramento e la retribuzione dei componenti
degli uffici stampa degli enti locali – il trattamento economico dei dipendenti
pubblici deve essere disciplinato dalla contrattazione collettiva (e non dalla
legge), ma, richiamando l’accordo collettivo stipulato il 24.10.2007 presso
l’Assessorato regionale alla Presidenza (che rinvia al contratto collettivo dei
giornalisti), ha trascurato che l’applicazione delle disposizioni in esso
contenute è subordinata – dal medesimo accordo 24.10.2007 – alla stipula di
contratti integrativi aziendali quadriennali, contratti mai sottoscritti.
L’applicazione dell’accordo regionale del 24.10.2007, che non può essere
considerato un contratto di natura integrativa, compromette, inoltre,
l’autonomia dell’ente datoriale, privando l’ente locale di avvalersi
dell’assistenza dell’ARAN.
2. Con il terzo motivo di ricorso si denunzia – in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. –
violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 9, del CCNQ 11.6.2007 e 45
d.lgs. n. 165 del 2001, dovendo applicarsi, agli addetti agli uffici stampa, il
contratto collettivo del comparto Regioni- Autonomie locali (essendo, le
Province, ricomprese in tale comparto), mentre l’accordo 24.10.2007 elude sia
la sentenza della Corte Costituzionale n. 189/2007 (che ha escluso
l’applicabilità del contratto collettivo nazionale dei giornalisti agli addetti
all’ufficio stampa degli enti locali) sia le disposizioni del T.U. n. 165 (che
ha demandato la materia ai contratti collettivi, da stipularsi secondo le procedure
previste dallo stesso T.U.).
3. Con ricorso incidentale il G. denunzia – in
relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c. – violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 36
Cost., 2126 e 2129 cod.civ.,
52 del d.lgs. n. 165 del 2001 nonché omessa insufficiente motivazione avendo,
la Corte territoriale, condannato il lavoratore alla restituzione delle somme
percepite pur avendo, lo stesso, regolarmente eseguito la prestazione,
retribuzione corrispondente alla qualità e quantità dell’attività prestata.
4. Con ricorso incidentale condizionato il G. ha
insistito nel riconoscimento della superiore qualifica dirigenziale o,
subordinatamente, D3 e nella riforma della condanna al pagamento delle
differenze retributive, in considerazione delle mansioni effettivamente svolte.
5. Il ricorso principale è inammissibile.
Invero, il ricorso, quanto al capo della sentenza
che ha ritenuto l’applicabilità del contratto regionale 24.10.2007, denuncia ex
art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione del
contratto stesso, facendo formale richiamo (solamente nella rubrica del primo
motivo) ai criteri legali di ermeneutica contrattuale (senza alcuna
precisazione, nell’ambito dei motivi, degli errori interpretativi effettuati
dal giudice di merito), sicché deve essere ritenuto inammissibile, con la
conseguenza che divengono non scrutinabili anche le ulteriori censure che
attengono alla pronuncia di mancata efficacia del contratto.
6. Nel caso di specie, tutti i motivi con i quali si
denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., sotto vari
aspetti, l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel ritenere
applicabile il contratto regionale 24.102007 sono inammissibili in quanto ai
sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001 e del richiamato art. 360 n. 3
cod. proc. civ., come modificato dal d.lgs. n. 40 del
2006, la denuncia della violazione e falsa applicazione dei contratti
collettivi di lavoro è ammessa solo con riferimento a quelli di carattere
nazionale, con la conseguenza che l’esegesi del contratto collettivo di ambito
territoriale è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di
legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica
contrattuale o per vizi della motivazione, nei limiti in cui questi rilevano
secondo la normativa processuale applicabile ratione temporis (cfr. Cass. nn. 56 e 85
del 2018 che richiamano Cass. n. 17716 del 2016, Cass.7671 del 2016, che ha
escluso l’applicabilità dell’art. 63 del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 360 n.
3 cod. proc. civ. al CCRL per il personale
dirigenziale della Regione Sardegna, Cass. n.24865 del 2005 che ha ritenuto
inapplicabile la disciplina dettata dal d.lgs. n. 165/2001 per i contratti
nazionali ai contratti stipulati dalle province e dalle Regioni a Statuto
speciale; da ultimo, cfr. Cass. n. 33399 del 2019).
In altri termini, poiché per i contratti regionali
non opera l’assimilazione sul piano processuale parti trasfusa nel negozio si
traduce in un’indagine di fatto affidata al giudice del merito e pertanto in
sede di legittimità il ricorrente per censurare validamente l’interpretazione
delle disposizioni contrattuali è tenuto ad individuare le regole legali in
tesi violate, mediante specifica indicazione delle norme e dei principi in esse
contenuti, ed a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice
di merito si sia discostato dai canoni di ermeneutica.
Il contratto regionale avrebbe dovuto essere
riprodotto nel ricorso e, inoltre, doveva essere a questo allegato, in
applicazione del principio reiteratamente affermato da questa Corte secondo cui
l’esenzione dall’onere di depositare il contratto collettivo del settore
pubblico su cui il ricorso si fonda deve intendersi limitata ai contratti
nazionali, con esclusione di quelli integrativi e/o di ambito territoriale, atteso
che questi ultimi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei
limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le
procedure negoziali che questi ultimi prevedono, se pure parametrati al
territorio nazionale in ragione dell’amministrazione interessata, hanno una
dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto e per essi non è
previsto, a differenza dei contratti collettivi nazionali, il particolare
regime di pubblicità di cui all’art. 47, ottavo comma, del d.lgs. n. 165 del
2001. (Cass. nn. 5745 del 2014, 19227 del 2011, 8231
del 2011, 28859 del 2009).
La riproduzione nel ricorso del solo comma 3 dell’
art.2 del richiamato contratto regionale 24.10.2007 non può ritenersi
sufficiente ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 2,
n. 6, e dell’ art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. c.p.c., in quanto la riproduzione parziale della clausola
contrattuale, che il ricorrente assume violata dalla Corte territoriale, non
solo è incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i criteri
di fondo dell’intervento legislativo di cui al citato D.Lgs.
n. 40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nornofilattica
della Corte di Cassazione, ma contrasta anche con i canoni di ermeneutica
contrattuale dettati dall’art. 1362 cod.civ. e sgg., e, particolare, con la regola prevista dall’art.
1363.cod.civ., atteso che la mancanza del testo integrale del contratto
collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano
disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della
questione che interessa (Cass. nn. 15495 del 2009;
27876 del 2009; 28306 del 2009; 2742 del 2010; 3459 del 2010; 3894 del 2010;
4373 del 2010; 6732 del 1010).
7. Il ricorso incidentale non è fondato.
Nell’ambito del pubblico impiego privatizzato,
questa Corte ha affermato che, in base ai principi di perequazione retributiva
– ricavabili dal combinato disposto dell’art. 3 Cost.,
comma 1, e art. 36 Cost., comma 1, e dalla normativa
in materia di pubblico impiego (D.Lgs. n. 165 del
2001, art. 45 che ha recepito il D.Lgs. n. 29 del
1993, art. 29 come sostituito dal D.Lgs. n. 546 del
1993, art. 23 – nonché di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione
pubblica (art. 97 Cost., comma 2), una eventuale
progressione economica deve tradursi nel correlato maggior valore professionale
della prestazione richiedibile, e quindi in un risultato del quale
l’amministrazione possa effettivamente valersi, il quale solo giustifica un
incremento patrimoniale (cfr. da ultimo Cass. n. 21523 del 2018).
8. Pertanto, solamente l’utilizzo delle maggiori e
più complesse capacità professionali da parte dell’ente pubblico rende
irripetibili le somme corrisposte durante il periodo di riconoscimento del
livello superiore di professionalità, e ciò in considerazione del lavoro
effettivamente prestato, in applicazione dell’art. 2126 cod.civ.
(e, tramite detta disposizione, dell’art. 36 Cost.), da reputarsi compatibile
con il regime del lavoro pubblico contrattualizzato (Cass. nn.
22287/2014, 11248/2012, 10759/2009).
9. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha
rilevato che il G. è stato, dapprima, inquadrato nel livello professionale di
Capo redattore, profilo successivamente revocato con delibera di Giunta n.
87/2009 (su impulso e direttiva della Procura della Corte dei Conti, come
espone lo stesso ricorrente in via incidentale), con conseguente inquadramento,
sin dall’origine, nel livello retributivo di Redattore, ed ha accertato che
quest’ultimo era il profilo corrispondente alle mansioni effettivamente
disimpegnate, non avendo – lo stesso – “mai svolto alcuna attività di
coordinamento di uffici, limitandosi, invece, a curare, al pari degli altri due
colleghi addetti all’ufficio stampa, l’attività informativa interna ed esterna
dell’ente, la predisposizione e l’invio alle testate giornalistiche di
comunicati stampa, la loro pubblicazione nel sito della Provincia e nelle
pagine di Televideo Rai, la realizzazione della Rivista bimestrale di
Agrigento, l’organizzazione di conferenze stampa, la documentazione
dell’attività degli organi dell’ente”, con conseguente insussistenza del
diritto a percepire la retribuzione del livello superiore.
10. La sentenza impugnata è, dunque, conforme ai
principi di diritto sopra richiamati, ai quali il Collegio intende dare
continuità, sicché non sussiste il denunciato vizio di violazione di legge, non
essendo, inoltre, pertinente il richiamo degli orientamenti di giurisprudenza
elaborati dalla giustizia amministrativa che concernono i dipendenti
disciplinati da un regime di diritto pubblico (orientamenti che, peraltro,
ribadiscono il principio della corrispondenza della retribuzione alle mansioni
effettivamente svolte).
11. il ricorso è, poi, inammissibile nella parte in
cui, seppur genericamente, censura l’accertamento di fatto inerente lo
svolgimento di mansioni riconducibili al livello superiore di professionalità
né vi è spazio per il denunciato vizio motivazionale, atteso che l’art. 360,
primo comma, n. 5 cod. proc. civ., come riformulato
dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in
legge 7 agosto 2012 n. 134 (applicabile nella fattispecie in quanto la sentenza
è stata pubblicata mediante lettura all’udienza del 4/10/2012) è invocabile
nella sola ipotesi in cui sia stato omesso l’esame «di un fatto storico, principale
o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia
carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito
diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle
previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.
proc. civ., il ricorrente deve indicare il
“fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”,
testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e
il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale
tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame
di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un
fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque
preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto
di tutte le risultanze probatorie.» ( Cass. S.U. n. 8053/2014).
12. La censura, non formulata nel rispetto delle
condizioni sopra indicate, si risolve in una critica alla valutazione delle
risultanze istruttorie e sollecita un giudizio di fatto non consentito alla
Corte di legittimità.
13. Infine, il ricorso incidentale condizionato è
assorbito, considerato il rigetto del ricorso principale.
14. In conclusione, entrambi i ricorsi vanno
rigettati e le spese di lite sono – compensate tra Libero consorzio e G.;
Libero consorzio – va condannato a rifondere le spese di lite a INPGI e
Associazione siciliana della Stampa;
15. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, principale ed incidentale, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24
dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello
– ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
La declaratoria concerne altresì il Libero Consorzio
comunale, posto che, in tema di spese processuali, gli enti territoriali (nella
specie, il Comune) non sono ammessi alla prenotazione a debito del contributo
unificato ex art. 158 del d.P.R. n. 115 del 2002,
trattandosi di tributo erariale e non locale e non essendo i detti enti
“altra amministrazione pubblica”, diversa dall’amministrazione dello
Stato, ammessa, da specifiche norme di legge, alla detta prenotazione in forza
dell’estensione operata dall’art. 3, lett. q), del citato decreto (Cass. n.
23879 del 2020).
P.Q.M.
Rigetta entrambi i ricorsi e compensa integralmente
le spese di lite tra Libero Consorzio di Agrigento e S.G.; condanna il Libero
Consorzio di Agrigento a pagare le spese del presente giudizio di legittimità a
INPGI e all’Associazione siciliana della Stampa, spese che liquida, in favore
di ciascun controricorrente, in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.250,00 per
compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.