Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 settembre 2021, n. 24950
Licenziamento, Illegittimità, Indennità di disoccupazione,
Riconoscimento, Effettivo ripristino del rapporto per effetto della reintegra
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Torino ha confermato la
sentenza del Tribunale di Pinerolo che aveva accertato il diritto di P.D.
all’indennità di disoccupazione per i periodi in cui, dopo il licenziamento
intimatogli il 15/12/2008, era rimasto disoccupato e fino al 24/11/2009
(eccettuati i periodi di rioccupazione ) negando la sussistenza dell’asserito
indebito per Euro 7.029,58, affermato dall’Inps.
La Corte, dato atto che il mancato riconoscimento
dell’indennità per il periodo successivo al 24/11/2009 non era stato oggetto di
appello, ha rilevato, con riferimento al periodo precedente ed alla sussistenza
dell’indebito , che il P. aveva legittimamente percepito l’indennità di
disoccupazione.
Ha affermato che, pur essendo pacifico che la
pronuncia di illegittimità del licenziamento avesse natura costitutiva
comportante la non interruzione del rapporto e che una volta dichiarato
illegittimo il licenziamento l’Istituto potesse chiedere la restituzione
dell’indennità di disoccupazione, il recupero delle somme era, tuttavia,
collegato all’avvenuto effettivo ripristino del rapporto per effetto della
reintegra, della condanna al pagamento delle retribuzioni dovute e del
versamento dell’indennità ex art 18, che copre il periodo dall’illegittimo
licenziamento alla reintegra effettiva, con conseguente venire meno dello stato
di disoccupazione.
La Corte ha osservato che, nella fattispecie, la
sentenza di reintegra non era stata eseguita e, dunque, l’indennità di
disoccupazione era stata legittimamente percepita con la conseguenza che non
era fondata la richiesta di ripetizione proposta dall’Inps .
2. Avverso la sentenza ricorre l’Inps con un motivo.
Resiste il P..
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art
378 cpc. La Procura generale ha depositato conclusioni scritte .
Ragioni della decisione
3. L’Inps denuncia violazione dell’art. 45, 3 comma,
RDL 1827/1935, conv. in L. n. 1155/1936, vigente ratione temporis, con
riferimento all’art. 18 stat.lav.
Censura il riconoscimento dell’indennità di
disoccupazione anche nel caso di sussistenza di valido rapporto a tempo
indeterminato a seguito di sentenza dichiarativa di illegittimità del
licenziamento e di condanna alla reintegra ed alle retribuzioni maturate.
Lamenta che la Corte avesse ritenuto necessario il ripristino de facto del
rapporto di lavoro ,non essendo sufficiente il solo ripristino de iure.
4. Il ricorso è infondato .
5. Deve darsi continuità ai principi affermati da
questa Corte ( cfr Cass. n 28295/2019 e n 17793/2020 ) in relazione a
fattispecie analoghe aventi ad oggetto l’accertamento negativo della fondatezza
della pretesa restitutoria, azionata dall’Inps, dell’indennità di
disoccupazione .
6. Si è affermato, richiamato l’art. 45 del R.D.L.
04/10/1935, n. 1827, e circa la ratio dell’indennità in esame , che
“l’evento coperto dal trattamento di disoccupazione è l’involontaria
disoccupazione per mancanza di lavoro, ossia quella inattività, conseguente
alla cessazione di un precedente rapporto di lavoro, non riconducibile alla
volontà del lavoratore, ma dipendente da ragioni obiettive e cioè mancanza
della richiesta di prestazioni del mercato di lavoro (così Corte Cost.
16/07/1968, n. 103). La sua funzione è quella di fornire in tale situazione ai
lavoratori (e alle loro famiglie) un sostegno al reddito, in attuazione della
previsione dell’art. 38 II comma della Costituzione “.
7. Nei precedenti citati si è rilevato inoltre:
— che ” la domanda per ottenere il trattamento
di disoccupazione non presuppone neppure la definitività del licenziamento e
non è incompatibile con la volontà di impugnarlo, mentre l’effetto estintivo
del rapporto di lavoro, derivante dell’atto di recesso, determina comunque lo
stato di disoccupazione che rappresenta il fatto costitutivo del diritto alla
prestazione, e sul quale non incide la contestazione in sede giudiziale della
legittimità del licenziamento” (v. anche Cass. 11.6.1998 n. 5850, Cass. n.
4040 del 27/06/1980);
— che ” solo una volta dichiarato illegittimo
il licenziamento e ripristinato il rapporto per effetto della reintegrazione le
indennità di disoccupazione potranno e dovranno essere chieste in restituzione
dall’Istituto previdenziale, essendone venuti meno i presupposti, così non
potendo, peraltro, le stesse essere detratte dalle somme cui il datore di
lavoro è stato condannato ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18 (v. Cass.
15.5.2000 n. 6265, Cass. 16.3.2002 n. 3904, Cass. n. 9109 del 17/04/2007, Cass.
n. 9418 del 20/4./2007)”;
— che neppure rileva in senso ostativo alla
percezione dell’indennità in discussione un’eventuale inerzia del lavoratore
nel portare ad esecuzione una sentenza favorevole. Difetta allo scopo
un’esplicita previsione di legge tale da escludere in tale ipotesi la
ricorrenza dell’evento protetto, né sarebbe conferente il richiamo all’ad. 1227
c.c., che concerne i criteri di liquidazione del danno, mentre qui si discute
del fatto genetico d’una prestazione assistenziale prevista per legge. Non vi è
luogo, dunque, ad indagare (con tutte le difficoltà che ciò comporterebbe)
circa le ragioni e l’imputabilità o meno di tale eventuale inerzia, collegate
anche ad una sempre difficile prognosi circa l’esito positivo delle necessarie
iniziative, giudiziali e stragiudiziali”;
— che” non può ritenersi idonea ad escludere
l’indennità di disoccupazione la mera ricostituzione de iure del rapporto, sia
pure con sentenza esecutiva, essendo necessario per garantire l’effettività
della tutela che a detta reintegra sia data effettiva attuazione, con la
realizzazione di una situazione de facto tale da escludere la sussistenza della
situazione di disoccupazione protetta ex lege”.
8. Deve dunque affermarsi , in applicazione di tali
principi, che elemento ostativo alla percezione dell’indennità di
disoccupazione è da ravvisarsi nell’effettiva ricostituzione del rapporto, nei
suoi aspetti giuridici ed economici, in conformità alla ratio dell’istituto .
In sostanza essa va restituita se nel medesimo periodo il lavoratore ha
percepito la retribuzione .
9. Nella fattispecie in esame tale ricostituzione
del rapporto di lavoro non si è realizzata, atteso che la sentenza oggi
impugnata ha accertato che, pur essendo stato il datore di lavoro condannato a
reintegrare il lavoratore ed a pagargli l’indennità di cui all’ad 18 , comma IV
L n 300/1970 , lo stesso non aveva provveduto a reintegrarlo ,né al pagamento
dell’indennità con la conseguenza che il P. si era venuto a trovare in
situazione non dissimile da quello di disoccupazione involontaria ; che la
società datrice di lavoro era stata, poi, dichiarata fallita e che il P. era
stato ammesso al passivo del fallimento; che il curatore fallimentare aveva
dichiarato che non erano stati effettuati riparti e che la disponibilità era
molto esigua con probabile soddisfazione dei creditori privilegiati molto
esigua e ,comunque, non in tutto.
10. Va poi rilevato che l’Inps ha richiamato ,a
conferma della sufficienza della ricostituzione de iure del rapporto di lavoro
, la giurisprudenza di questa Corte (di recente Cass n. 21439 e n.552/2021)
secondo cui ” nell’ipotesi di licenziamento dichiarato illegittimo le
somme medio tempore percepite dal lavoratore a titolo di trattamento
previdenziale ( pensione, indennità di mobilità o trattamento CICS) si
sottraggono alla regola della compensatio lucro cum damno e quindi non vanno
sottratte dal risarcimento danni conseguente all’annullamento commisurato alle
retribuzioni perdute in quanto tali somme perdono il loro titolo giustificativo
con l’annullamento del licenziamento e devono pertanto essere restituite su
richiesta all’ente previdenziale”
Il richiamo a tale giurisprudenza non vale
,tuttavia, a confermare la bontà della tesi dell’Istituto dovendo essere
sottolineata l’autonomia del rapporto previdenziale rispetto a quello esistente
tra lavoratore e datore di lavoro e che il diritto al trattamento di
disoccupazione discende dal verificarsi dei requisiti stabiliti dalla legge
” sicchè le utilità economiche che il lavoratore ne ritrae, dipendendo da
fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro ,
si sottraggono all’operatività della regola della ” compensatio lucro cum
damno “.
11. Per le considerazioni che precedono il ricorso
deve essere rigettato con condanna del ricorrente a pagare le spese del
presente giudizio di legittimità.
Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data
di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’ad 13 , comma 1
quater, dpr n 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare
le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 2500,00 per
compensi professionali oltre 15% per spese generali ed accessori di legge,
nonché Euro 200,00 per esborsi . Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del dpr
n 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento , da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis,
dello stesso art 13.