Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 settembre 2021, n. 24697
Contratto a tempo determinato, Proroga, Generico indicazioni
delle causali, Conversione in rapporti di lavoro a tempo indeterminato
Fatti di causa
1. Con la sentenza n. 195 pubblicata il 30.4.2013,
il Tribunale di Firenze ha dichiarato l’illegittimità del contratto di
somministrazione del 10 luglio 2005, e delle successive proroghe, e del
contratto a tempo determinato del 2 gennaio 2008, e delle successive proroghe
(fino al 31.12.2011), stipulati da C. C. ed il Ministero dell’Interno ed ha
condannato quest’ultimo al pagamento in favore della lavoratrice al pagamento
del risarcimento del danno, liquidandolo in misura pari a 12 mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto.
2. Il Tribunale ha ritenuto che nel contratto di
somministrazione, e nelle correlate proroghe, non erano state indicate in modo
specifico le ragioni organizzative temporanee giustificatrici del ricorso alla
somministrazione di lavoro, posto che era stato fatto generico riferimento alle
condizioni di cui all’art. 20 c. 4 del d.lgs. n. 276 del 2003 e che nel
contratto di lavoro a tempo determinato, e nelle successive proroghe, difettava
l’indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti
identificative essenziali.
3. Il Tribunale, inoltre, esclusa la possibilità di
convertire i rapporti dedotti in giudizio in un rapporto di lavoro subordinato
a tempo indeterminato, in virtù del divieto posto dall’art. 36 del d.lgs. n.
165 del 2001, ha condannato il Ministero al risarcimento del danno conseguito
all’abusivo ricorso alle assunzioni a termini,
liquidandolo con applicazione del parametro indicato nell’art. 32 della
I. n. 183 del 2010
4. Avverso la sentenza del Tribunale, il Ministero
dell’Interno ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 348 ter c. 3
cod.proc.civ. affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria, e ha
dedotto che l’appello proposto nei confronti della sentenza del Tribunale era
stato dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 348 bis cod.proc.civ., con
ordinanza della Corte di Appello di Firenze, comunicata via PEC all’Avvocatura
Distrettuale dello Stato di Firenze il 10 aprile 2015. C. C. ha resistito con
controricorso.
5. Il P.M. ha depositato memoria scritta, ai sensi
dell’art. 23 c. 8 del d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, come conv. nella I. 18
dicembre 2020 n. 176, e ha concluso per il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
Sintesi dei motivi
6. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai
sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc.civ., la violazione e falsa applicazione
della I. n. 225 del 1992, art. 5, del d.l. n. 225 del 2010, art. 2, comma 6, e
del d.lgs. n. 276 del 2003, art. 20, del d.lgs. n. 368 del 2001, art. 5 e del
d.lgs. n. 165 del 2001,. art. 36, nonchè del c.c.n.l. delle agenzie di
somministrazione e della direttiva Europea 1999/70.
7. Il Ministero, dopo un ampio riepilogo delle
ordinanze emesse al fine di affrontare l’emergenza presso gli uffici
immigrazione, sostiene, da un primo punto di vista, che il Tribunale ha
sottovalutato il rilievo sostanzialmente normativo di tali provvedimenti,
sicchè i contratti a termine non potevano considerarsi stipulati sulla base
delle leggi ordinarie che disciplinavano la somministrazione di lavoro o i rapporti
a tempo determinato, ma proprio in base alle O.P.C.M. succitate.
8. Aggiunge, poi, che la sola lettura delle
motivazioni di tali ordinanze rendeva evidente la necessità di un massiccio
utilizzo di personale per fronteggiare un carico di lavoro infinitamente più
ampio di quello ordinario, mentre, d’altra parte, il fatto stesso che il d.l.
n. 225 del 2010, art. 2, comma 6, avesse consentito la proroga dei contratti a
termine anche in deroga al d.lgs. n. 368 del 2001, art. 5, attestava che la
legge ordinaria avesse proceduto “accodandosi in un itinerario già
intrapreso” dalle O.P.C.M., sicchè anche queste ultime andavano intese
come idonee alle necessarie deroghe alla disciplina lavoristica.
9. Inoltre, il Ministero assume che le motivazioni
di ciascuna delle ordinanze rendeva talmente evidente il ricorrere di esigenze
di carattere tecnico produttivo, organizzativo o sostitutivo, da far concludere
che il Tribunale, nell’affermare che non fossero documentate le esigenze
ragioni legittimanti il ricorso al lavoro a tempo determinato, avesse finito, in sostanza, per
negare l’evidenza e trascurare il fatto notorio.
10. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai
sensi dell’art. 360 c. 1 3 cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione
dell’art. 32 c. 5 della I. n. 183 del 2010 , dell’art. 36 c. 5 del d.lgs. n.
165 del 2001 e dell’art. 18 c. 5 della I. n. 300 del 1970, assumendo
l’erroneità del riferimento all’art. 32 c. 5 della I. 183 del 2010 per la
liquidazione del danno.
In via preliminare
11. Il ricorso per cassazione proponibile, ex art.
348-ter, comma 3, cod.proc.civ. avverso la sentenza di primo grado, entro
sessanta giorni dalla comunicazione, o notificazione se anteriore,
dell’ordinanza d’inammissibilità dell’appello resa ai sensi dell’art. 348-bis
cod.proc.civ., è soggetto, ai fini del requisito di procedibilità di cui
all’art. 369, comma 2, cod.proc.civ., ad un duplice onere di deposito, avente
ad oggetto la copia autentica sia della sentenza suddetta che, per la verifica
della tempestività del ricorso, della citata ordinanza, con la relativa
comunicazione o notificazione; in difetto, il ricorso è improcedibile, salvo
che, ove il ricorrente abbia assolto l’onere di richiedere il fascicolo
d’ufficio alla cancelleria del giudice “a
quo”, la Corte, nell’esercitare il proprio potere officioso, rilevi
che l’impugnazione sia stata proposta nei sessanta giorni dalla comunicazione o
notificazione ovvero, in mancanza dell’una e dell’altra, entro il termine cd.
lungo di cui all’art. 327 cod.proc.civ. (Cass. Sez. Un. n. 25513 del 2016).
12. Applicati al caso in esame, i suddetti principi
di diritto consentono di affermare la procedibilità del ricorso, perché dagli
atti emerge che il ricorso è stato avviato per la notifica il 29 maggio 2015,
nel rispetto del termine di 60 gg. dalla pubblicazione dell’ordinanza
d’inammissibilità ex artt. 348-bis e 348-ter cod.proc.civ., avvenuta il 1°
aprile 2015.
Nel merito
13. Il primo motivo è infondato
14. Nella giurisprudenza di questa Corte è
consolidato il principio per il quale le O.P.C.M. “diversamente dagli atti
governativi con valore di legge, sono espressione di autonomia ed operano
generalmente nel campo della attività amministrativa, ma, pur non potendo
assurgere a valore di legge, sono nel loro ambito indipendenti e, nel loro
contenuto, sono soggette solo alla Costituzione e ai principi generali
dell’ordinamento e non sono vincolati da altre norme preesistenti, che non
siano quelle espressamente indicate dalla fonte di cui traggono origine, il che
giustifica la loro denominazione di “ordinanze libere” (Cass.,
Sez.Un. n. 4813/2006; Cass. n. 13482/2018, Cass. n. 16450/2007).
15. Questa Corte ha osservato che l’eccezionalità
dello strumento, tale per cui ad atti di provenienza governativa e, dunque, del
potere esecutivo, al di fuori dalle ipotesi costituzionalmente tipiche e di
rango primario del decreto legge (art. 77 Cost., comma 2) e del decreto
delegato (art. 76 Cost.), è consentito, per ragioni di emergenza, di derogare a
norme di legge, impone che l’applicazione di esso osservi con assoluta
esattezza le norme che lo disciplinano. Ed è stato precisato che la deroga alle
norme di legge, per essere costituzionalmente legittima, deve avvenire, come
del resto sancito dalla I. n. 225 del 1992, art. 5, comma 5, (ora art. 25 del
Codice della Protezione Civile, di cui al D.Lgs. 2 gennaio 2018, n. 1), in modo
espresso (Cass. n. 24490/2019, Cass. n. 13482/2018 cit., Cass. n. 26372/2017)
ed anzi dovendosi ritenere che, ove nel caso concreto residuino dubbi, prevalga
l’opzione interpretativa che ritenga l’ordinanza non derogatoria della
disciplina di legge (ancora Cass. 13482/2018).
16. Non è, pertanto, sufficiente, per derogare alle
norme in tema di somministrazione di lavoro o di contratti a termine, che le
O.P.C.M. prevedessero, come è nel caso
di specie, il ricorso, per ragioni di urgenza, alla fornitura di lavoro
temporaneo, nulla essendo detto rispetto alla deroga alle norme (d.lgs. n. 276
del 2003, artt. 20 e 21; d.lgs. n. 368 del 2001, artt. 1,4 e 5) che
disciplinavano ratione temporis tali istituti lavoristici e che prevedevano che
le ragioni di ricorso al contratto a termine fossero esplicitate nel contratto
di somministrazione.
17. Né bastava che l’O.P.C.M. autorizzasse il bando
di un concorso per assunzioni (dirette) a tempo determinato, seppure sulla base
di ragioni contingenti ed eccezionali indicate nelle medesime ordinanze, per
escludere l’applicazione delle previsioni che imponevano la indicazione
espressa nel contratto di- lavoro, se del caso per relationem ma in modo
esplicito, delle ragioni giustificative, secondo quanto previsto dalle norme
del d.lgs. n. 368 del 2001 (Cass. n. 24490/2019, cit.)
18. Pertanto, l’argomento in merito all’evidenza
delle ragioni giustificatrici del ricorso a contratti a tempo determinato
risulta irrilevante, perchè superato “a monte” dalla mancanza di
indicazione di tali motivi nei contratti, su cui parimenti fa leva la Corte
territoriale, senza risultare raggiunta in parte qua da alcuna specifica
censura, per confermare l’accertamento incidentale di nullità di cui alla
sentenza di primo grado.
19. Va, dunque, ribadito e calibrato rispetto al
caso di specie, il principio per cui “le ordinanze emanate a norma della
I. n. 225 del 1992, art. 5, riconducibili alla categoria delle “ordinanze
libere”, qualora intendano derogare alle leggi vigenti, ai sensi del comma
5 del medesimo articolo, devono essere motivate e contenere l’indicazione
esplicita delle norme derogate. Pertanto, qualora esse riguardino l’assunzione
di personale a tempo determinato, devono contenere l’espressa previsione di
deroga alle norme che, di tempo in tempo, disciplinano le modalità di stipula
dei relativi contratti di somministrazione o di lavoro, sotto il profilo
dell’indicazione delle causali giustificative, del regime delle proroghe, della
durata massima e di ogni altro requisito richiesto a pena di nullità del
contratto di somministrazione o del termine apposto al contratto di
lavoro”.
20. Va, anche, osservato che, se è vero che il d.l.
n. 225 del 2010 (art. 2, comma 6) ha legittimato, in modo espresso, la proroga
normativa dei contratti a termine già stipulati, consentendo la disapplicazione
del d.lgs. n. 368 del 2001, art. 5, nondimeno tale previsione normativa non
sana le invalidità dei termini precedentemente apposti e, pertanto, non è su
tale norma che il Ministero può fare affidamento per ovviare alla
responsabilità risarciteria accertata dai giudici del merito.
21. Infine, è del tutto generica la deduzione,
formulata dal ricorrente nella memoria difensiva, della sopravvenuta
stabilizzazione dei rapporti, addotta quale ragione di esclusione del danno da
illegittimità delle assunzioni a termine.
22. Infatti, a parte la mancata produzione di
documentazione giustificativa in proposito, nella memoria si afferma soltanto
il verificarsi di tale stabilizzazione nel 2017, ma non si specifica né sulla
base di quale disciplina ciò sia avvenuto, né quale rapporto vi sia stato
rispetto ai contratti oggetto di causa che, come detto, riguardano il periodo
fino al 31.12.2011 e, dunque, un periodo ben anteriore rispetto a quello della
sopravvenuta stabilizzazione, con iato temporale, che nella memoria resta
parimenti privo di spiegazione (sui limiti e sui presupposti dell’efficacia
riparatoria della stabilizzazione cfr. Cass. n. 15240/2021, 14815/2021, Cass.
n. 15353/2020, Cass. n. 29779/2018, Cass. n. 7060/2018, Cass. n. 6935/2018).
Pertanto i fatti sopravvenuti così addotti non
risultano idonei ad incidere sulla definizione del processo.
23. Il secondo motivo è infondato perchè il
Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio affermato da questa
Corte (Cass. Sez. Un. n. 5072/2016), secondo cui “In materia di pubblico
impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a
termine, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n.
165 del 2001, va interpretata in
conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte
di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va
escluso – siccome incongruo -« il ricorso ai criteri previsti per il
licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di
cui all’art. 32, comma 5, della I. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con
valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”,
determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio
sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato
rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità
forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola
l’onere probatorio del danno subito”.
24. In conclusione, il ricorso va rigettato.
25. Le spese, nella misura liquidata in dispositivo,
seguono la soccombenza.
26. Non
sussistono le condizioni richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del
2012, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, perché la norma non può trovare applicazione nei confronti delle
Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a
debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul
processo (Cass. 17361/2017).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate in € 5.000,00 per compensi professionali, €
200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA
e CPA.