Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 settembre 2021, n. 34596

Sicurezza sul lavoro, Predisposizione del DVR/POS,
Variazioni, Aggiornamento, Carenza di informazioni

Ritenuto in fatto

 

1. Il sig. G.A. ricorre per l’annullamento della
sentenza del 16/01/2020 della Corte di appello di Brescia che, pronunciando in
sede rescissoria ed in parziale riforma della sentenza del 25/02/2013 del
Tribunale di Brescia da lui impugnata, gli ha concesso il beneficio della non
menzione della condanna, confermando nel resto l’affermazione della sua penale
responsabilità per il reato di cui agli artt. 40, cpv., 589 cod. pen. commesso il 13/07/1989.

1.1. Con unico motivo deduce, ai sensi dell’art.
606, lett. b) ed e), cod. proc. pen.,
l’erronea applicazione dell’art. 17, lett. a), in relazione all’art. 28, d.lgs.
n. 81 del 2008, e il vizio di manifesta illogicità della motivazione sotto il
profilo del travisamento dei fatti.

Richiamata la vicenda processuale che ha condotto
all’annullamento con rinvio della precedente sentenza della Corte di appello di
Brescia, stigmatizza la decisione del giudice rescissorio di confermare la
decisione cassata in violazione del principio di diritto pronunciato in sede
rescindente. Sul presupposto fattuale che egli effettivamente non era stato
messo a conoscenza della decisione autonomamente presa dal capocantiere di
porre in opera bocche di lupo in cemento al posto di quelle in vetroresina
inizialmente concordate e previste dal progettista e dalla committenza, lamenta
che la Corte di appello non ha adeguatamente spiegato (né indagato) se e quali
misure fossero state previste ed adottate per assicurare che quanto previsto
dal documento di valutazione dei rischi venisse osservato ed in particolare
sulla strutturazione delle procedure di acquisto dei materiali e di controllo
della loro corrispondenza rispetto a quanto previsto nel DVR onde verificare
quali misure fossero previste per evitare che quanto disposto in tale documento
fosse vanificato in concreto, con conseguente necessità di indagare sulle
disposizioni impartite al preposto per assicurare l’osservanza delle misure
previste e sulle modalità definite per l’assolvimento dell’obbligo di vigilanza
sul medesimo preposto. Il giudice rescissorio elude la questione limitandosi ad
osservare che il DVR non prevedeva alcunché nel caso di variazioni che, come
quella sopra indicata, rendessero necessario l’aggiornamento del DVR stesso e
che il POS non poneva a carico del preposto l’obbligo di informare il datore di
lavoro di ogni modifica che rendesse necessario tale aggiornamento. Il punto è
che la posa in opera di bocche di lupo in cemento al posto di quelle in
vetroresina non costituisce una attività nuova e diversa tale da comportare una
nuova valutazione del rischio. Si tratta, invece, di attività di dettaglio e di
finitura non meritevole neppure di approfondimenti progettuali secondo quanto
affermato dallo stesso CT del PM nella sua relazione tecnica (pagg. 7 e 16). La
Corte di appello, inoltre, trascura completamente il dato letterale del
contenuto del paragrafo del POS, dedicato alla ricognizione dei casi al
verificarsi dei quali sarebbe stata necessaria una sua revisione, nel quale si
fa riferimento a nuove e diverse opere «a seguito di varianti in corso
d’opera»: la posa in opera di bocche di lupo in vetroresina al posto di quelle
in cemento non costituisce una variante in corso d’opera. Il ragionamento della
Corte di appello sconta questo errore originario che lo vizia nelle sue basi
fattuali: il fatto non aveva generato l’obbligo informativo strumentale a
quello di aggiornamento della valutazione del rischio. Con la nomina del
CSE/direttore dei lavori e del preposto – entrambi presenti quotidianamente in
cantiere (fatto quest’ultimo del tutto pretermesso dalla Corte di appello) – egli
aveva previsto e posto in essere idonee misure per assicurarsi che le
previsioni contenute nel DVR fossero osservate; la carenza di informazioni non
è dipesa da lui ma dalla legittima mancata iniziativa informativa del
CSE/direttore dei lavori giustificata dal fatto che la modifica costituiva
attività di mero dettaglio insuscettibile di determinare una nuova valutazione
del rischio.

 

Considerato in diritto

 

2. Il ricorso è infondato.

3. La vicenda oggetto di regiudicanda
riguarda l’infortunio mortale occorso al lavoratore E.C. nel cantiere sito in
via Verga a P.C. il 13/07/2009, ove la «N. s.a.s. di A.G. & C.» stava
eseguendo lavori edili. L’incidente si era verificato allorquando un manufatto
in cemento prefabbricato denominato “bocca di lupo” aveva ceduto
negli ancoraggi alla autogru che lo stava movimentando, cadendo in modo
incontrollato e così investendo e schiacciando il C. che si trovava sul fondo
dello scavo nel quale il manufatto doveva essere posizionato.

3.1. All’A., quale socio accomandatario della N.
s.a.s., è stato contestato di non aver previsto nel POS i rischi connessi alla
movimentazione delle bocche di lupo, di non aver somministrato delle procedure
scritte per la loro movimentazione, di non aver formato il personale e di non
aver dato direttive per l’imbracatura delle bocche di lupo nei punti di
ancoraggio.

3.2. La Corte di appello di Brescia, con sentenza
dell’8/07/2014, aveva individuato un unico profilo di colpa, consistente
nell’aver omesso di recarsi in cantiere per sei giorni, di assumere
informazioni precise e dettagliate dal preposto e quindi di aver omesso di
modificare il POS originariamente redatto, come richiesto dalla modifica della
originaria previsione di utilizzare delle bocche di lupo in vetroresina.

3.3. In sede di ricorso per cassazione, l’A. aveva
colto un vizio della motivazione perché era errato attribuirgli un’assenza di
sei giorni quando tra il 7 luglio, data di trasporto in cantiere delle bocche
di lupo, ed il 13 luglio 2009, data dell’infortunio, i giorni lavorativi erano
stati solo tre; in secondo luogo non era vero che i lavori erano in una fase di
criticità, dovendosi escludere che nei giorni immediatamente precedenti
l’infortunio si fosse proceduto al getto delle fondamenta. Il CT del PM,
inoltre, aveva affermato che la posa delle bocche di lupo costituiva attività
di dettaglio non bisognevole di approfondimenti progettuali. Per altro aspetto,
aveva aggiunto, la Corte territoriale non aveva considerato che era stato
designato il CSE e che il preposto, A.N., non era stato lasciato solo ad
occuparsi della problematica. Quindi A.G. era consapevole che nel cantiere vi
era un preposto e che il Coordinatore per la sicurezza nell’esecuzione vi
effettuava visite quotidiane. Poiché egli aveva disposto per l’uso delle bocche
di lupo in vetroresina e non era mai stato informato del cambiamento, non
poteva aggiornare il POS. Quindi non poteva prefigurarsi la verificazione
dell’evento.

3.4. Con sentenza, Sez. 4, n. 14915 del 19/02/2019,
la Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell’imputato annullando con
rinvio la sentenza impugnata.

3.5. Ha affermato la Corte: «3.2. Nel caso che
occupa la Corte distrettuale ha fondato l’affermazione di responsabilità
pronunciata nei confronti di A.G. sul fatto che la sua mancata conoscenza della
decisione di utilizzare bocche di lupo in cemento invece che in vetroresina
fosse da ricondurre ad una violazione dell’obbligo del datore di lavoro di
controllare fisicamente l’andamento dei lavori in cantiere: “era … onere
primario del datore di lavoro informarsi, sia attraverso il preposto (che, come
detto era anche il figlio) sia con visite frequenti sul cantiere, su quali
fossero le fasi di avanzamento dei lavori e le eventuali problematiche”.
Ma non indica, la corte territoriale, quale sia, a suo avviso, la fonte donde
trae la doverosità dello specifico comportamento descritto. E’ indubbio –
prosegue la Corte – che, alla luce della normativa prevenzionistica vigente
(già ai tempi del commesso reato), sul datore di lavoro gravi l’obbligo di valutare
tutti i rischi connessi alle attività lavorative e attraverso tale adempimento
pervenire alla individuazione delle misure cautelari necessarie e quindi alla
loro adozione, non mancando di assicurarsi che tali misure vengano osservate
dai lavoratori. Ma nella maggioranza dei casi la complessità dei processi
aziendali richiede la presenza di dirigenti e di preposti che in diverso modo
coadiuvano il datore di lavoro. I primi attuano le direttive del datore di
lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa [art. 2, co.
1, lett. d) d.lgs. n. 81/2008]; i secondi sovrintendono alla attività
lavorativa e garantiscono l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone
la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale
potere di iniziativa [art. 2, co. 1, iett. e) d.igs. n. 81/2008]. Pertanto, già nel tessuto normativo è
previsto che il datore di lavoro vigili attraverso figure dell’organigramma
aziendale che, perché investiti dei relativi poteri e doveri, risultano garanti
della prevenzione a titolo originario (…) Pertanto, anche in relazione
all’obbligo di vigilanza, le modalità di assolvimento vanno rapportate al ruolo
che viene in considerazione; il datore di lavoro deve controllare che il
preposto, nell’esercizio dei compiti dì vigilanza affidatigli, si attenga alle
disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli
(tanto che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri, con il
consenso del preposto, una prassi ” contra legem“,
foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio dei dipendente, la
condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e
informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa
la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio
colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche: Sez. 4, n.
26294 del 14/03/2018 – dep. 08/06/2018, Fassero
Gamba, Rv. 272960). Ma quanto alle concrete modalità
di adempimento dell’obbligo di vigilanza esse non potranno essere quelle stesse
riferibili al preposto ma avranno un contenuto essenzialmente procedurale,
tanto più complesso quanto più elevata è la complessità dell’organizzazione
aziendale (e viceversa). L’assunto può essere sintetizzato nel seguente
principio di diritto: “l’obbligo datoriale di vigilare sull’osservanza
delle misure prevenzionistiche adottate può essere assolto attraverso la
preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino
la conoscenza del datore di lavoro delle attività lavorative effettivamente
compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la
persistente efficacia delle misure di prevenzione adottate a seguito della
valutazione dei rischi”. 3.3. Calando tali premesse nel caso che occupa –
afferma la Corte – va rimarcato come un difetto di informazione circa
l’andamento dei lavori non possa essere rimproverato al datore di lavoro per
una sua assenza fisica dal cantiere o per non aver interloquito con il
preposto, tanto più perché familiare; in realtà il dato rilevante è se e quali
misure fossero state previste ed adottate per assicurare che quanto previsto
nella valutazione dei rischi fosse osservato. Sotto tale profilo la corte
territoriale avrebbe dovuto indagare, ove insuperata la circostanza della
mancata conoscenza da parte del datore di lavoro della decisione di modificare
il tipo di bocca di lupo da utilizzare, sulle ragioni “strutturali” di tale
carenza informativa, che equivale ad un fallimento della gestione del rischio
delineata con il documento di valutazione a suo tempo redatto. Indagare su come
erano strutturate le procedure di acquisto dei materiali e di controllo della
corrispondenza di essi a quanto previsto nel documento di valutazione, onde
verificare quali misure fossero previste per evitare che quanto disposto in
quello fosse vanificato in concreto. Quindi indagare sulle direttive impartire
al preposto per l’assicurazione dell’osservanza delle misure previste dal
documento di valutazione e sulle modalità definite per l’assolvimento
dell’obbligo di vigilanza sul medesimo. Nulla di tutto ciò emerge dalla
sentenza impugnata, che opera valutazioni a partire da un erroneo presupposto
giuridico».

3.6. Nel confermare la condanna dell’imputato, la
Corte di appello, in sede rescindente, ha così argomentato:

3.7. L’imputato non era solo il datore di lavoro ma
anche il delegato alla sicurezza; l’impresa aveva quattro dipendenti, compreso
il capocantiere;

3.8. Originariamente le bocche di lupo erano
previste in opera e non con materiale prefabbricato; solo successivamente era
stato deciso di installare delle bocche di lupo in vetroresina e la questione
era stata affrontata tra il direttore dei lavori/responsabile per la sicurezza
in fase di progettazione e di esecuzione e l’imputato;

3.9. Dopo tale decisione vi era stato un nuovo
cambiamento e si era deciso di installare le bocche di lupo in calcestruzzo,
decisione presa dal preposto, A. N. (figlio del ricorrente) che non ne aveva
informato l’imputato né il direttore dei lavori;

3.10. Le bocche di lupo erano state consegnate il
07/07/2013 e poste in opera il 13/07/2013; la decisione di ordinarle era stata
certamente presa prima del giorno della consegna anche se non si ha notizia di
quando l’ordine fosse stato effettuato;

3.11. deve pertanto ritenersi che egli nulla sapesse
del cambio del materiale delle bocche di lupo;

3.12. tale cambio comportava, però, una diversa
valutazione del rischio (di competenza del datore di lavoro) e la necessità di
nuove istruzioni anche perché, originariamente, le bocche di lupo avrebbero
dovuto essere realizzate sul posto dall’impresa stessa;

3.13. sul punto il POS non dice alcunché, non era
prevista alcuna procedura; il piano si limitava a prescrivere che gli
aggiornamenti sarebbero stati effettuati in occasione di circostanze che
avrebbero modificato sostanzialmente il suo contenuto per l’eventuale
introduzione di nuove e diverse lavorazioni a seguito di varianti in corso
d’opera oppure per specifiche esigenze operative e di organizzazione aziendale
dell’impresa aggiudicataria dei lavori a seguito degli esiti della gara di
appello; ma a tale necessità di aggiornamento non corrispondeva la previsione,
da parte dei diversi soggetti, di informare il datore di lavoro delle “nuove
e diverse lavorazioni”;

3.14. il che si spiega con le ridotte dimensioni
dell’impresa e con la qualità di prossimo congiunto del preposto (figlio del
legale rappresentante); difficile ipotizzare che, in questo contesto, il datore
di lavoro fosse all’oscuro delle modifiche intervenute; in ogni caso vi è un
evidente difetto nelle istruzioni e nella prassi aziendale che consentiva di
tenere il datore di lavoro all’oscuro di tali modifiche: il POS non imponeva al
capocantiere di informare il datore di lavoro delle modifiche che necessitavano
una rinnovata valutazione dei rischi;

3.15. ciò comportava che il capocantiere poteva
assumere decisioni in autonomia senza informare il datore di lavoro che, per
sua stessa ammissione, aveva lasciato il capocantiere stesso libero di adottare
tali decisioni;

3.16. la circostanza che il ricorrente seguisse
altri cantieri nei quali si facevano lavorazioni di meccanica conferma il suo
sostanziale disinteresse per le lavorazioni in atto nel luogo dell’infortunio,
fidandosi delle valutazioni del citato capocantiere;

3.17. in tal modo era stata scaricata la concreta
gestione delle lavorazioni su un soggetto privo di competenze al riguardo senza
prevedere i dovuti controlli quanto meno con la immediata informazione delle
modifiche intervenute;

3.18. su tale prassi e assenza di procedure si fonda
la responsabilità del ricorrente che aveva sostanzialmente abdicato ai suoi
doveri rinunciando a controllare l’operato del capocantiere in scelte che
comportavano una rinnovata valutazione del rischio;

3.19. quanto al nesso causale, la tempestiva
informazione sull’utilizzo di bocche di lupo di notevole peso consegnate senza
le istruzioni adeguate da parte della ditta fornitrice, avrebbe posto
l’imputato nella condizione di compiere una nuova valutazione e, in
particolare, l’elaborazione di istruzioni sulle modalità esecutive dei lavori e
la necessità di interpellare la ditta fornitrice sulle modalità di
movimentazione e posa in opera delle bocche di lupo, senza lasciare al
capocantiere le decisioni al riguardo che si sono rivelate errate a causa
dell’assenza di istruzioni.

4. Tanto premesso, osserva il Collegio:

4.1. il ragionamento del giudice rescissorio è
lineare: le limitate dimensioni dell’impresa (quattro persone in tutto,
compreso l’imputato) e il rapporto di parentela stretta tra il legale
rappresentante dell’impresa stessa (padre) ed il presposto/capo-cantiere
(figlio) hanno consentito, insieme con il sostanziale disinteresse per le
vicende di quello specifico cantiere, l’abdicazione dal dovere non delegabile,
in quanto connaturato alla posizione di «datore di lavoro», di valutare tutti i
rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (artt. 17, comma 1, lett. a,
e 28, d.lgs. n. 81 del 2008), lasciando al preposto/capo-cantiere il compito di
«aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e
produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro»
(art. 18, comma 1, lett. z, d.lgs. n. 81 del 2008);

4.2. in tal modo la Corte di appello si è uniformata
alla questione di diritto posta dalla sentenza rescindente precisandone meglio
il sostrato fattuale;

4.3. diversamente da quanto opina il ricorrente,
infatti, la sentenza impugnata non ha posto a fondamento della responsabilità
per colpa la violazione dell’obbligo dell’imputato di essere presente
fisicamente nel cantiere; l’assenza dal cantiere (affermazione non contestata
nella sua corrispondenza a vero) costituisce, nella “ratio decidendi“,
sintomo del disinteresse verso le sorti di quello specifico cantiere e la
sostanziale indifferenza al flusso di informazioni che pure avrebbe dovuto far
capo su di lui in quanto unico detentore del potere di decidere se e come
autorizzare la variazione di fasi lavorative derivanti dalla modifica dell’oggetto
del bene da porre in opera;

4.4. la dedotta irrilevanza della modifica del bene
da porre in opera (bocche di lupo in cemento armato al posto di quelle in
vetroresina) si basa su deduzioni fattuali non ammissibili in questa sede in
assenza di una specifica allegazione al ricorso della prova travisata (nel caso
di specie, la relazione del CT del PM che aveva qualificato mera attività di
dettaglio la posa in opera delle bocche di lupo indipendentemente dalla loro
tipologia);

4.5. secondo il ricorrente, in buona sostanza,
cemento armato e vetroresina pari erano ai fini dell’esecuzione dei lavori e
dei connessi rischi, tanto da non meritare una rivisitazione del POS; tale
affermazione è smentita dai fatti e dalla stessa causa dell’incidente mortale:
il cedimento del calcestruzzo in corrispondenza dei punti di ancoraggio sul
manufatto delle catene di imbraco;

4.6. la sentenza di primo grado spiega al riguardo
che la posa in opera di bocche di lupo in cemento come quelle utilizzate nel
caso di specie comportava una necessaria precisione di montaggio ed una serie
di azioni e accorgimenti che di certo non potevano essere qualificate come mere
attività di dettaglio, tanto più che i pezzi forniti non recavano segni né
indicazione dei fori da utilizzare, né per il sollevamento, né per il fissaggio
delle squadrette, e non erano accompagnati da schede o istruzioni o documenti
con indicazioni o avvertenze in tal senso, sì che la decisione sulla specifica
fase di lavoro era stata presa dal preposto/capo-cantiere in assoluta
autonomia, «in un contesto in cui mancavano procedure aziendali o anche
semplici azioni di formazione e istruzione, al fine di non demandare solo al
preposto scelte tecniche come quella inducente il sinistro mortale» (sentenza
di primo grado, pag. 7); si trattava di una scelta che non poteva essere
lasciata all’improvvisazione e che si è rivelata fatale proprio a causa del
tipo di materiale con cui le bocche di lupo erano state pre-fabbricate (cemento
al posto della vetroresina) e per la inadeguatezza di quello specifico tipo di
bocca di lupo ai cantieri edili (pag. 8);

4.7. da questo punto di vista, le opinioni del CT
del PM non possono essere dedotte a sostegno della insussistenza dell’obbligo
di aggiornamento del POS e ciò sia perché si tratta, come detto di deduzioni
fattuali (inammissibili in questa sede), sia perché si tratta, appunto, di mere
opinioni peraltro nemmeno accolte (ma anzi disattese, sul punto) dai giudici di
merito (il Tribunale, peraltro, aveva escluso che tale “dettaglio”
non comportasse una nuova valutazione del rischio);

4.8. affermare che con la nomina del CSE-direttore
dei lavori e del preposto- capo cantiere il datore di lavoro «ha sicuramente
previsto e posto in essere idonee misure per assicurarsi che le previsioni
contenute nel documento di valutazione dei rischi fossero osservate» equivale:
i) per un primo profilo, a non tenere conto che la ridottissima dimensione
dell’impresa non giustifica il totale disinteresse per l’andamento dei lavori;
ii) per un secondo, collegato profilo a dare per scontato quel che scontato non
é: che l’obbligo del datore di lavoro si esaurisce nella mera predisposizione
del DVR/POS senza necessità di adottare accorgimenti finalizzati alla sua
effettiva implementazione e, sopratutto, a garantire il flusso delle
informazioni necessarie al suo aggiornamento;

4.9. lasciare che siano altri, quand’anche in base
alla loro esperienza (affidamento rivelatosi peraltro fallace), a decidere se
la modifica del piano di lavoro costituisca o meno un dettaglio che non
comporta la necessità di aggiornare il POS, equivale ad ammettere proprio il
profilo di colpa posto a fondamento della condanna del ricorrente;

4.10. del resto, la designazione del coordinatore
per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, non
esonerava il ricorrente dalle proprie specifiche responsabilità visto che, come
afferma il primo Giudice, al CSE non competeva il compito di vigilare
sull’applicazione da parte della ditta esecutrice dei lavori delle norme di
sicurezza; la diversa deduzione del ricorrente si basa, ancora una volta, su
allegazioni fattuali non consentite in questa sede;

4.11. di qui l’infondatezza del ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 settembre 2021, n. 34596
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: