Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 settembre 2021, n. 25897
Professionista, Avvocato, Pagamento delle spese di lite,
Opposizione al precetto notificato all’Inps
Rilevato che
la Corte d’appello di Bari ha accolto l’impugnazione
proposta dall’INPS nei confronti dell’avv. S.V. avverso la sentenza del
Tribunale di Foggia che aveva rigettato l’opposizione al precetto notificato
all’Inps dall’avv. V. per le spese successive rispetto a quelle di lite
liquidate da una sentenza del Giudice del lavoro di Foggia, in favore della
suddetta avvocata, e corrisposte dall’INPS prima della notifica del precetto
unitamente ad una maggiorazione per le spese successive alla formazione del
titolo;
la Corte ha rilevato che era stato provato
dall’Istituto il pagamento delle spese di lite come liquidate nella sentenza
del Tribunale ed una somma per le spese successive anteriormente alla notifica
del precetto, sicché la procedente difettava di un titolo esecutivo azionabile
per le spese successive, come correttamente affermato dall’INPS ed in
applicazione del principio secondo cui il creditore che ha ottenuto il
pagamento delle somme liquidate da una sentenza per spese processuali non può
intimare, sulla base dello stesso titolo, precetto per spese processuali successive
all’emissione della sentenza ma deve, per tali spese, esperire azione di
cognizione in via ordinaria;
per la cassazione di tale decisione ha proposto
ricorso l’avv. S.V., affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso
l’INPS;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso, sì deduce violazione
delle norme sulla competenza ed omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione alla omessa
pronuncia sulla eccezione di incompetenza per materia del giudice
dell’esecuzione, trattandosi di materia (differenze spese legali) estranea a
quella attribuita al giudice del lavoro;
con il secondo motivo si denuncia la violazione
dell’art. 437 c.p.c. in quanto la sentenza impugnata non aveva statuito sul primo
motivo d’appello proposto dall’INPS, relativo alla circostanza che il giudice
di primo grado aveva ritenuto di non esaminare il motivo dell’opposizione
proposta dall’INPS basato sulla circostanza che non risultava acquisita agli
atti la sentenza del giudice del lavoro consacrante la liquidazione delle spese
di lite sulla quale era stata spiegata l’opposizione; sostiene la ricorrente
che la sentenza impugnata, decidendo nel merito, non si sia conformata ad
alcune sentenza emesse dal Tribunale di Foggia in casi analoghi che avevano
ritenuto di non poter trattare l’opposizione a precetto proposta dall’INPS non
avendo lo stesso Istituto depositato la sentenza che conteneva la liquidazione
delle spese ritenute insufficienti; in ogni caso, nel merito, la ricorrente
deduce la violazione dell’art. 41 DM 140/2012 perché tale disposizione avrebbe
consentito l’autoliquidazione delle spese legali successive alla emanazione
della sentenza;
il primo motivo è infondato; decidendo nel merito,
Corte d’appello ha implicitamente ritenuto infondata l’eccezione di
incompetenza e ciò correttamente in quanto la ripartizione delle funzioni tra
le sezioni specializzate e le sezioni ordinarie del medesimo tribunale non
implica l’insorgenza di una questione di competenza, attenendo piuttosto alla
distribuzione degli affari giurisdizionali all’interno dello stesso ufficio (di
recente e per tutte: Cass. n. 21774 del 27/10/2016; Cass. n. 27195 del 2018);
ne ciò determina la violazione dell’art. 25 Cost.,
comma 1, e quindi la nullità della sentenza resa in causa decisa da Sezione
diversa da quella destinata alla cognizione della controversia, giacché detta
norma, nel disporre che nessuno può essere distolto dal giudice naturale
precostituito per legge, considera la competenza dell’organo giudiziario nel
suo complesso, non esclude che nell’ambito di questo possano verificarsi
variazioni nella concreta composizione dell’organo giudicante (Cass. n. 12969
del 13/07/2004; Cass. n. 10219 del 15/07/2002; Cass. n. 5755 del 03/11/1982);
ed infatti il principio di cui all’art. 25 Cost. non impone una immutabilità
assoluta dei regimi di competenza già maturatisi in relazione alla singola
fattispecie, ma è volto a garantire che nessuna variazione abbia a determinarsi
in ragione di provvedimenti particolari strettamente connessi, o comunque
strumentalmente preordinati, alla singola controversia;
neppure la trattazione della controversia, da parte
del giudice adito, con un rito diverso da quello previsto dalla legge determina
alcuna nullità del procedimento e della sentenza successivamente emessa, se la
parte non deduca e dimostri che dall’erronea adozione del rito le sia derivata
una lesione del diritto di difesa (v. ancora da ultimo Cass. n. 23682 del
10/10/2017);
il secondo motivo si presenta inammissibile per
genericità e difetto di interesse là dove lamenta il mancato esame di un motivo
d’appello che avrebbe proposto l’INPS e sul quale la sentenza non avrebbe
pronunciato;
per gli ulteriori aspetti dal medesimo prospettati,
lo stesso motivo è infondato:
correttamente, l’impugnata sentenza – partendo dal
principio secondo cui il creditore munito di titolo esecutivo può intimare al
debitore l’adempimento della prestazione risultante dal titolo e
contestualmente può chiedere le spese del precetto (relative alle attività
espletate dal difensore nella fase intermedia tra il giudizio di cognizione e
quello di esecuzione) – ha ritenuto che l’importo corrisposto fosse interamente
satisfattivo quanto al titolo esecutivo fatto valere;
il precetto era stato azionato quindi con
riferimento ad un titolo privo ormai di efficacia esecutiva in quanto
l’obbligazione derivante dal titolo era stata adempiuta (vedi Cass. n. 9807 del
13 maggio 2015, che, in fattispecie analoga a quella in esame in cui l’INPS
aveva effettuato il pagamento prima della notifica del precetto ed in quella
occasione la Corte rispondendo al quesito di diritto “dica la Corte se
l’avvenuto pagamento integrale dei crediti risultanti dal titolo esecutivo
effettuato successivamente alla notifica di esso, legittimi a richiedere sulla
base dello stesso titolo il pagamento dei diritti endoprocessuali conseguenti
all’attività professionale effettuata successivamente all’emissione del titolo,
senza dover far ricorso ad un ulteriore giudizio di cognizione per l’aggiudicazione”
ha chiarito che “… allorché il debitore abbia pagato per intero la somma
indicata nel titolo esecutivo, comprensiva delle spese processuali ivi
liquidate, il creditore non può, successivamente a tale pagamento, intimare
precetto, sulla base dello stesso titolo, per il pagamento delle spese
processuali sostenute dopo l’emissione di quest’ultimo e necessarie per la sua
notificazione, dovendo, per tali spese, esperire l’azione di cognizione
ordinaria…”);
per tali motivi, il ricorso va rigettato;
le spese del presente giudizio, per il principio
della soccombenza, sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate
come da dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1700,00
per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella
misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso
art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.