Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 settembre 2021, n. 26271

Reclutamento del personale scolastico, Contratti a termine
stipulati dal lavoratore con il MIUR, Pubblico impiego privatizzato,
Illegittima o abusiva successione di contratti di lavoro a termine,
Risarcimento

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte di Appello di Trieste, con la sentenza
n. 58/16, in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto da N. B.,
ha accertato l’illegittimità dei contratti a termine stipulati dal lavoratore
con il MIUR, e ha condannato l’Amministrazione a corrispondere al lavoratore
un’indennità risarcitoria pari a tre mensilità e mezza della retribuzione
globale di fatto, respingendo l’impugnazione proposta dal Ministero in ordine
al riconoscimento della progressione economica prevista per i dipendenti a
tempo indeterminato in relazione all’anzianità di servizio complessivamente
calcolata computando i rapporti a termine.

2. Contro tale decisione il Ministero ha proposto
ricorso, articolato in tre motivi, cui resiste il B. con controricorso.

3. Veniva depositata la proposta del relatore, ai
sensi dell’art. 380-bis, cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti,
unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio,
presso la VI sezione lavoro.

4. In esito all’adunanza camerale, il ricorso veniva
rimesso alla udienza pubblica.

5. In prossimità dell’udienza pubblica il
controricorrente ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. La sentenza impugnata ha ritenuto l’illegittimità
dei contratti a termine sottoscritti dalle parti applicando la disciplina
prevista per le supplenze nel settore scolastico dall’art. 4 della legge 3
maggio 1999, n. 124 del 1999.

In particolare, nella sentenza impugnata si
considerano rilevanti, ai fini della ritenuta illegittima apposizione del
termine, i contratti stipulati dal 31 gennaio 2007 al 31 ottobre 2007, dal 1°
novembre 2007 al 31 ottobre 2008, dal 1° novembre 2008 al 31 ottobre 2009, dal
l° novembre 2009 al 31 ottobre 2010 e dal 1° novembre 2010 al 31 ottobre 2011;
trattasi di contratti che coprivano l’intero anno scolastico, dal 1° novembre
al successivo 31 ottobre, e che pertanto servivano a coprire posizioni
dell’organico di diritto.

2. Con il primo motivo di ricorso il Ministero
denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o
falsa applicazione della direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 e della
clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato alla stessa
allegato, dell’art. 4 della legge 3 maggio 1999, n. 124 del 1999, dell’art. 5.
comma 4-bis e dell’art.10, comma 4-bis, del d.lgs. 368 del 2001, assumendo la
piena compatibilità della disciplina speciale sul reclutamento del personale
scolastico con la normativa europea, con particolare riferimento alle supplenze
conferite su -organico di fatto” e su organico di diritto”,
giustificate da esigenze contingenti consistenti nella necessità di assicurare
la continuità del servizio a fronte di cicliche variazioni in aumento o in
diminuzione della popolazione scolastica e delle conseguenti flessibili cadenze
nell’espletamento delle procedure concorsuali.

3. Il motivo non è fondato.

Come più volte affermato (cfr., Cass., n. 22552 del
2016, n. 8935 del 2017), per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale
dell’art. 4, commi 1 e 11, della legge n. 124 del 1999, e in applicazione della
Direttiva 1999/70/CE 1999, è illegittima, a far tempo dal 10 luglio 2001, la
reiterazione dei contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 4, commi 1 e
11, della legge n. 124 del 1999, prima dell’entrata in vigore della legge 13
luglio 2015 n. 107, rispettivamente con il personale docente e con quello
amministrativo, tecnico ed ausiliario, per la copertura di cattedre e posti
vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano
prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, sempre che abbiano avuto
durata complessiva, anche non continuativa, superiore a trentasei mesi.

Peraltro, le statuizioni assunte da questa Corte in
materia dei contratti a termine sono state confermate dopo aver esaminato i
riflessi sul quadro normativo e giurisprudenziale della sentenza della Corte di
Giustizia dell’8 maggio 2019, nella Causa C- 494/17 —MIUR contro F.R. e
Conservatorio di Musica F.A. Bonporti, ritenendo che essi non conducono ad una
diversa soluzione rispetto ai precedenti citati. (si v., Cass., n. 10650 del
2021)

4. Con il secondo motivo di ricorso il Ministero
censura, in relazione all’art. 360 n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli
artt. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2697, cod. civ., in relazione alla condanna al
risarcimento del danno, per avere la Corte territoriale erroneamente applicato
l’art. 32 della legge n. 183 del 2010 in luogo dei principi generali in materia
di prova del danno e della sua quantificazione.

5. Il motivo non è fondato.

In materia di pubblico impiego privatizzato,
nell’ipotesi di illegittima o abusiva successione di contratti di lavoro a
termine, il lavoratore ha diritto – in conformità con il canone di effettività
della tutela giurisdizionale affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza
12 dicembre 2013, in C-50/13) e con i principi enunciati dalle Sezioni Unite
civili nella sentenza n. 5072 del 2016 a proposito della abusiva reiterazione
di contratti di lavoro a tempo determinato – al risarcimento del danno
parametrato alla fattispecie di portata generale di cui all’art. 32, comma 5,
della legge n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e
qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed
un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, che non può farsi
comunque derivare dalla “perdita del posto”, in assenza di
un’assunzione tramite concorso ex art. 97 Cost. (ex multis, Cass., n. 992 del
2019)

6. Con il terzo motivo di ricorso il Ministero
censura, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., la violazione falsa
applicazione dell’art. 79 CCNL Comparto scuola 2007/2009, assumendo
l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della progressione
stipendiale prevista dalla contrattazione collettiva per il personale di ruolo.
Nella specie, il B. ha stipulato una serie di contratti a tempo determinato in
qualità di docente del Conservatorio T. di Trieste.

7. Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata è conforme al principio di
diritto affermato da questa Corte con le sentenze nn. 22558, 23868 e 27387 del
2016;. n. 165 del 2017; n. 290 del 2017, con le quali si è statuito che nel
settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo
determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione,
impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del
comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione
della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo
indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicché vanno disapplicate le
disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità
maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato
al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo
indeterminato».

A dette conclusioni la Corte è pervenuta
valorizzando i principi affermati dalla Corte di Giustizia quanto alla
interpretazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro ed evidenziando che
l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo
determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli
rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato -comparabile”,
sussiste a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto. Il
motivo di ricorso non prospetta argomenti che possano indurre a disattendere
detto orientamento, al quale va data continuità, poiché le ragioni indicate a
fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate ex art. 118
disp. att. cod. proc. civ., sono integralmente condivise dal Collegio.

8. La Corte rigetta il ricorso.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come in dispositivo.

10. Nei casi di impugnazione respinta integralmente
o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi
dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, della 1. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle
Amministrazioni dello Stato, nella specie il MIUR, che, mediante il meccanismo
della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse
che gravano sul processo (Cass., n. 1778 del 2016).

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi, €
5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e
accessori di legge.

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