Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 settembre 2021, n. 26454

Procedimento di licenziamento collettivo, Settore dei
formatori di sostegno, Esubero di personale, Selezione dei lavoratori, Cd.
“quote rosa”, Divieto di licenziamento

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n.
27 del 2019, ha rigettato il reclamo proposto da L.A. nei confronti di E.F.
avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Palermo aveva rigettato
l’impugnazione del licenziamento irrogato in data 12 maggio 2017.

La procedura espulsiva era stata adottata a
conclusione del procedimento collettivo attivato dal datore di lavoro per
sovradimensionamento strutturale.

2. Per la cassazione della sentenza emessa in sede
di reclamo ricorre L.A., prospettando sei motivi di ricorso.

3. Resiste con controricorso l’E.F., Ente D.O.,
Formazione Aggiornamento Professionale.

4. Il Procuratore Generale ha depositato conclusione
scritte.

5. E.F. ha depositato memoria in prossimità
dell’udienza pubblica.

 

Ragioni della decisione

 

1. Occorre premettere che la Corte d’Appello con la
sentenza oggetto di ricorso ha statuito, in particolare, quanto segue.

Ha dichiarato inammissibile la censura relativa alla
violazione di leggi regionali e del Contratto collettivo di settore, affermando
che mancavano specifiche contestazioni da parte del lavoratore appellante alle
dettagliate argomentazioni svolte del Tribunale.

Ha affermato, quindi, che la procedura riguardava
l’intero ambito regionale, coinvolgendo le sedi E.F. di Palermo e di Paternò, e
la comunicazione aziendale di avvio della procedura doveva ritenersi completa,
in quanto venivano indicati in modo chiaro sia i motivi che determinavano la
situazione di esubero del personale, sia il numero dei profili professionali
dei dipendenti in eccedenza e di quelli abitualmente impiegati, nonché
l’impossibilità per l’Ente di ricorrere a misure alternative, quali l’assegno
di solidarietà.

Quanto, invece, all’omessa informazione in seno alla
comunicazione preventiva del criterio delle “quote rosa -, poi applicato
dall’Ente (nel settore dei formatori di sostegno, dove era inserito il
lavoratore e dove vi erano 3 esuberi su 4 posti, lo stesso pur essendo
risultato primo per punteggio era stato escluso in favore della seconda, in ragione
della suddetta disciplina), la Corte d’Appello, in particolare, rilevava che
piuttosto che costituire un criterio di scelta del personale da licenziare, lo
stesso assurgeva a limite imposto dalla legge, che in quanto tale fuoriusciva
dal novero delle informazioni che la comunicazione iniziale doveva contenere a
pena di illegittimità della procedura.

Solo dopo aver individuato i criteri di scelta da
applicare, e quindi il personale che sulla scorta degli stessi andrebbe
licenziato, può essere fornita un’indicazione circa la percentuale di
manodopera femminile che va mantenuta.

La Corte d’Appello non attribuiva rilievo, in
relazione alla presunta insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto del
licenziamento, alla circostanza della sospensione, con ordinanza del TAR,
dell’atto di esclusione dell’E.F. dalla graduatoria relativa all’Avviso
finanziato dalla Regione 8/2016, non avendo tale evenienza inficiato la
validità del provvedimento di esclusione, dal momento che non risultava che la
Regione avesse provveduto ad un riesame dei punteggi.

Risultavano poi documentalmente smentite le censure
relative alla mancata indicazione, nelle comunicazioni finali, dei punteggi
attribuiti ai lavoratori e alla violazione dei termini procedurali.

Quanto ai tempi della procedura, erano rispettati
sia quello relativo all’incontro del datore di lavoro con le organizzazioni
sindacali, sia quello relativo alla comunicazione finale, come emergeva dalla
documentazione allegata dall’Ente e non contestata.

Infondato era anche il motivo relativo all’asserita
inesistenza delle motivazioni poste alla base del recesso.

2. Tanto premesso, si può passare ad esaminare i
motivi di ricorso che supera il vaglio di ammissibilità, non risultando fondate
le relative eccezioni dell’E.F.

3. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la
violazione degli artt. 112 e 132, cod. proc. civ. Omessa pronuncia su fatti
dedotti e rilevanti ai fini del decidere: violazione della legge n. 223 del
1991, delle leggi della Regione siciliana n. 25 del 1993 e n. 24 del 1976,
degli artt. 34 e 35 del CCNL formazione professionale 2011/2013, motivazione
apparente (art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ.).

Il ricorrente si duole della dichiarata
inammissibilità della contestazione relativa alla violazione delle disposizioni
richiamate nella rubrica, atteso che la sentenza di primo grado aveva omesso
ogni motivazione sulla contestazione svolta in sede di opposizione prima, e di
reclamo dopo.

Quindi il ricorrente richiama il contenuto della
disposizione contrattuale e delle leggi regionali a cui ha ricondotto la
denunciata violazione, deducendone l’applicabilità alla fattispecie in esame.

4. Il motivo è inammissibile.

I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di
inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, cod. proc. civ., nn. 3,4 e 6, devono
essere assolti necessariamente con il ricorso (Cass., n. 29093 del 2018), e non
possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il
controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica
mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla
base del vizio denunciato, producendo in giudizio Patto o il documento della
cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale
fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e
trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del
principio di specificità.

Nel caso di denuncia anche di errores in procedendo
del giudice di merito, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto,
inteso, ovviamente, come fatto processuale (tra le tante: Cass. n. 14098 del
2009; Cass. n. 11039 del 2006), tuttavia le Sezioni Unite, con la sentenza n.
8077 del 2012, hanno precisato che, in ogni caso, la proposizione del motivo di
censura resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità
stabilite dal codice di rito, nel senso che la parte ha l’onere di rispettare
il principio di autosufficienza del ricorso e le condizioni di procedibilità di
esso (in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366, co. 1, n. 6 e 369.
co. 2, n. 4, c.p.c.), “sicché l’esame diretto degli atti che la Corte è
chiamato a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti
che la parte abbia specificamente indicato ed allegato”.

Nella specie, il ricorrente, denunciando l’omesso
esame, non riporta nel ricorso, quanto meno nelle parti essenziali, la sentenza
di primo grado e il reclamo a suo tempo proposto e ciò impedisce alla Corte, a
prescindere da ogni altro rilievo, di valutare ex actis se la critica mossa
alla sentenza impugnata tenga conto dell’effettivo contenuto dell’atto
processuale.

5. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la
violazione degli artt. 12 e 132 cod.proc.civ.

Motivazione apparente violazione degli artt. 4, 5 e
24 della legge n. 223 del 1991 (art. 360, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.).

Assume il ricorrente di non aver sollevato la
questione delle quote rosa in relazione all’obbligo di informazione, né di aver
dato rilievo all’intervenuta sospensione da parte del TAR Sicilia dell’atto di
esclusione del datore di lavoro dalla graduatoria relativa all’Avviso 8/2016,
né di aver posto la questione dei punteggi attribuiti ai lavoratori nelle
comunicazioni finali. Sussisterebbe, quindi, il vizio di ultrapetizione e di
motivazione apparente.

6. Il motivo è inammissibile.

La giurisprudenza di legittimità ha affermato che,
in tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il
chiesto e il pronunciato, come il principio del tantum devolutum quantum
appellatum”, non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in
base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata
dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed
all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate
dall’istante, né incorre nella violazione di tale principio il giudice
d’appello che, rimanendo nell’ambito del “petitum” e della -causa
petendi”, confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da
quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in
rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non
considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice (Cass., n. 513 del
2019).

Si è, altresì, osservato che l’interpretazione della
domanda spetta al giudice del merito, la cui statuizione, ancorché erronea, non
può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo il
giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione
dovesse ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di
ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato la
erroneità di quella motivazione, sicché, in tal caso, il dedotto errore non si
configura come -error in procedendo”, ma attiene al momento logico
dell’accertamento in concreto della volontà della parte (Cass., n. 1545 del
2016).

Nella specie, dunque, la denunzia di ultrapetizione
e motivazione apparente, come prospettata, è inammissibile, attesi i suddetti
principi, in quanto non circostanziata e specificata, peraltro ai fini
dell’apprezzamento della rilevanza della censura, tenendo conto che il
licenziamento de quo si inserisce in una più ampia vicenda, come esposto dalla
sentenza e dallo stesso ricorrente.

7. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la
violazione degli artt. 11, 113, 114, 115, 116, 117, 118,119,132; omessa
pronuncia su fatti rilevanti al fine del decidere: motivazione apparente,
violazione degli artt. 4, commi 9 e 12, e 5, comma 3, della legge n. 223 del
1991, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, 4 e 5, cod. proc. civ.

È censurata la statuizione che ha disatteso la
violazione dell’art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991.

Al lavoratore la lettera di recesso del 12 maggio
2017 veniva notificata il 15 maggio 2017.

A tale lettera, deduce il ricorrente, seguiva la
comunicazione del 18 maggio 2017, che indicava in 22 i lavoratori in esubero; a
questa seguiva la comunicazione del 31 maggio 2017, che si sostituiva alla
precedente, ed eliminava due figure professionali, per cui i licenziamenti
scendevano a 20; la comunicazione 24 luglio 2017 introduceva come esubero la
figura del formatore area storica, non prevista nella comunicazione iniziale.

Una terza comunicazione dell’8 settembre 2017
aggiungeva in esubero la figura del formatore tutor non prevista nella
comunicazione iniziale del 18 maggio 2017.

La Corte d’Appello non aveva tenuto conto di ciò,
con motivazione apparente e senza un adeguato ragionamento logico-giuridico. A
sostegno della propria censura il ricorrente richiama giurisprudenza di
legittimità.

8. Il motivo è inammissibile.

Occorre rilevare che la sentenza di appello dopo
aver ricordato che era dedotta la violazione dell’art. 4, commi 5 e 9, della
legge n. 223 del 1991 (pag. 4 della sentenza di appello), ha affermato che era
rispettato il termine perentorio di 7 giorni di cui all’art. 4, comma 5, e il
termine di cui all’art. 4, comma 9, legge n. 223 del 1991, come emergeva dalla
documentazione in atti, in quanto la lettera di recesso del 12 luglio 2017 era
stata notificata al lavoratore il 15 maggio 2017, ed era stata seguita dalla
comunicazione in data 18 maggio 2017.

Affermava, quindi, la Corte d’Appello che la
circostanza che a tale comunicazione era seguita quella del 31 maggio 2017 di
“rettifica” di n. 2 nominativi erroneamente inclusi tra quelli
interessati dal licenziamento, non inficiava il licenziamento, in ragione della
ratio del divieto di parcellizzazione secondo la quale la comunicazione alle
organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi, per assolvere alla
funzione ad essa attribuita dalla legge, non può che essere unica, cioè tale da
esprimere l’assetto definitivo sull’elenco dei lavoratori da licenziare e sulle
modalità di applicazione dei criteri di scelta (cfr., Cass.. n. 23034 del
2018).

Con l’attuale motivo, il ricorrente, non contestando
l’affermazione della Corte d’Appello di una mera rettifica intervenuta rispetto
alla comunicazione, introduce una ulteriore doglianza, di cui non specifica la
proposizione con i motivi di reclamo, richiamando una serie di documenti di cui
non indica la tempestiva produzione in giudizio e di cui non riproduce il
contenuto rilevante.

A ciò consegue l’inammissibilità della censura,
atteso che la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che,
ove vengano in rilievo atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui
valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di
violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, cod. proc. civ., n. 3, di carenze
motivazionali, ai sensi dell’art. 360, cod. proc. civ., n. 5, o anche di un
error in procedendo, è necessario non solo che il contenuto dell’atto o della
prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga
indicata l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte,
rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità, senza
che possa attribuirsi rilievo al fatto che nell’indice si indicano come
allegati i fascicoli di parte di primo e secondo grado (Cass., S.U., n. 22726
del 2011, Cass., S.U., n. 8077 del 2012).

I requisiti imposti dall’art. 366, comma 1, n. 6, e
dall’art. 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., rispondono ad un’esigenza che
non è di mero formalismo, perché solo l’esposizione chiara e completa dei fatti
di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e
degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di
acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione
impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle
censure.

Gli oneri sopra richiamati sono altresì funzionali a
permettere il pronto reperimento degli atti e dei documenti il cui esame
risulti indispensabile ai fini della decisione sicché, se da un lato può essere
sufficiente per escludere la sanzione della improcedibilità il deposito del
fascicolo del giudizio di merito, ove si tratti di documenti prodotti dal
ricorrente, oppure il richiamo al contenuto delle produzioni avversarie,
dall’altro non si può mai prescindere dalla specificazione della sede in cui il
documento o l’atto sia rinvenibile e dalla sintetica trascrizione nel ricorso
del contenuto essenziale del documento asseritamente trascurato od erroneamente
interpretato dal giudice del merito (Cass., S.U, n. 5698 del 2012; Cass. S.U.,
n. 25038 del 2013, Cass., S.U., n. 34469 del 2019).

9. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la
violazione degli artt. 12, 13, 14, 15, 16 e 132, cod. proc. civ. Omessa
pronuncia su fatti rilevanti ai fini del decidere; motivazione apparente,
violazione degli artt. 4, comma 3, 5 e 9, e 5 comma 3, della legge n. 223 del
1991, in relazione all’art. 360, n. 3,4 e 5, cod. proc. civ.

È censurata la statuizione che ha ritenuto corretta
e completa la comunicazione iniziale, atteso che la stessa in quattro mesi
veniva rettificata, annullata e integrata.

Inoltre, dopo l’avvio delle procedure di
licenziamento con la quale si indicavano i corsi rimasti attivi ai sensi degli
avvisi 4/2015 e 7/2016 finanziati dalla Regione, l’E.F. avviava altri corsi ai
sensi degli stessi avvisi, diversi da quelli della comunicazione.

Infine la comunicazione non era corredata da
adeguata documentazione. Pertanto non era stato consentito ai sindacati di
svolgere la propria funzione di controllo come emergeva dai verbali delle
trattative sindacali. Né potevano invocarsi i limiti del sindacato giudiziario.

10. Il motivo è inammissibile in quanto privo di
specificità con riguardo alla documentazione richiamata, in particolare verbali
trattative sindacali, di cui non è indicata la tempestiva produzione in
giudizio, né è riprodotto il contenuto, dandosi luogo alla carenza dei
requisiti imposti dall’art. 366, comma 1, n. 6, e dall’art. 369, comma 2, n. 4,
cod. proc. civ., secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza di
legittimità richiamati nella trattazione del precedente motivo.

11. Con il quinto motivo di ricorso (indicato a pag.
43 del ricorso, come IIII) è prospettata la violazione degli artt. 112, 113,
114, 115 e 116, 132, cod. proc. civ. Violazione dell’art. 2969, cod, civ.,
dell’art. 24 Cost. Omesso esame di fatti rilevanti ai fini del decidere.
Violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1,
n. 3,4 e 5, cod. proc. civ.

Il ricorrente rileva che la pubblicazione con due
bandi, ai sensi dell’avviso 7/2016, del 15 settembre 2016 e del 16 settembre
2017, rispettivamente per n. 4 posti e n. 2 posti di sostegno per la sede di
Paternò, escludeva la sussistenza del nesso causale tra riorganizzazione
aziendale e licenziamento del lavoratore, che avrebbe potuto essere utilizzato
presso tale sede.

Dunque, era erronea sia l’affermazione che il
reperimento di figure professionali esterne afferiva a figure non presenti in
organico nell’Ente e comunque le stesse non erano relative ai profili colpiti
da esubero, sia che la scelta di acquisire nuovo personale non contrastava con
le palesate difficoltà economiche, comunicate all’inizio della procedura,
nascenti dall’esclusione dall’avviso 8/2016 e alla chiusura degli ex sportelli
multifunzionali, così come la previsione di bandi (settembre e ottobre 2016),
sia che la previsione di bandi anche per formatori di sostegno nelle materie
tecnico-professionali, per il secondo anno 2016-2017, presso la sede di Paternò,
non escludeva la legittimità della scelta aziendale risalente al febbraio 2017,
di mantenere in servizio un solo formatore di sostegno. Ciò in quanto dalla
documentazione in atti emergeva il contrario.

Ulteriormente viziata era la sentenza di appello
allorché, sulla scorta dei contenuti delle comunicazioni, riteneva accertato
l’esubero dei docenti di sostegno, ravvisando un onere della prova in capo al
lavoratore, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità.

12. Con il sesto motivo di ricorso (indicato come IV
a pag. 50 del ricorso), si deduce la violazione degli artt. 112, 113 e 132,
degli artt. 4, 5 e 24, della legge n. 223 del 1991, in relazione all’art. 360,
n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.

Il ricorrente censura la statuizione della Corte
d’Appello che ha ritenuto completa e veritiera la comunicazione in ragione dei
contenuti della stessa, delle tabelle allegate e delle griglie. Il ricorrente
si duole del mancato esame delle produzioni documentali relative ai diversi
corsi banditi da E.F., ai quali esso lavoratore avrebbe potuto partecipare.

La tesi della Corte d’Appello contrastava con la
giurisprudenza sul concetto di professionalità equivalente, secondo la
giurisprudenza di legittimità, da tener presente ai fini della legittimità del
recesso, oltre l’appartenenza del lavoratore al reparto operativo soppresso o
ridotto.

13. I suddetti motivi devono essere trattati
congiuntamente in ragione della loro connessione.

Gli stessi sono inammissibili.

Il lavoratore nel ripercorrere le vicende e la
documentazione di causa, che anche in detti motivi si limita a richiamare senza
indicarne il luogo di produzione in giudizio o trascriverne il contenuto, pur
prospettando i vizi di violazione di legge, error in procedendo e omesso esame,
chiede a questa Corte una rivalutazione delle risultanze istruttorie, rispetto
alla Corte di Appello, nei sensi da lui indicati, e rispetto alla propria
diversa ricostruzione e valutazione delle risultanze istruttorie deduce
l’erronea applicazione della disciplina in materia e dei relativi principi
giurisprudenziali.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare è
inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale, come quelli in
esame nella specie, si intenda far valere rispetto alla ricostruzione dei fatti
operata dal giudice, il diverso convincimento soggettivo della parte e, in
particolare, si prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei
dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di
discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei
fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi
del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della
disposizione citata.

In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso
si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e
dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta
all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle
finalità del giudizio di cassazione (Cass., n. 7394 del 2010).

Peraltro, i motivi sovrappongono questioni che
attengono alla ricostruzione dei fatti oggetto di causa e profili giuridici,
sicché finisce per assegnare inammissibilmente al giudice di legittimità il
compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di
ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di
esse (Cass. n. 26790/2018).

Occorre ricordare, infatti, che l’orientamento
secondo cui un singolo motivo può essere articolato in più profili di
doglianza, senza che se ne debba affermare l’inammissibilità (Cass. S.U.
n.9100/2015), trova applicazione solo nel caso, che qui non ricorre, di
formulazione che permetta di cogliere con chiarezza quali censure siano
riconducibili alla violazione di legge e quali, invece, all’accertamento dei
fatti, contestato, tra l’altro, nella fattispecie senza il rispetto dei limiti
fissati dal nuovo testo dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come interpretato
dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8053/2014.

14. Con il settimo motivo di ricorso (indicalo come
V, pag. 53 del ricorso) è dedotta la violazione dell’art. 5, comma 2, della
legge 223 del 1991 (art. 360, n. 3). Il ricorrente assume che la valutazione
circa il rispetto del divieto di licenziare una percentuale di manodopera
femminile superiore a quella impiegata per quelle mansioni deve essere
effettuata in relazione all’intero complesso aziendale e il riferimento deve
essere alle mansioni di inquadramento.

15. Il motivo non è fondato.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare
(Cass. n. 14254 del 2019) l’art. 5, comma 2, della legge n. 223 del 1991,
secondo cui “l’impresa non può altresì licenziare una percentuale di
manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile
occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione”, deve essere
interpretato secondo il tenore letterale della norma quale elemento di
interpretazione fondamentale e prioritario di ermeneutica ex art. 12, disp. prel.
cod. civ. Ne consegue che il confronto da operare in relazione al personale da
espungere dal ciclo produttivo, va innanzitutto circoscritto all’ambito delle
mansioni oggetto di riduzione, cioè all’ambito aziendale interessato dalla
procedura, così da assicurare la permanenza, in proporzione, della quota di
occupazione femminile sul totale degli occupati. Sotto il medesimo profilo, la
disposizione de qua non prevede una comparazione fra numero di lavoratori dei
due sessi prima e dopo la collocazione in mobilità; essa impone invece di
verificare la percentuale di donne lavoratrici, e poi consente di mettere in
mobilità un numero di dipendenti nel cui ambito la componente femminile non
deve essere superiore alla percentuale precedentemente determinata.

Di tali principi la Corte d’Appello ha fatto
corretta applicazione, atteso che nel settore dei formatori di sostegno ove si
era registrato un esubero di n. 3 unità su 4, pur risultando primo per
punteggio il reclamante era stato escluso in favore della seconda in graduatoria
in ragione della disciplina sopra richiamata.

16. In via conclusiva il ricorso deve essere
rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di,
liquidate come da dispositivo.

17. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del
d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla legge 24.12.12 n. 228, deve darsi
atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della
ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio
del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese di giudizio che liquida in e 200,00 per esborsi ed €
5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali
nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
I quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit.
art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 settembre 2021, n. 26454
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