La valutazione del principio di immediatezza nella contestazione dell’addebito disciplinare deve tener conto della complessità del fatto, della struttura organizzativa e dei necessari accertamenti, essendo ammissibile un periodo di tempo più o meno lungo tra la conoscenza del fatto e l’avvio della procedura disciplinare.
Nota a Cass. 24 agosto 2021, n. 23332
Daniele Magris
“Nel licenziamento per giusta causa, il principio dell’immediatezza della contestazione dell’addebito deve essere inteso in senso relativo, potendo In concreto essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti siano molto laboriosi e richiedano uno spazio temporale maggiore, e non potendo, nel caso in cui il licenziamento sia motivato dall’abuso di uno strumento di lavoro, ritorcersi a danno del datore di lavoro l’affidamento riposto nella correttezza del dipendente, o equipararsi alla conoscenza effettiva la mera possibilità di conoscenza dell’illecito, ovvero supporsi una tolleranza dell’azienda a prescindere dalla conoscenza che essa abbia degli abusi del dipendente”.
Questo, l’importante principio ribadito dalla Corte di Cassazione 24 agosto 2021, n. 23332 (conf. ad App. Napoli 30 ottobre 2018; v. anche Cass. n. 10069/2016, in q. sito con nota di G.I. VIGLIOTTI e n. 12193/2020, annotata in q. sito da V. BI BELLO), la quale precisa che la valutazione dell’immediatezza della contestazione va operata alla luce dei “contrapposti interessi del datore di lavoro a non avviare procedimenti senza aver acquisito i dati essenziali della vicenda e del lavoratore a vedersi contestati i fatti in un ragionevole lasso di tempo dalla loro commissione”. È cioè necessario che il datore di lavoro abbia acquisito una compiuta e meditata conoscenza dei fatti oggetto di addebito nel bilanciamento con il diritto di difesa del lavoratore (così, Cass. n. 29627/2018, annota in q. sito da G.I. VIGLIOTTI; v. anche Cass. n. 12712/2017, in q. sito con nota di P. PIZZUTI).
Stante la relatività del concetto di immediatezza, la sua verifica deve tener conto della complessità del fatto e degli accertamenti nonché della complessità della struttura organizzativa dell’impresa datrice di lavoro perché è sempre ammissibile un lasso temporale più o meno lungo liberamente valutabile dal giudice, tra la conoscenza del fatto e l’avvio della procedura disciplinare…”.
La valutazione delle ragioni che possono cagionare il ritardo (quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa), è riservata al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (Cass. n. 16841/2018).
In particolare, i requisiti della immediatezza e tempestività condizionanti la validità del licenziamento per giusta causa sono compatibili con un intervallo di tempo nell’ipotesi in cui il comportamento del lavoratore si concretizzi in una serie di fatti che, convergendo a comporre un’unica condotta, esigono una valutazione globale ed unitaria dalla parte datoriale.
Lo stesso principio di immutabilità della contestazione dell’addebito disciplinare ex art. 7 Stat. Lav., se da un lato, preclude al datore di lavoro di licenziare per motivi diversi da quelli contestati, dall’altro, “non vieta di considerare fatti non contestati e situati a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti posti a base del licenziamento, ai fine della valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatone del datore di lavoro” (v. Cass. n. 1145/2011 e n. 21795/2009).
Più specificamente, il giudice può valutare condotte pregresse del lavoratore che “non configurino autonome o concorrenti ragioni di recesso, ma rappresentino soltanto circostanze meramente confermative – sotto il profilo psicologico e con riguardo alla personalità del lavoratole – della gravità dell’addebito contestato e dell’adeguatezza del provvedimento sanzionatore” (in questo senso, Cass. n. 412/1990). E ciò, anche quando la contestazione del comportamento disciplinarmente rilevante non sia stato contestato subito dopo il suo verificarsi, bensì in ritardo ed anche quando la contestazione sia attuata soltanto unitamente al fatto ultimo da sanzionare (Cass. n. 11410/1993).
Nel caso sottoposto al giudizio della Corte, anche se il ccnl per le aziende sanitarie applicabile alla fattispecie prevede che la contestazione disciplinare debba “essere inviata al lavoratore non oltre il termine di trenta giorni dal momento in cui gli organi direttivi sanitari ed amministrativi delle Strutture … hanno avuto effettiva conoscenza della mancanza commessa”, la Cassazione esclude, sulla base di un’interpretazione letterale della disposizione contrattuale, che le parti abbiano inteso introdurre un termine perentorio per l’esercizio di quel potere” ed afferma il carattere ordinatorio del termine di trenta giorni previsto dal contratto (v. in senso conforme, Cass. n. 24529 /2015).