Le regole attinenti alla determinazione, da parte dei contratti collettivi, della retribuzione da assumere ai fini del calcolo dei contributi previdenziali, sono disciplinate dalla L. n. 389/89 e dalla L. n. 402/96, le quali non hanno efficacia retroattiva.
Nota a Cass., ord., 22 settembre 2021, n. 25730
Silvia e Rossella Rossi
“L’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che sarebbe dovuta, ai lavoratori di un determinato settore, in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale; si tratta del c.d. “minimale contributivo”, come disciplinato dall’art. 1, DL. n. 338/1989. conv. con mod. nella L. n. 389/1989, poi autenticamente interpretata dall’art. 2, co. 25, L. n. 549/1995 (v. Cass. SU. n. 11199/2002).
Questo, il principio ribadito dalla Corte di Cassazione (ord. 22 settembre 2021, n. 25730, diff. da App. Venezia n. 429/2014) la quale precisa che al suddetto impianto normativo non può essere attribuita efficacia retroattiva nel senso che le regole ivi poste per determinare la retribuzione valida ai fini previdenziali non dovrebbero applicarsi anche ai contributi da versare anteriormente alla sua entrata in vigore.
Inoltre, la Corte specifica che:
a) la legge determina un imponibile “minimo” da sottoporre a contribuzione, al di sotto del quale non è possibile scendere, ancorché la retribuzione dovuta ed erogata al lavoratore sia inferiore;
b) per la determinazione di tale imponibile funge da parametro il contratto collettivo, il quale costituisce lo strumento idoneo ad adempiere alla funzione di tutela assicurativa, nonché a garantire l’equilibrio finanziario della gestione;
c) la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi, in caso di pluralità di accordi collettivi per la medesima categoria, è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative della categoria (c.d. contratto leader);
d) “la retribuzione contributiva è stata quindi ancorata ad una nozione di retribuzione “virtuale”, poiché la retribuzione stabilita dal contratto collettivo non è sempre e necessariamente quella dovuta al dipendente, quest’ultima infatti ben può essere legittimamente inferiore nel caso appunto in cui non sia obbligatoria l’applicazione della contrattazione collettiva di diritto comune”;
e) anche se, esclusivamente ai fini previdenziali, si è posto un limite minimo “incomprimibile” di retribuzione al di sotto del quale non si può scendere, resta ferma la piena operatività degli accordi collettivi diversi da quelli stipulati dai sindacati maggiormente rappresentativi (ad es. gli accordi aziendali), ovvero degli accordi individuali che determinino una retribuzione superiore al minimale.