Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 ottobre 2021, n. 27790
Rapporto di lavoro, Responsabilità risarcitoria dei
dipendenti, Operazioni irregolari in relazione alla posizione del cliente,
Determinazione della percentuale del danno
Rilevato che
Il Tribunale di Pisa respingeva la domanda proposta
dalla Cassa di Risparmio di S. Miniato nei confronti nei propri ex dipendenti
N.B. e P.B. volta a conseguire il risarcimento del danno risentito per effetto
di una serie di operazioni irregolari in spregio alle esplicite direttive
ricevute in relazione alla posizione del cliente V.;
detta pronuncia veniva riformata dalla Corte
distrettuale che all’esito di ampio scrutinio delle acquisizioni probatorie e
degli esiti degli accertamenti peritali, condannava il B. al pagamento della
somma di euro 562.847,00 e la B. al pagamento dell’importo di euro 375.232,00;
avverso tale decisione N.B. e P.B. interpongono
ricorso per cassazione sostenuto da cinque motivi, ai quali oppone difese la
società intimata con controricorso illustrato da memoria ex art. 380 bis
c.p.c.;
N.B. ha successivamente depositato atto di rinuncia
al ricorso ex art. 390 c.p.c. notificato alla controricorrente che ha dato atto
di averla accettata;
Considerato che
1. deve innanzitutto rilevarsi la intervenuta
rinuncia di N.B. al presente ricorso, mediante atto che risulta notificato alla
controparte e dalla stessa accettato;
la rinuncia al ricorso comporta l’estinzione del
processo (ai sensi degli art. 390 e 391 c.p.c.), che, nella specie, deve essere
dichiarata con ordinanza – anziché nella forma alternativa del decreto
presidenziale (art. 391, 1° comma c.p.c., cit.) – in dipendenza dell’adozione
del provvedimento a seguito della Adunanza camerale (argomenta da Cass.
n.6407/2004, Cass.n.10841/2003 delle Sezioni Unite; Cass. n. 11211/2004, Cass.
n. 1913/2008);
va pertanto dichiarata l’estinzione del processo con
riferimento al ricorso proposto dalla B., nulla disponendosi in ordine al
governo delle spese del presente giudizio, in quanto l’adesione dell’Istituto
di credito alla rinuncia, dispensa dalla pronuncia sulle spese processuali (ai
sensi dell’art. 391, 4° comma, c.p.c., cit.);
dalle enunciate premesse, discende l’assorbimento
della seconda censura, formulata ex art. 360 comma primo n.5 c.p.c., con
riferimento alla posizione della B.;
2. con il primo motivo di ricorso, P.B. denuncia
violazione dell’art.132 c. 2 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma primo
n.3 c.p.c.;
critica la statuizione con la quale la Corte
distrettuale ha fondato il giudizio di responsabilità degli ex dipendenti sulla
aperta e consapevole violazione delle specifiche direttive ricevute dalla
Cassa;
prospetta la grave illogicità ed irriducibile
contraddittorietà della proposizione con la quale il giudice del gravame aveva
rimarcato che a far tempo dall’11 marzo 2003 erano state impartite
dall’Istituto di credito esplicite diffide relative al rapporto con il cliente
V., nel contempo ipotizzando una responsabilità risarcitoria dei dipendenti con
riferimento alle operazioni intercorse fra il 28 febbraio ed il 10 marzo; il
discrimine temporale individuato dalla Corte, implicava che le condotte assunte
precedentemente, avessero ricevuto l’implicito consenso dell’Istituto;
evidenzia altresì l’erroneità dell’assunto relativo
alla sussistenza di una responsabilità solidale fra gli ex dipendenti, che era
il frutto del compimento di operazioni svolte in autonomia da ciascuno di essi;
la percentuale del danno stabilita in misura diversa per ciascuno dei
ricorrenti era casuale, e comportava comunque che fossero state attribuite ad
ognuno di essi, alcune operazioni che erano state svolte da altri;
3. il terzo motivo attiene all’omesso esame di un
fatto decisivo, per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti
ex art. 360 comma primo n.5 c.p.c.;
ci si duole che la Corte distrettuale non abbia
preso in esame il profilo di denunciata violazione dell’art.1227 c.c. stante la
grave carenza.del » sistema di controlli interni della Cassa – tenuto conto che
la posizione del V. era stata segnalata dalla Banca d’Italia come critica – che
avrebbe dovuto indurre a pervenire ad una riduzione del risarcimento danni in
relazione al significativo contributo colposo apportato dalla parte datoriale;
4. il quarto e il quinto motivò prospettano omessa
pronuncia ex art. 360 comma primo n.4 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c.
(quarto motivo) nonché violazione dell’art. 1227 c.c. ex art. 360 c. 1 n.3
c.p.c. unitamente all’error in procedendo ex art. 360 comma primo n. 4 c.p.c.
(quinto motivo), denunciando la medesima carenza già stigmatizzata con la
censura;
5. i motivi, che possono congiuntamente trattarsi
per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, non sono
ammissibili;
deve escludersi che nello specifico, la Corte
distrettuale sia incorsa in violazione della legge processuale tale da
trasfondere in vizio radicale della motivazione sanzionato dalle invocate
disposizioni del codice di rito;
in materia di contenuto della sentenza, affinché sia
integrato il vizio di “mancanza della motivazione” agli effetti di
cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., occorre che la motivazione manchi del
tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo
svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna
argomentazione – ovvero che essa formalmente esista come parte del documento,
ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non
permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del
“decisum”;
questa enunciazione riassuntiva corrisponde a
consolidato principio espresso dalla giurisprudenza della Corte, secondo cui la
mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito
indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza
di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare
la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o fra di
loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente
incomprensibili, e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sé,
restando esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla
sufficienza e razionalità della motivazione medesima in raffronto con le
risultanze probatorie (ex aliis vedi Cass. 19/8/2009 n. 20112, Cass. S.U.
3/11/2016 n. 22232);
in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma
1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con
modif., dalla I. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per
cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione
della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla
motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del
“minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.,
individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132,
comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di
“mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento
giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta
ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od
incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può
essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia
formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una
diversa soluzione della controversia (vedi Cass. 12/10/2017 n. 23940, Cass.
14/2/2020 n. 3819);
rimangono quindi estranee al vizio di legittimità
“riformato”, tanto la censura di “contraddittorietà” della
motivazione (peraltro attinente ad una incompatibilità logica intrinseca al
testo motivazionale, in guanto determinata dalla reciproca elisione di
affermazioni oggettivamente contrastanti, non altrimenti risolvibile, che
impedisce di discernere quale sia il diritto applicato nel caso concreto: cfr.
Cass. Sez. U, Sentenza n. 25984 del 22/12/2010), quanto la censura che,
anteriormente alla modifica della norma processuale, veicolava il vizio di
“insufficienza” dello svolgimento argomentativo, con il quale veniva
imputato al Giudice di merito di avere tratto, dal materiale probatorio
esaminato, soltanto alcune delle conseguenze logiche che il complesso
circostanziale avrebbe consentito di desumere, pervenendo ad un accertamento
meramente parziale della “res litigiosa”, ovvero – di non avere
considerato elementi costituenti “fatti secondari” che – se pur non
decisivi, da soli, a fornire la prova contraria favorevole al ricorrente
tuttavia – erano idonei ad inficiare o quanto meno a revocare in dubbio la
efficacia dimostrativa (dei fatti costitutivi della pretesa) attribuita ai
diversi elementi indiziari utilizzati dal Giudice a fondamento della decisione,
ovvero ancora erano idonei ad evidenziare eventuali lacune o salti logici dello
stesso ragionamento rispetto alla corretta applicazione dei criteri
induttivo-deduttivo della logica formale;
la nuova formulazione del vizio di legittimità,
introdotta dall’art. 54 co. 1, lett. b), del DL 22 giugno 2012 n. 83,
convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 (recante
“Misure urgenti per la crescita del Paese”), che ha sostituito il n.
5 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c., ha infatti limitato la impugnazione delle
sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola
ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di
fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane
circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel
suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma
6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata
giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in
relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito
essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta
ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile)
che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che
determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto
requisito di validità;
nello specifico, il prospettato vizio di
irredimibile contraddittorietà della motivazione di tale gravità da tralignare
in violazione del minimo costituzionale, non appare attagliarsi alla
motivazione che innerva l’impugnata sentenza, avendo la Corte distrettuale
congruamente dato conto del proprio convincimento in ordine alla globale
ascrivibilità al direttore di filiale B. delle complessive operazioni attinenti
alla posizione del V. in relazione all’intero periodo dedotto in lite;
è stato, infatti, rimarcato come esse si fossero
sostanziate in operazioni “eccedenti dalle autonomie concesse a questi
ultimi, nonché dal fido ricevuto dal cliente e, secondo i rilievi del Collegio
Sindacale…anche con l’utilizzo di accorgimenti per occultare agli organi
preposti a controllo, l’evidenza delle operazioni (utilizzo di causali
improprie, operatività c/c diverso, utilizzo di sportello diverso, utilizzo di
matricole altrui)”; ha quindi soggiunto che ad attenuare la responsabilità
del ricorrente non giovava il compimento di simili operazioni anteriormente al
febbraio 2003, non prontamente rilevato in ragione delle carenze del sistema di
controllo interno, e ciò, evidentemente, stante la intrinseca, strutturale,
patente illegittimità della attività compiuta;
in realtà il ricorrente – con censure peraltro in
talune parti carenti sotto il profilo del rispetto del principio di specificità
che governa il ricorso per cassazione in quanto non riportano compiutamente gli
atti e documenti ai quali fa riferimento (vedi primo motivo con riferimento ai
dati acquisiti ai sensi della CTU) – tramite la denuncia di errores in
procedendo o in iudicando, intende pervenire ad una rinnovata valutazione del
compendio istruttorio, non consentita in questa sede di legittimità;
ciò è rilevabile anche con riferimento al diniego di
riconoscimento del concorso di colpa dell’Istituto per la temporanea inefficienza
dei sistemi di controllo in relazione al periodo 28/2-11/3/2003, intendendo il
ricorrente accreditare la tesi che dette operazioni fossero state compiute con
la conoscenza e l’approvazione implicita dei competenti organi della Cassa, con
approccio meramente contrappositivo rispetto alla statuizione impugnata,
inidoneo a validamente radicare i vizi denunciati giacche, sotto l’apparente
deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di
contraddittorietà di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per
il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte
di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione (cfr. Cass.,
Sez. Un., 17/12/2019 n. 33373, Cass. S.U. 27/12/2019 n. 34476); fatti che
risultano peraltro, interpretati dal giudice di seconda istanza, in armonia con
le precedenti decisioni in tema di legittimità del licenziamento che in questa
sede di legittimità hanno scrutinato la vicenda dalla quale emergeva con
evidenza la responsabilità del ricorrente in ordine alla mancanza a lui
ascritta (vedi Cass. n. 1174/2018);
in definitiva, alla stregua delle superiori
argomentazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile;
il regime delle spese segue il principio della
soccombenza nella misura in dispositivo liquidata;
trattandosi di giudizio instaurato successivamente
al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi del comma
1 quater aII’art. 13 DPR 115/2002 – della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso
a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara estinto il processo in relazione al ricorso
proposto da N.B.; dichiara inammissibile il ricorso proposto da P.B. Condanna
il ricorrerete al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in
euro 200,00 per esborsi ed euro 7.000,00 per compensi professionali, oltre
spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello
stesso articolo 13, ove dovuto.