Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 ottobre 2021, n. 37085
Reati tributari, Indebito utilizzo in compensazione di
crediti previdenziali inesistenti, Reato di indebita percezione di erogazioni
a danno dello Stato ex art. 316-ter cod. pen, Esclusione, Reato di indebita
compensazione ex art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000, Soglia di punibilità
Ritenuto in fatto
1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di
Reggio Calabria, adito ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen., riformava
parzialmente il provvedimento impugnato, riducendo la misura del vincolo fino
alla concorrenza di un nuovo importo, e confermava nel resto il medesimo
decreto del 3 novembre 2020 con il quale il Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Reggio Calabria aveva disposto l’applicazione della misura
cautelare del sequestro preventivo di beni (finalizzato in parte alla confisca
diretta e in parte a quella per equivalente) nei confronti di A.D., sottoposto
ad indagini in relazione al reato di cui agli artt. 81 e 316-ter cod. pen., per
avere indebitamente percepito dallo Stato erogazioni in termini di risparmio di
spesa, portando a conguaglio, negli anni 2013, 2014 e 2015, importi per assegni
nucleo familiare, invero mai corrisposti ai propri dipendenti né da questi
richiesti.
2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il
D., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto la violazione
di legge, per avere il Tribunale del riesame erroneamente qualificato i fatti
accertati, integranti gli estremi non del delitto di cui all’art. 316-ter cod.
pen., bensì del delitto di cui all’art. 10- quater del d.lgs. n. 74 del 2000,
in concreto insussistente per il mancato superamento della soglia di
punibilità; nonché per avere omesso di considerare che i reati ipotizzati si
sarebbero oramai in gran parte prescritti.
Considerato in diritto
1. Ritiene la Corte che il ricorso vada accolto.
2. L’art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74,
recante la rubrica “Indebita compensazione” (introdotto dall’art. 35, comma 5,
del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006,
n. 248, e poi modificato dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. 24 settembre 2015, n.
158, prevede come reato la condotta chiunque non versa le somme dovute,
utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo
9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti o crediti inesistenti, per un
importo annuo superiore a cinquantamila euro.
E ben nota a questo Collegio l’esistenza di un
contrasto interpretativo in ordine alla definizione dell’ambito di
configurabilità di tale delitto: per un primo indirizzo, il reato in questione
riguarda l’omesso versamento di somme di denaro attinente a debiti, sia
tributari, sia di altra natura, per il cui pagamento debba essere utilizzato il
modello di versamento unitario (così, tra le altre, Sez. 3, n. 389 del
18/09/2020, dep. 2021, Scalvini, Rv. 280776; Sez. 3, n. 13149 del 03/03/2020,
Bonelli, Rv. 279118; Sez. 3, n. 5934 del 12/09/2018, dep. 2019, Giannino, Rv.
275833); per l’indirizzo contrario, la condotta di omesso versamento di cui
all’art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 concerne esclusivamente le somme
dovute a titolo di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, coerentemente con
la sua collocazione all’interno di un testo normativo concernente i soli reati
attinenti dette imposte e con la speciale causa di non punibilità del pagamento
del debito tributario disciplinata dall’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 274 del
2000 in termini incompatibili con obblighi di natura diversa (Sez. 1, n. 38042
del 10/05/2019, Santoro, Rv. 278825).
Questa Corte reputa di dover privilegiare la prima
delle due indicate opzioni esegetiche.
Milita in tal senso il dettato normativo, posto che
il menzionato art. 10-quater fa rinvio alla disciplina del meccanismo di
compensazione dettata dall’art. 17 d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, che, nel
prevedere una serie di norme finalizzate alla semplificazione degli adempimenti
dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore
aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle
dichiarazioni, stabilisce che ciascun contribuente che intenda utilizzare un
modello di versamento unitario delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e
delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti
previdenziali, può operare la compensazione dei crediti e dei debiti
riguardanti lo stesso periodo: ciò anche se i crediti e i debiti sono
concernenti non solo le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto, ma
pure i contributi previdenziali e assistenziali dovuti dai titolari di
posizione assicurativa, dai datori di lavoro e dai committenti di prestazioni
di collaborazione coordinata e continuativa, oltre a taluni specifici premi
assicurativi, imposte, tasse o addizionali previste da leggi speciali.
L’art. 10-quater non pone, in tal senso, alcuna
limitazione operativa alla relativa norma, facendo riferimento genericamente al
mancato versamento delle “somme dovute”. Né conduce a differenti
conclusioni la circostanza che la disposizione in argomento sia stata inserita
in provvedimento legislativo che riguarda specificamente – come puntualizzato
dalla intestazione del decreto – i reati tributari in materia di imposte
dirette e di imposta sul valore aggiunto, in quanto è ben noto come si tratti
di un “contenitore” avente ad oggetto anche violazioni rilevanti penalmente
concernenti altri tributi, come quella prevista dall’art. 11, comma 2. E
neppure il fatto che l’art. 13 dello stesso d.lgs. n. 74 del 2000, nel regolare
la causa di punibilità dovuta al pagamento del debito tributario, parifichi il
reato dell’art. 10-quater a quello degli artt. 10-bis e 10-ter che attengono
all’omesso versamento di ritenute dovute ai fini delle imposte dirette o
all’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, ipotesi queste ultime
che hanno come presupposto comune la differente condotta di chi abbia
correttamente dichiarato il proprio debito tributario.
Non va neppure trascurato come la Consulta – nel
dichiarare la infondatezza di una questione di legittimità costituzionale
avente ad oggetto l’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, sia pur nel testo
anteriore alle modifiche operate dal d.lgs. n. 158 del 2015 – abbia
sottolineato come, superando una concezione restrittiva per cui l’istituto della
compensazione in materia tributaria era ritenuto applicabile ai crediti nei
soli casi eccezionalmente previsti e solo per la cosiddetta compensazione
“verticale”, avente ad oggetto, cioè, crediti e debiti relativi alla
stessa imposta, con il menzionato art. 17 d.lgs. n. 241 del 1997 il legislatore
avesse proposto una concezione innovativa, “consentendo al contribuente di
effettuare un versamento unitario delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS
e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti
previdenziali, (…) in deroga al requisito dell’identità dei soggetti titolari
delle reciproche posizioni debitorie e creditorie, previsto dal codice civile
(art. 1241)”. In tal modo, si è chiarito, a differenza della “compensazione
ammessa in sede di presentazione della dichiarazione annuale relativa alle
imposte sui redditi o al l’iva (solo in forma) “verticale” (…) in sede di
versamento unitario, può procedersi anche (…) alla compensazione
“orizzontale”, ossia tra imposte diverse” (così Corte cost., sent. n. 35
del 2018).
Va, dunque, riaffermato il principio di diritto
secondo il quale il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o
inesistenti, di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, è configurabile,
alla luce dell’ampliamento delle ipotesi di compensazione previste dalle norme
tributarie disposto dall’art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997, sia nel caso di
compensazione “verticale”, riguardante crediti e debiti afferenti
alla medesima imposta, sia in caso di compensazione “orizzontale”,
concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, purché previste dal
predetto d.lgs.
3. Nessun dubbio che, in presenza di una specifica
norma incriminatrice, nel rapporto con l’art. 316-ter
cod. pen. prevalga, in applicazione dell’art. 15 cod. pen., la disposizione
del suddetto art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000 (così Sez. 3, n. 7662 del
14/12/2011, dep. 2012, Moretti, Rv. 251975).
Ritenuto, dunque, che le condotte accertate a carico
dell’odierno ricorrente avrebbero potuto integrare gli estremi del delitto di
cui al citato art. 10-quater, va rilevato come, nel caso di specie, non risulta
superata l’indicata soglia di punibilità di cinquantamila euro per ciascun
periodo annuale. Manca, dunque, il requisito del fumus commissi delicti che
rappresenta il presupposto per l’applicazione del disposto sequestro
preventivo.
Vanno, dunque annullate senza rinvio sia l’ordinanza
impugnata sia il decreto genetico della misura reale, di cui va dichiarata la
perdita di efficacia.
Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti di
legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e il
decreto di sequestro emesso dal Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Reggio Calabria in data 3 novembre 2020. Dichiara la perdita di
efficacia della misura cautelare e manda alla cancelleria per l’immediata
comunicazione al Procuratore generale in sede per quanto di competenza ai sensi
dell’art. 626 cod. proc. pen.