Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 ottobre 2021, n. 27785
Licenziamento, Illegittimità, Reintegrazione nel posto di
lavoro, Requisito dimensionale indispensabile al fine della tutela reale,
Difetto di specificità del patto di prova
Rilevato che
1. la Corte di appello di Milano ha confermato la
sentenza di primo grado che, rilevata l’invalidità del patto di prova apposto
al contratto stipulato da L.C. con H.M. SRL, aveva dichiarato la illegittimità
del licenziamento intimato alla lavoratrice in data 31 luglio 2010 e condannato
la società alla reintegrazione della dipendente nel posto di lavoro, al
risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dalla
data dal recesso a quella di riammissione in servizio e alla regolarizzazione
contributiva;
2. per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso H.M. SRL sulla base di tre motivi illustrati con memoria; la parte
intimata ha resistito con tempestivo controricorso;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente,
deducendo violazione dell’art. 2096 cod. civ., censura la sentenza impugnata
per avere ritenuto il difetto di specificità del patto di prova; in particolare
sostiene che tale requisito era integrato dal rinvio per relationem contenuto
nel contratto individuale alla qualifica di operaio part time con inquadramento
nel livello 5° del c.c.n.l. Commercio applicabile;
2. con il secondo motivo di ricorso, denunziando
nullità della sentenza di appello per violazione degli artt. 416 e 437 cod.
proc. civ., censura la decisione per avere configurato la eccezione della
società relativa alla insussistenza del requisito dimensionale indispensabile
al fine della tutela reale quale eccezione in senso proprio (e non,
conformemente alla giurisprudenza di legittimità, quale eccezione in senso
lato) e quindi preclusa stante la contumacia della società in primo grado;
3. con il terzo motivo di ricorso denunzia nullità
della sentenza per omessa pronunzia sulla domanda svolta in via subordinata nel
“foglio di precisazione delle conclusioni” depositato in vista
dell’udienza del 1.3.2017, domanda con la quale, evidenziato che la lavoratrice
invitata a riprendere l’attività lavorativa aveva inviato una serie di
certificati medici, aveva chiesto che la stessa venisse sanzionata ai sensi
dell’art. 93 cod. proc. civ. << stante il palese abuso degli strumenti
processuali rispetto alla situazione di fatto e di diritto» o quantomeno ai
sensi dell’art. 96, comma 1, cod. proc. civ.; in ulteriore subordine, per
l’ipotesi di conferma dell’applicabilità della tutela reale e pur in presenza
di un contatto di lavoro subordinato a tempo determinato, aveva chiesto di
limitare al minimo di legge l’indennità risarcitoria;
4. il primo motivo di ricorso è infondato. La Corte
di appello ha ritenuto il difetto di specificità (e, quindi, l’invalidità) del
patto di prova apposto al contratto individuale osservando che pur potendo in
astratto le mansioni di adibizione essere individuate per il tramite del rinvio
alle disposizioni collettive, in concreto il riferimento alla posizione di
operaio di 5 livello c.c.n.l. applicabile, e quindi alla sola qualifica di
inquadramento, risultava inidoneo, in difetto di altre indicazioni, a
consentire la identificazione ex ante delle mansioni di concreta adibizione
della lavoratrice e quindi le attività lavorative sulle quali avrebbe dovuto
svolgersi la prova;
4.1. la decisione è conforme alla giurisprudenza
assolutamente maggioritaria di questa Corte, alla quale si rinvia anche ai
sensi dell’art. 118 disp. Att. Cod. proc. civ., secondo la quale il patto di
prova apposto ad un contratto di lavoro deve contenere la specifica indicazione
delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, la quale può essere operata
anche con riferimento alle declaratorie del contratto collettivo, sempre che il
richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione
classificatoria più dettagliata, sicché, se la categoria di un determinato
livello accorpi un pluralità di profili, è necessaria l’indicazione del singolo
profilo, mentre risulterebbe generica quella della sola categoria (Cass.
9597/2017, 11722/2009, 13455/2006, 17045/2005). Il precedente isolato invocato
dal ricorrente, costituito da Cass. 665/2015, che ha affermato, in sintesi,
l’idoneità al fine della valida stipula di un patto di prova del solo
riferimento alla categoria lavorativa prevista dal contratto collettivo ,
perché permette l’assegnazione del lavoratore ad uno dei plurimi profili
rientranti in esso sr da consentire maggiori opportunità di utilizzazione del
lavoratore in azienda, non è condivisibile; esso si rivela poco coerente con la
causa del patto di prova, tradizionalmente individuata nella tutela
dell’interesse di entrambe le parti contrattuali a sperimentare la reciproca
convenienza al contratto di lavoro, la quale postula la puntuale indicazione e
identificazione delle mansioni in relazione alle quali l’esperimento deve
svolgersi (Cass. 13498/2003, 3451/2000, 14538/1999, 5811/1995); ciò anche al
fine di consentire l’adeguato ed effettivo, seppur limitato, controllo
giudiziale sul potere di recesso datoriale nel periodo di prova, controllo
possibile solo allorquando siano ben note e specificate, fin da prima
dell’inizio del periodo di prova, le mansioni dettagliate che il lavoratore
sarà chiamato ad esercitare;
4.2. il rigetto nel merito del motivo di ricorso
assorbe la necessità di esame delle eccezioni di inammissibilità articolate
dalla parte controricorrente;
5. il secondo motivo di ricorso è inammissibile per
difetto di pertinenza con le ragioni della decisione in tema di sussistenza del
requisito dimensionale idoneo a fondare l’applicazione della tutela reale;
5.1. il giudice di appello, premesso che gravava sul
datore di lavoro l’onere della prova dell’insussistenza del requisito
dimensionale per la tutela reale, ha rilevato che la eccezione della società
era tardiva, non in quanto tale, << … (cioè sul piano delle difese in
diritto), ma poiché supportata da tardive inammissibili allegazioni concernenti
il numero degli occupati in organico» ( sentenza, pag. 4, quarto capoverso) ;
secondo quanto si evince dalla parte motiva ora richiamata la tardività non
viene riferita alla eccezione di difetto del requisito dimensionale, che come è
noto, costituisce eccezione in senso lato (Cass.11940/2019, 12907/2017,
26289/2013) e quindi proponibile per la prima volta anche in seconde cure, ma
alla circostanza che le allegazioni in fatto destinate a sorreggerla, relative
al numero degli occupati in organico, erano tardive in quanto formulate dalla
società – contumace in primo grado – solo in grado di appello, tenuto conto
delle obiezioni della lavoratrice. Il motivo in esame non si confronta quindi
con la effettiva ratio decidendi alla base della statuizione in tema di
sussistenza del requisito dimensionale, statuizione che non riposa sul
carattere di eccezione in senso proprio della difesa spiegata a riguardo dalla
società ma sul mancato assolvimento dell’onere di allegazione e prova del
requisito dimensionale che per consolidata giurisprudenza fa carico alla parte
datoriale (Cass. 9867/2017);
6. il terzo motivo di ricorso è da respingere. La
denunzia di omessa pronunzia è inammissibile per difetto di specificità in
quanto parte ricorrente non ha allegato prima ancora che dimostrato che le
domande rispetto alle quali denunzia violazione del principio di corrispondenza
fra il chiesto ed il pronunziato fossero state ritualmente e tempestivamente
formulate, circostanza quest’ultima che sembra anzi esclusa in radice dal fatto
che la odierna ricorrente assume che tali domande erano state proposte nel
“foglio di precisazione delle conclusioni” depositato in vista
dell’udienza del 1.3.2017 e quindi non con il ricorso in appello; quanto alla
misura della indennità risarcitoria la specifica questione della riduzione
della stessa nell’importo minimo, pari a cinque mensilità, quale conseguenza
della condotta della lavoratrice che invitata a riprendere servizio aveva
inviato una serie di certificati medici dimostrando di non avere reale
interesse alla prosecuzione dell’attività lavorativa, non è stata
specificamente affrontata dalla Corte di merito; pertanto, a fronte di ciò,
onde impedire una valutazione di novità della questione, era onere del
ricorrente quello di allegare l’avvenuta deduzione di tale questione innanzi al
giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del
ricorso per cassazione, quello di indicare in quale specifico atto del giudizio
precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex
actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass.
20694/2018, 15430/2018, 23675/2013), come viceversa non è avvenuto;
7. al rigetto del ricorso consegue la
regolamentazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione;
8. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228
del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per i ricorsi, a
norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315/ 2020).
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla
rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.500,00 per compensi
professionali,€ 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del
15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.,
se dovuto.