Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 ottobre 2021, n. 27924
Lavoro, Procedura di mobilità, Inadempimento datoriale
dell’accordo sindacale, Risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale
del lavoratore per mancata assunzione presso altra società
Fatti di causa
1. Con sentenza depositata il 10.7.2018 la Corte di
Cassazione ha pronunciato sul ricorso proposto da F. T. contro S.C. s.p.a.,
avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona del 14.6.2013 avente ad
oggetto l’inadempimento datoriale dell’accordo sindacale stipulato il 4.12.2007
nell’ambito di una procedura di mobilità, e la domanda di risarcimento del
danno patrimoniale e non patrimoniale del lavoratore per mancata assunzione
presso altra società; la Corte ha rilevato l’inammissibilità del ricorso
principale (proposto dal lavoratore) per mancata produzione dell’intero
accordo, coinvolgendo, in ogni caso, le censure una valutazione del fatto.
2. F. T. ne chiede la revocazione sull’assunto che i
giudici di legittimità – laddove hanno ritenuto inammissibile i due motivi del
ricorso principale (oltre che quelli incidentali proposti dalla società) –
sarebbero incorsi nell’errore di percezione previsto dall’art. 395, n. 4
cod.proc.civ. perché non avrebbero considerato che l’accordo sindacale del
4.12.2007 era stato specificamente indicato mediante rinvio alla precisa
ubicazione (“doc. 2 del fascicolo di primo grado”, consistente
nell’integrale produzione di tutto l’accordo) e ciò doveva ritenersi
sufficiente a mente dell’art. 366, n. 6, cod.proc.civ.
3. Considerata la trattazione non partecipata
dell’udienza ai sensi dell’art. 23, comma 8 bis, del d.l. n. 137 del 2020
(convertito nella legge n. 176 del 2020), la Procura generale ha inviato le
proprie conclusioni nel senso dell’ammissibilità del ricorso.
4. Il T. propone ricorso per revocazione affidato a
un motivo, oltre alla riproposizione dei tre motivi proposti con l’originario
ricorso per cassazione, illustrati da memoria ex art.378 cod.proc.civ. La
società resiste con controricorso, illustrato da memoria.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di revocazione si deduce il
travisamento del ricorso per cassazione, risultando dal tenore di detto atto la
produzione dell’accordo sindacale del 4.12.2007 quale doc. n. 2 del fascicolo
di I grado.
2. Il ricorso è inammissibile.
L’errore rilevante ex art. 395 n.4 cod. proc. civ.
consiste nella erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la
supposizione della esistenza o della inesistenza di un fatto la cui verità è
incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa, a condizione che il
fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito materia del dibattito
processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito. Muovendo da detta
premessa questa Corte ha evidenziato che: l’errore non può riguardare la
attività interpretativa e valutativa; deve avere i caratteri della assoluta
evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la
sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni
induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e
decisivo nel senso che tra la percezione erronea e la decisione emessa deve
esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata
sicuramente diversa (Cass. 5.7.2004 n.12283; Cass. 20.2.2006 n.
3652; Cass. 9.5.2007 n. 10637; Cass. 26.2.2008 n. 5075; Cass. 29.10.2010 n.
22171; Cass. 15.12.2011 n.27094).
Nel caso in esame, la sentenza di cui è chiesta la
revocazione ha ritenuto che il T. – per ottenere la riforma della decisione
della Corte di appello di Ancona che, confermando la sentenza del Tribunale di
Ascoli Piceno, aveva quantificato in euro 40.000,00 il danno subito dal
lavoratore come previsto dalle parti nell’accordo del 4.12.2007 – avrebbe
dovuto anzitutto produrre testualmente e per intero l’accordo sindacale
nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità in ossequio al principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, mentre a tale onere non aveva
adempiuto.
L’esigenza nasceva dal livello di specificità delle
censure necessario per identificare l’errore imputabile alla sentenza gravata,
in relazione alla corretta interpretazione dell’accordo sindacale 4.12.2007,
come è reso evidente dal richiamo alla motivazione (del pari di inammissibilità)
concernente il ricorso incidentale con la giurisprudenza di legittimità ivi
citata, che ritiene indispensabile l’indicazione dell’ubicazione dell’atto
oggetto di doglianza e la trascrizione nella sua completezza.
Poiché col ricorso per revocazione non si attacca
l’affermazione della sentenza di cui è chiesta la revocazione, secondo cui nel
ricorso per cassazione non risultavano testualmente trascritte le clausole
dell’accordo, senza nulla dedurre in ordine alla specificità dei motivi di ricorso
veicolata tramite la trascrizione integrale dell’accordo, l’errore denunciato
non si concreta in una falsa percezione della realtà documentale da parte del
giudice di legittimità, ma – secondo la stessa prospettazione del ricorrente –
nel recepimento del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione in
una accezione e con un contenuto (necessità della trascrizione testuale delle
risultanze documentali ritenute rilevanti) errati, così come errato sarebbe
stato il convincimento della Corte che le fosse vietato l’esame dell’atto.
Siffatto errore, però, alla luce della ricordata giurisprudenza di legittimità,
non risponde al modello legale dell’errore revocatorio, bensì, in via di mera
ipotesi, configura, secondo la prospettazione del T., un errore di valutazione
giuridica, non denunciabile in questa sede, circa il contenuto delle norme
processuali e circa gli obblighi di indagine che ne derivavano per il giudice
(cfr. in materia di revocazione e di principio di autosufficienza, Cass. n.
11408 del 2000, Cass. n. 14608 del 2007, Cass. n. 20635 del 2017, Cass. n.
31311 del 2018, Cass. n.20081 del 2019, Cass. n. 14127 del 2020).
Non ricorre, pertanto, alcun errore di percezione e
la decisione oggetto di revocazione si è limitata ad applicare il principio di
autosufficienza più volte ribadito da questa Corte (cfr. ex plurimis Cass. nn.
2560 e 4178 del 2007; Cass. n. 3075 del 2006; Cass. n. 11699 del 2013).
3. Va ulteriormente rilevato che la sentenza oggetto
di revocazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso principale (del T.)
non solo per i profili ricollegati all’autosufficienza ma anche, sulla base di
un’autonoma e distinta ratio decidendi, con
riguardo alla valutazione delle censure proposte dal lavoratore in
quanto concernenti esclusivamente profili di merito (“In ogni caso, le
censure coinvolgono una valutazione del fatto da parte del giudice di merito,
che ha peraltro anche tenuto conto della rioccupazione del T. per un
anno”). A prescindere, dunque, dall’onere probatorio concernente l’accordo
sindacale, la proposizione del ricorso per revocazione non è decisivo, essendo
– la sentenza – fondata su due rationes decidendi autonome e concorrenti,
ognuna idonea a sorreggere l’inammissibilità del ricorso principale proposto
dal T..
4. In conclusione, il ricorso è inammissibile e le
spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91
cod.proc.civ. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto
dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L.
24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in euro
200,00 per esborsi e in euro 2.600,00 per compensi professionali, oltre spese
generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.