Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 ottobre 2021, n. 28353

Sanzione disciplinare, Sospensione dal lavoro e dalla
retribuzione, Rifiuro della conduzione di un treno adibito al trasporto merci

Premesso

 

che con sent. n. 634/2017, depositata il 19 giugno
2017, la Corte di appello di Bologna ha respinto il gravame di T. S.p.A. e
confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima
sede aveva annullato la sanzione disciplinare della sospensione per tre giorni
dal lavoro e dalla retribuzione applicata a F.G. e ad A.C. per essersi gli
stessi rifiutati, in data 9/1/2012, pur dopo averne ricevuto ordine scritto, di
condurre un treno adibito al trasporto merci con il modulo di “equipaggio
misto” (vale a dire con a bordo soltanto un Tecnico Polifunzionale Cargo)
e, pertanto, nell’assenza di altro macchinista o agente abilitato alla guida;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione T. S.p.A. con tre motivi, assistiti da memoria, cui hanno resistito
i lavoratori con controricorso;

 

rilevato

 

che con il primo motivo, deducendo la violazione o
falsa applicazione degli artt. 1453 ss. e 1375 cod. civ., anche in connessione
con l’art. 7 I. n. 300/1970, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella
parte in cui ha ritenuto di individuare nel caso in esame una causa di
giustificazione putativa, sul rilievo che i due macchinisti avevano valutato,
non superficialmente e senza fondamento, che la prestazione del servizio ad
equipaggio misto potesse costituire un pericolo per sé e per gli altri e che
fosse di conseguenza loro dovere rifiutarne lo svolgimento, trattandosi di
motivi irrilevanti a giustificare l’inadempimento contrattuale in cui si era
sostanziato il fatto oggetto di contestazione;

– che con il secondo motivo, deducendo la violazione
o falsa applicazione dell’art. 7 I. n. 300/1970 e dell’art. 2697 cod. civ., T.
S.p.A. censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che il rifiuto della
prestazione trovasse giustificazione in un dato oggettivo, mentre sarebbe
spettato ai lavoratori dimostrare la effettiva (e non soltanto percepita)
pericolosità di un servizio ad equipaggio misto: modulo peraltro accettato
qualche mese dopo i fatti anche dall’organizzazione sindacale di appartenenza
dei lavoratori e senza che alcuna modifica o ulteriore misura di sicurezza vi
fosse introdotta;

– che con il terzo motivo, deducendo la violazione o
falsa applicazione dell’art. 51, lett. h), C.C.N.L. Attività Ferroviarie 2003,
anche in connessione con gli artt. 1460 e 1375 cod. civ., la società ricorrente
censura la sentenza perché, nell’esaminare la disposizione collettiva (secondo
la quale il lavoratore “non deve comunque eseguire l’ordine” inerente
all’esplicazione delle proprie mansioni “quando la sua esecuzione possa
comportare la violazione di norme penalmente sanzionate”), non aveva
considerato che l’omissione colposa di tutele antinfortunistiche non è
ascrivibile al lavoratore, il quale esegua l’ordine ricevuto nel rispetto dei
regolamenti, ma unicamente al datore di lavoro;

 

osservato

 

che il primo e il secondo motivo, da esaminarsi
congiuntamente in quanto connessi, sono

infondati;

– che si deve premettere che il datore di lavoro è
obbligato ad assicurare condizioni di lavoro idonee a garantire la sicurezza
delle lavorazioni e, in particolare, è tenuto ad adottare nell’esercizio
dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e
la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità
morale dei prestatori di lavoro (art. 2087 cod. civ.);

– che per la giurisprudenza di questa Corte la
violazione dell’obbligo di sicurezza legittima i lavoratori a non eseguire la
prestazione, eccependo, ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., l’altrui
inadempimento (Cass. n. 10553/2013, fra le numerose conformi);

– che nel solco di tale consolidato orientamento è
stato altresì precisato che “In caso di violazione da parte del datore di
lavoro dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 cod. civ., è legittimo, a
fronte dell’inadempimento altrui, il rifiuto del lavoratore di eseguire la
propria prestazione, conservando, al contempo, il diritto alla retribuzione in
quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta
inadempiente del datore” (Cass. n. 6631/2015);

– che infatti la protezione dei beni, anche di
rilievo costituzionale, presidiati dall’art. 2087 cod. civ. postula meccanismi
di tutela delle situazioni soggettive potenzialmente lese in tutte le forme che
l’ordinamento riconosce: con la conseguenza che, al fine di garantire
l’effettività della tutela in ambito civile, sono legittimamente esperibili non
solo azioni volte all’adempimento dell’obbligo di sicurezza o alla cessazione
del comportamento lesivo, ovvero a riparare il danno subito, ma anche
l’esercizio del potere di autotutela contrattuale rappresentato dall’eccezione
di inadempimento, con il rifiuto dell’esecuzione di una prestazione in ambiente
nocivo soggetto al dominio dell’imprenditore (Cass. n. 836/2016);

– che, in tema di responsabilità ex art. 2087 cod.
civ., grava sul datore di lavoro, ai fini del superamento della presunzione di
cui all’art. 1218 cod. civ., l’onere di dimostrare di aver rispettato le norme
specificamente stabilite in relazione all’attività svolta e di avereadottato
tutte le misure che, in considerazione della peculiarità dell’attività e tenuto
conto dello stato della tecnica, siano necessarie per tutelare l’integrità del
lavoratore (Cass. n. 14468/2017, fra le molte conformi);

– che, nella specie, risulta peraltro che il Tecnico
Polifunzionale Cargo sia abilitato “ad 
assicurare l’arresto e l’immobilizzo del treno in caso di
emergenza” (come da Accordo sindacale del 17 novembre 2010: cfr. ricorso
per cassazione, p. 5) ma non a condurre il convoglio, in caso di malore del
macchinista, fino alla stazione più vicina o comunque fino ad un tratto della
linea ferroviaria in cui, per la presenza di vie di accesso, sia possibile la
prestazione di adeguata assistenza medica;

– che su tale (pacifico) presupposto di fatto è,
pertanto, da ritenere che la sentenza di appello abbia fatto corretta
applicazione dei principi di diritto richiamati, là dove (p. 13) ha rilevato
come i lavoratori, a fronte dell’inadempimento datoriale, fossero legittimati a
non eseguire la loro prestazione;

– che è parimenti infondato il terzo motivo di
ricorso;

– che l’art. 51 C.C.N.L. Attività Ferroviarie del 16
aprile 2003 prevede invero, alla lett. h), che il lavoratore, anche quando gli
sia rinnovato per iscritto un ordine attinente alla esplicazione delle proprie
funzioni o mansioni, “non deve comunque” eseguirlo “quando la
sua esecuzione possa comportare la violazione di norme penalmente
sanzionate”;

– che, per effetto di tale disposizione collettiva,
il lavoratore assume la titolarità di una posizione di garanzia (la quale può
derivare anche da una fonte di natura privatistica e pure da una mera
situazione di fatto: Cass. pen., Sez. IV, 9 aprile 2019, n. 24372) e cioè la
titolarità di una posizione rilevante ai sensi dell’art. 40, secondo comma,
cod. pen., per il quale “non impedire un evento, che si ha l’obbligo
giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”;

– che risulta, pertanto, esente da censure la
sentenza impugnata, là dove, facendo propria la decisione di altra corte di
merito in fattispecie analoga, ha escluso la configurabilità di un illecito
disciplinare nel caso in esame, sul rilievo di una responsabilità penale del
macchinista, per l’evento lesivo eventualmente occorso in una situazione di
fatto caratterizzata da pericolo per la sicurezza dei trasporti e l’incolumità
di terzi, derivante “dall’avere ottemperato ad una direttiva (conduzione
del treno con il modulo Agente Solo) che lo stesso contratto collettivo gli
consentiva di non osservare” (p. 14);

 

ritenuto

 

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo

 

P.Q.M.

 

respinge il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per
esborsi e in euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese
generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

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