L’azienda che intenda procedere a licenziamenti collettivi per riduzione di personale deve informare i sindacati, senza limitarsi a comunicare la decisione assunta, ma estendendo l’informativa alla formazione della suddetta decisione.
Nota a Trib. Firenze 20 settembre 2021
Flavia Durval
La procedura di riduzione del personale in violazione dei diritti di informazione è antisindacale ex art. 28 Stat. Lav.
Il principio è affermato dal Tribunale di Firenze 20 settembre 2021, n. 1685, il quale osserva che la legge (L. 23 luglio 1991, n. 223, L. 29 dicembre 1990, n. 428 nonché D.P.R. n. 218 del 2000) contempla una vera e propria procedimentalizzazione delle decisioni in materia di occupazione ed esuberi. Ciò, al fine di “consentire al sindacato di esercitare al meglio le proprie funzioni, ivi compresa quella di condizionare (con le ordinarie e legittime modalità di confronto ed eventualmente di contrasto) le future determinazioni e scelte gestionali dell’azienda”.
Ai sensi della L. n. 223/1991, integrata, nella fattispecie, da un dettagliato accordo aziendale, l’azienda, qualora avesse voluto procedere ad intimare una serie di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, avrebbe dovuto fornire una informazione alle organizzazioni sindacali non limitata alla comunicazione della decisione assunta, bensì estesa alla fase di formazione della decisione stessa.
Più specificamente, precisa il Tribunale, la parte datoriale era tenuta a condividere con il sindacato non solo i dati aziendali (sull’andamento del mercato, i livelli produttivi ed altro), ma anche ogni valutazione effettuata in merito ai suddetti dati tutte le volte che, come nel caso di specie, tale valutazione avesse comportato una “previsione di rischio per i livelli occupazionali” e con particolare riguardo anche ad una serie di aspetti quali: “ andamento prevedibile dell’occupazione”, … “previsioni di rischio per i livelli occupazionali”, “previsioni sulle dinamiche occupazionali anche in relazione all’andamento della domanda e dei conseguenti carichi di lavoro”.
Nondimeno, l’azienda, malgrado il carattere “allarmante” dei dati economici e le possibili ricadute di tale situazione “sulle dinamiche occupazionali”, non aveva proceduto ad informare il sindacato, mettendolo davanti al fatto compiuto e privandolo della facoltà di intervenire sull’iter di formazione della decisione datoriale.
L’azienda aveva cioè evidenziato l’intento di delegittimare il sindacato con iniziative volte ad elidere o comunque ridurre le possibilità di reazione dello stesso.
Ed infatti la parte datoriale aveva: a) concesso un giorno di permesso annuo retribuito per tutti i lavoratori, per poi comunicare il giorno successivo i licenziamenti, a stabilimento già chiuso; b) deciso l’immediata cessazione della produzione; c) e, contestualmente, rifiutato “la prestazione lavorativa dei 422 dipendenti (il cui rapporto di lavoro prosegue per legge fino alla chiusura della procedura di licenziamento collettivo), senza addurre una specifica ragione che imponesse o comunque rendesse opportuno il suddetto rifiuto”.
Per i suddetti motivi, il comportamento dell’azienda è stato ritenuto dai giudici “sicuramente contrario a buona fede” e tale da “limitare l’attività del sindacato”. Inoltre, ai fini della rimozione degli effetti della condotta medesima, il Tribunale ha ordinato al datore di lavoro di rinnovare correttamente l’informativa omessa e, quale ulteriore e necessitata conseguenza, di revocare il procedimento di licenziamento ex L. n. 223/91, iniziato sulla base di una decisione presa in assenza del confronto, necessario anche se non vincolante, con il sindacato.