Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 settembre 2021, n. 24074
Lavoro, Divieto di intermediazione e di interposizione,
Contratto di somministrazione a termine, Requisiti di forma, Limite
quantitativo fissato dalla contrattazione collettiva, Omessa indicazione
Rilevato che
1. La Corte di appello di Messina ha confermato la
sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda
proposta da D.D. nei confronti della M. s.p.a. volta ad ottenere il
riconoscimento dell’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato
a tempo indeterminato con ordine alla società di riammetterlo in servizio e con
condanna della stessa al risarcimento del danno ex art. 32 della legge n. 183
del 2010. In parziale riforma della sentenza invece il giudice di appello ha
compensato le spese di primo grado oltre che quelle del gravame.
2. La Corte territoriale ha ritenuto indenne da vizi
il contratto di somministrazione a tempo determinato in virtù del quale il
lavoratore aveva svolto mansioni di operatore addetto al servizio di
spazzamento nel periodo dal 6 – 31.8.2010, poi prorogato per due volte fino al
30.9.2010.
2.1. In particolare ha escluso che i vizi del
contratto intercorso tra il lavoratore e la società di somministrazione si
riverberassero nei confronti dell’utilizzatore. Ha poi sottolineato che la
causale apposta al contratto (ragioni di carattere sostitutivo per sopperire
alle assenze per ferie) era sufficientemente specifica. Ha accertato che le
proroghe disposte erano contenute nei limiti di legge (quattro proroghe
nell’arco di ventiquattro mesi).
2.2. Ha poi accertato che non erano state superate
le percentuali di contingentamento, stabilite dall’art. 13 del c.c.n.I. dei
servizi ambientali applicabile al rapporto, e fissate nell’8% dei lavoratori a
tempo indeterminato occupati dall’azienda o dall’utilizzatore tenendo conto
della media annuale dei contratti di somministrazione a termine.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso D.D. affidato a sei motivi al quale resiste con controricorso la
società M. s.p.a. che propone ricorso incidentale censurando il capo della
sentenza con il quale sono state compensate le spese del doppio grado di
giudizio.
Considerato che
4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la
violazione degli artt. 21 comma 1 lett. a), 4 comma 1, 20 comma 1 e 27 comma 1
del d.lgs. n. 276 del 2003 nel testo antecedente le modifiche apportate dal
d.lgs. n. 81 del 2015 oltre che dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115, 116
e 416 cod. proc.civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod.proc.civ.
4.1. Osserva il ricorrente che elemento essenziale
del contratto di somministrazione è l’indicazione degli estremi
dell’autorizzazione rilasciata al somministratore la cui mancanza rende
irregolare il contratto di somministrazione. A suo avviso non sarebbe
sufficiente ad integrare il requisito la sola indicazione del provvedimento di
autorizzazione rilasciato dal Ministero del Lavoro ma deve essere riportata
anche l’indicazione della sezione speciale dell’albo ministeriale tenuto conto
del fatto che le agenzie c.d. generaliste, che sole possono stipulare contratti
a termine con i lavoratori, sono iscritte nella prima sezione dell’albo.
5. Il secondo motivo di ricorso denuncia la
violazione degli artt. 21 comma 1 lett. d), 20 comma 5 lett. c) e 27 comma 1
del d.lgs. n. 276 del 2003 oltre che degli artt. 2697 cod. civ e 115, 116 e 416
cod. proc.civ. e censura la sentenza per avere omesso di considerare che
l’indicazione, nel contenuto del contratto di somministrazione, della presenza
di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure
di prevenzione adottate – indicazione prescritta dall’art. 21, comma 1 lett. d)
d. Igs n. 276 del 2003 – deve essere effettiva e non nominale, anche in relazione
al divieto assoluto di una somministrazione di lavoro per le imprese che non
abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi del d.lgs. n. 626 del
1994, sancito dall’art. 20, comma 5, lett. c) , d. Igs n. 276/2003. Rileva che
la sua mancanza determina l’irregolarità della somministrazione ai sensi
dell’art. 27, comma 1, d. Igs. 276/2003.
6. Con il terzo motivo il tema della valutazione dei
rischi e dell’adozione delle misure necessarie da parte dell’utilizzatore ai
sensi dell’art. 4 d.lgs. n. 626 del 1994 è sollevato sotto il profilo
dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio anche con riguardo a
quanto disposto dagli artt. 21 comma 1 lett. d), 20 comma 5 lett. c) e 27 comma
1 del d.lgs. n. 276 del 2003 oltre che in relazione agli artt. 1419 comma 2 e
2697 cod. civ ed agli artt. 115, 116 e 416 cod. proc.civ.. Deduce il ricorrente
che la legge pone un divieto assoluto di stipulazione di un contratto di
somministrazione di manodopera per le imprese che non hanno effettuato
tempestivamente la valutazione dei rischi.
7.Il quarto motivo di ricorso, con riguardo alle
proroghe del contratto, denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc.civ. in relazione
agli artt. 21 comma 1 lett. c), 21 comma 4, 22 comma 2, 20 comma 4 e 27 comma 1
d.lgs. n. 276 del 2003 oltre che agli artt. 2697 cod.civ. e 115, 116 e 416 cod.
proc.civ.
7.1. Sostiene il ricorrente che la Corte di merito
non avrebbe pronunciato sulla domanda diretta a contestare la legittimità del
contratto di somministrazione di manodopera tra M. s.p.a. e D. s.p.a. sotto il
profilo della validità e regolarità delle proroghe deH’originario contratto,
questione che assume già posta in primo grado e reiterata in seconde cure.
8. Con il quinto motivo di ricorso è denunciata la
violazione degli artt. 20 comma 4, 21 comma 1 lett. c) e 27 comma 1 e 3 d.lgs.
n. 276 del 2003 oltre che degli artt. 2697 cod.civ. e 116 cod. proc.civ. ed è
censurata la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto legittimo il
contratto di somministrazione di manodopera tra M. s.p.a. e D. s.p.a.,
omettendo di considerare che i casi e le ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui al comma 4 dell’art. 20 del
decreto legislativo citato devono essere effettivi e non meramente nominali,
con formale indicazione nel contratto di somministrazione di manodopera, e che
la relativa mancanza determina l’irregolarità della somministrazione ai sensi
dell’art. 27, comma 1 del citato decreto.
9. Con il sesto motivo del ricorso principale,
infine, si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la
violazione e falsa applicazione degli artt. 20, comma 4, 27, comma 1, d. Igs.
n. 276 del 2003, dell’art. 13 c.c.n.I. servizi ambientali, dell’art. 2697 cod.
civ. e degli artt. 115, 116 e 416 cod. proc. civ.. La sentenza impugnata è
censurata per avere omesso di considerare che il rispetto dei limiti
percentuali stabiliti dal contratto collettivo implicava l’indicazione di tali
limiti nel contratto di somministrazione, con onere della prova a carico
dell’utilizzatore. Erroneamente, ad avviso del ricorrente, il giudice di
appello aveva fondato la prova del mancato superamento di tali limiti sulla
scorta di un’acquisizione documentale in appello, in concreto mai avvenuta, e
la cui mancanza comportava irregolarità della somministrazione ai sensi
dell’art. 27, comma 1 del d.lgs. 276 del 2003.
10. Con l’unico motivo di ricorso incidentale M.
s.p.a. in liquidazione censura la sentenza impugnata per avere compensato le
spese di lite di secondo grado in assenza dei prescritti presupposti così
incorrendo, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ. nella
violazione e falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ.
11. Il primo motivo di ricorso principale è
infondato.
11.1. Come è noto l’art. 21 comma 1, lett. a) d.
Igs. n. 276 del 2003, richiede tra gli elementi che deve contenere il contratto
di somministrazione l’indicazione degli <<estremi dell’autorizzazione
rilasciata al somministratore>>. L’art. 4 d. Igs. n. 276 del 2003 cit.,
per quel che qui rileva, stabilisce, infatti, per le agenzie di
somministrazione di lavoro la necessità di munirsi di apposita autorizzazione
all’esercizio dell’attività rilasciata dal Ministero del lavoro e delle
politiche sociali il quale è tenuto alla contestuale iscrizione dell’agenzia
nell’apposito albo, articolato in cinque sezioni, istituito, ai sensi del comma
1 dell’art. 4 d. Igs. cit., <<ai fini dello svolgimento delle attività di
somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto
alla ricollocazione professionale>>.
11.2. Il dato testuale della disposizione
richiamata, che fa riferimento alla indicazione dei soli estremi
dell’autorizzazione rilasciata dal somministratore, non autorizza la lettura
estensiva propugnata dall’odierno ricorrente secondo il quale occorreva (anche)
la specificazione della sezione dell’albo ministeriale nella quale era iscritta
l’agenzia somministrante.
11.3. La correttezza di tale conclusione risulta
confermata dalla considerazione che le prescrizioni poste dall’art. 21 in
ordine agli elementi che deve contenere il contratto di somministrazione si
configurano come limitazione al principio generale della libertà di forma degli
atti di autonomia privata di talché anche sotto questo profilo non appare
giustificato un ampliamento delle prescrizioni di legge oltre le indicazioni
espressamente stabilite dal legislatore.
11.4. Quanto ora osservato assorbe il rilievo di
inammissibilità del motivo in esame scaturente dalla considerazione che la
mancata indicazione della sezione speciale dell’apposito albo ministeriale
nella quale era iscritta la società D., non affrontata specificamente dalla
Corte di merito, avrebbe richiesto da parte dell’odierno ricorrente la
dimostrazione che tale specifica questione era stata ritualmente dedotta nelle
fasi di merito. Tale onere è rimasto inadempiuto atteso che non è sufficiente a
tal fine il generico richiamo alle allegazioni formulate nel ricorso di primo
grado ed alle deduzioni sul punto della memoria di costituzione della società
ed al ricorso in appello (v. pag. 15 del ricorso). Occorreva infatti che parte
ricorrente chiarisse le modalità ed i termini con i quali era stata sollevata
la questione e come sulla stessa si era sviluppato il contraddittorio nelle
fasi di merito (Cass. 09/08/2018 n. 20694; Cass. 28/01/2013 n. 1435; Cass.
28/07/2008 n. 20518; Cass. 20/10/2006 n. 22540).
12. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in
quanto non si confronta con le effettive ragioni della decisione impugnata la
quale, per il profilo che qui viene in rilievo, si è limitata a confermare la
sentenza di primo grado circa la insussistenza di un’ipotesi di
somministrazione irregolare o fraudolenta, con implicito riconoscimento,
quindi, della conformità del contenuto del contratto di somministrazione
stipulato tra la D. s.p.a. e M. s.p.a. alle indicazioni prescritte dall’art. 21
d. Igs n. 276/2003, fra le quali è compresa anche la l’indicazione della
presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle
misure di prevenzione adottate.
12.1. La critica articolata dall’odierno ricorrente,
laddove ascrive al giudice di appello di avere attribuito una valenza meramente
nominalistica all’elemento della << indicazione della presenza di
eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di
prevenzione >>, non coglie nel segno. La sentenza di appello non contiene
alcuna affermazione in contrasto con la esigenza di effettività della verifica
di eventuali rischi e di adozione in concreto delle conseguenti misure di
prevenzione. Queste ultime sono questioni che appartengono ad un ambito
concettualmente distinto da quello della verifica di corrispondenza
contenutistica del contratto di somministrazione agli elementi indicati
dall’art. 21 d. Igs n. 276 del 2003, ambito in relazione al quale si è espressa
la Corte di merito.
12.2. Con riguardo alla critica che investe
l’accertamento di fatto del giudice di merito ed è fondata sulla deduzione
della irregolarità del contratto di somministrazione per mancata indicazione
degli elementi richiesti dall’art. 21 d. Igs n. 276 del 2003, va rilevato che
la stessa risulta preclusa, alla luce dell’art. 348 ter ultimo comma cod. proc.
civ., per il principio della doppia conforme, non avendo parte ricorrente, come
era suo onere per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art.
360 cod. proc. civ., indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione
di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto (per il profilo
di interesse) dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr.
Cass. 06/08/2019 n. 20994, 10 /03/ 2018 n. 5528, 27/09/ 2016 n. 19001 e
22/12/2016 n. 26774).
12.3. Quanto alla denunciata assenza in concreto della
effettuazione della valutazione dei rischi la censura è inammissibile sotto un
duplice profilo. Va premesso che tale questione non risulta essere stata
affrontata specificatamente dalla Corte di merito la quale si è limitata a dare
atto che in sede di gravame l’odierno ricorrente aveva dedotto la << la
presenza di vizi sostanziali del contratto di somministrazione, tra cui anche
la mancata valutazione dei rischi ai sensi del d. Igs n. 81 del 2000…
>> ( v. sentenza, pag. 3) espressione che sembra alludere agli elementi
contenutistici prescritti dall’art. 21 d. Igs n. 276/2003 e non alla concreta
assenza della effettuazione della valutazione dei rischi.
12.4. Era perciò onere dell’odierno ricorrente, che
non è stato assolto, dimostrare la avvenuta tempestiva e rituale deduzione
nell’ambito del giudizio di merito mediante la trascrizione dei pertinenti
brani del ricorso di primo grado. Né tale incombente può dirsi adempiuto con il
mero richiamo ai punti del ricorso di primo grado nei quali si asserisce essere
stata prospettato il tema della mancata valutazione dei rischi. Deve essere poi
considerato che l’assunto del ricorrente, il quale ritiene pacifica la
circostanza relativa alla mancata effettuazione della valutazione dei rischi da
parte della società M., costituisce un mero enunciato poiché non è chiarito in
quale atto ed in che termini la suddetta circostanza è stata allegata né in
quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica. Ne consegue che
la censura è generica e dunque inammissibile (cfr. Cass. 12/10/2017 n. 24062 e
18/07/2007 n. 15961). La deduzione secondo la quale la censura articolata
investiva il profilo della mancata verifica giudiziale da parte del giudice di
merito della effettiva presenza dei rischi per la integrità e per la salute dei
lavoratori, questione non specificamente affrontata dalla Corte di merito , è
del pari inammissibile non avendo parte ricorrente, come era suo onere,
dimostrato la avvenuta rituale deduzione della stessa davanti al giudice di
merito (Cass. 22/1/2013 n. 1435 del 2013; Cass. 28/7/2008 n. 20518; Cass.
20/10/2006).
13. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile
per difetto di specificità della censura formulata. Il giudice di appello non
ha specificamente affrontato la questione della mancata effettuazione della
valutazione dei rischi da parte della società somministrata ed in base ai
principi sopra richiamati era onere dell’odierno ricorrente dimostrarne la
avvenuta rituale deduzione nell’ambito del giudizio di merito. Tale onere non è
stato assolto non essendo dato evincere dai brani del ricorso di primo grado
trascritti nel ricorso per cassazione (v., in particolare, pag. 28 secondo
capoverso), per la genericità delle espressioni utilizzate, che fanno
riferimento all’assenza tout court dei requisiti formali e sostanziali
richiesti dalla legge in relazione al contratto di somministrazione in
controversia, la allegazione relativa alla mancata effettuazione in concreto
della valutazione dei rischi, la quale, alla stregua di quanto riferito dal medesimo
ricorrente, risulta specificamente essere stata proposta solo con le note
difensive del 29.3.2013, e quindi tardivamente ( ricorso, pag. 28).
14. Il quarto motivo di ricorso è infondato. Va qui
rammentato che ai sensi dell’art. 22 comma 2 del d.lgs. n. 276 del 2003 è
consentita la proroga del contratto di somministrazione a tempo determinato nei
casi e per la durata prevista dal contratto collettivo di riferimento purché vi
sia il consenso del lavoratore e questo sia prestato in forma scritta.
Orbene nel caso in esame è lo stesso ricorrente che
ha allegato che la proroga era stata redatta per iscritto e, per l’effetto, i
giudici di merito si sono limitati a verificare che si rientrasse nei limiti
prescritti dal contratto collettivo.
15. Anche il quinto motivo di ricorso non può essere
accolto. La Corte di merito ha affermato che in tutti i contratti di
somministrazione stipulati con la D. s.p.a. era stato espressamente indicato
che l’esigenza della impresa utilizzatrice consisteva in << ragioni di
carattere sostitutivo; necessità di sopperire alle assenze per ferie del
personale in forza nei vari turni di lavoro e far fronte al contestuale
incremento dell’attività di raccolta manuale (spazzamento) tramite automezzi
idonei e conferimento di rifiuti in discarica legato alla stagione estiva
>> ed ha ritenuto che le ragioni indicate soddisfacevano il requisito di
specificità della causale << sottolineando che il controllo giudiziario è
concentrato sulla verifica dell’effettività >> non essendo consentito, ai
sensi dell’art. 27 comma 3 d. Igs n. 276/2003, sindacare nel merito le
valutazioni e le scelte tecniche, organizzative e produttive che settano
all’utilizzatore. Da tali argomentazioni si evince un’implicita verifica, con
esito positivo, di effettività delle ragioni giustificative dell’utilizzazione
di lavoratori a tempo determinate indicate nei contratti di somministrazione,
verifica la cui effettuazione risulta ulteriormente corroborata dalla generale
valutazione di insussistenza di somministrazione irregolare o in frode alla
legge espressa dalla Corte di merito. Il concreto accertamento della
sussistenza delle ragioni alla base dell’utilizzazione di lavoratori a termine
costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile
in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio motivazionale neppure
formalmente dedotto dall’odierno ricorrente.
15.1. Le ulteriori censure articolate, poi, sono
inammissibili in quanto pur formalmente denunziando violazione e falsa
applicazione di norme di diritto e segnatamente dell’art. 2697 cod. civ. e
dell’art. 116 cod. proc. civ. non sono incentrate, come corretto, sulla
ricognizione della fattispecie astratta o sull’erronea sussunzione nella stessa
del fatto accertato ma si risolvono nella deduzione di malgoverno delle
emergenze istruttorie e quindi nella diretta sollecitazione di un diverso
apprezzamento degli elementi istruttori, apprezzamento precluso al giudice di
legittimità (Cass. 04/11/2013 n. 24679, 16/12/2011 n. 2197, 21/09/2006 n. 20455,
04/04/2006 n. 7846 e 07/02/2004 n. 2357).
16. Il sesto motivo di ricorso principale deve
essere rigettato.
16.1. In disparte i numerosi profili di
inammissibilità della censura – che non indica in quale atto era stata
specificamente posta la questione della necessaria indicazione nel contratto di
somministrazione, dei limiti percentuali relativi alle assunzioni a termine,
stabilite dai contratti collettivi e come si era sviluppato il contraddittorio
sul punto; non trascrive integralmente il contenuto del contratto di
somministrazione, documento sul quale si fonda la censura, in violazione
dell’art. 366 primo comma n. 6 cod. proc. civ.; denunciando l’inadeguatezza
della prova offerta da M. sollecita direttamente un sindacato, relativo
all’apprezzamento del materiale probatorio precluso al giudice di legittimità;
con riguardo all’asserita inesistenza della documentazione dalla quale evincere
il rispetto del rapporto percentuale tra lavoratori a termine e lavoratori a
tempo indeterminato non espone compiutamente il fatto processuale ai sensi
dell’art. 366 primo comma n. 4 cod. proc. civ. né formula ritualmente una
censura di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le
parti, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 cod. proc. civ. – la stessa è
comunque infondata.
16.2. Diversamente da quanto pretenderebbe il
ricorrente l’indicazione del limite quantitativo stabilito dalla contrattazione
collettiva di settore non rientra tra i requisiti di forma del contratto di
somministrazione a tempo determinato la cui inosservanza comporta la nullità
del contratto ed a cui consegue la costituzione di un rapporto a tempo
indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore ( ai sensi del combinato
disposto degli artt. 27 comma 1, e 21 comma 1 anche alla luce degli artt. 22
comma 2 e 20 comma 4 del d.lgs. n. 276 del 2003).
16.3. L’avvenuto rispetto dei limiti di
contingentamento – fissati dal contratto collettivo nazionale di lavoro
stipulato dai sindacati comparativamente più rappresentativi, in conformità
alla disciplina di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre
2001, n. 368, che si applica al contratto di somministrazione in virtù del
richiamo contenuto all’art. 22 comma 2 del decreto citato – è requisito di
legittimità del termine apposto ai sensi dell’art. 20 comma 4 del decreto
legislativo e costituisce l’oggetto della prova che il datore di lavoro deve
offrire. Tuttavia nessuna disposizione prevede che l’indicazione di tale
percentuale debba essere riportata nel contratto, come sembra pretendere il
ricorrente. Le sentenze richiamate (Cass. 15/07/2011 n. 15610 e 28/11/2013 n.
26654) si preoccupano di riassumere i vari casi in cui il lavoratore
somministrato può chiedere, in base a quanto disposto dalla legge o dal
contratto collettivo di categoria, che si accerti l’esistenza di un rapporto
subordinato alle dipendenze dell’utilizzatore della prestazione. Un catalogo
dei requisiti di validità del contratto di somministrazione, sia formali che
sostanziali, tra i quali, ai sensi dell’art. 21 comma 1 lett. b) del d.lgs. n.
276 del 2003, è compresa l’indicazione, che, questa sì, deve essere contenuta
nel contratto di somministrazione, del “numero dei lavoratori da
somministrare”. La percentuale di lavoratori a termine che è possibile
assumere in virtù della pattuizione contenuta nel contratto collettivo è
nozione diversa che non rientra nella previsione della disposizione che
individua i requisiti di forma del contratto. Si tratta del parametro astratto
alla luce del quale verificare in concreto, sulla base dei lavoratori
somministrati, la legittimità dell’apposizione del termine.
17. In conclusione per le ragioni esposte il ricorso
principale deve essere rigettato.
18. Anche il ricorso incidentale della società, che
investe il capo della sentenza con il quale sono state compensate le spese di
primo grado ed è stata disposta la compensazione di quelle di appello, è
infondato.
18.1. Nel vigore degli art. 91 e 92, nel testo
vigente all’epoca del deposito del ricorso introduttivo del giudizio (il
29.12.2011) per effetto delle modifiche apportate dall’art. 45 comma 11 della
legge 18.6.2009 n. 69, ai fini della compensazione delle spese al di fuori del
caso della reciproca soccombenza, è necessario che concorrano “gravi ed
eccezionali ragioni esplicitamente indicate in motivazione”.
18.2. Conformemente all’insegnamento di questa Corte
(cfr. Cass. 09/04/2019 n. 9977 e 09/03/2017 n. 6059). che ha chiarito che ai
sensi dell’art. 92 secondo comma cod.proc.civ. (nella formulazione, applicabile
“ratione temporis”, introdotta dalla I. n. 69 del 2009) nella
motivazione devono essere esplicitate le “gravi ed eccezionali
ragioni” che giustificano la compensazione totale o parziale, e che le
stesse non possono essere illogiche o erronee, poiché diversamente si configura
il vizio di violazione di legge che può essere denunciato in sede di
legittimità, la Corte territoriale ha chiarito che la compensazione delle spese
di primo grado e quella delle spese del gravame si giustificava in ragione
della oggettiva controvertibilità di alcune delle questioni trattate, che
avevano richiesto un’interpretazione inedita. E’ vero che la precisa
individuazione del significato di un testo normativo in relazione alla
fattispecie concreta a cui deve essere applicato costituisce il nucleo della funzione
giudiziaria, sicché l’ordinario esercizio nell’esegesi del testo normativo non
può essere valutato come evento inusuale (cfr. Cass. n. 319 del 2014 con
riguardo ad una fattispecie in cui è stata esclusa la compensazione delle spese
disposta dal giudice del merito a cagione della “opinabilità della
soluzione accolta”). Tuttavia non si palesa illogica né errata
l’affermazione della Corte che valorizza l’oggettiva complessità dell’
interpretazione richiesta ( sintetizzata nella proposizione “opinabilità
delle questioni sollevate” e “natura interpretativa delle questioni
sottostanti”), ponendo in rilievo l’importanza dello sforzo interpretativo
richiesto (n.b. viene solo oggi all’attenzione di questa Corte la questione
della specificazione dell’autorizzazione oggetto del primo motivo del presente
ricorso).
19. Al rigetto di entrambi i ricorsi consegue la
compensazione delle spese del giudizio di legittimità mentre, ai sensi
dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del
ricorrente principale ed incidentale dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale ed
incidentale a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art.
13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale ed
incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso principale ed incidentale a norma dell’art.13
comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.