Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 ottobre 2021, n. 28175
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo, Natura
ritorsiva, Intimazione per gli stessi motivi già addotti a fondamento di un
precedente licenziamento collettivo dichiarato illegittimo
Rilevato che
1. Con sentenza n. 2076 depositata il 17.12.2018 la
Corte di appello di Milano, confermando la pronuncia del Tribunale di Busto
Arsizio, ha dichiarato la natura ritorsiva del licenziamento per giustificato
motivo oggettivo intimato in data 31.7.2015 dalla società I.S. s.p.a. a A.P.,
coordinatore della rete commerciale della linea liquori per il centro-sud con
sede a Catania, con conseguente nullità del licenziamento e condanna della
società alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento dell’indennità
risarcitoria.
2. La Corte di appello ha preliminarmente rilevato
che, il P. era stato già destinatario, nel 2011, di un licenziamento collettivo
e, nel marzo 2013, di un trasferimento, provvedimenti entrambi dichiarati
illegittimi in sede giudiziale (il primo per un vizio formale); osservato che
il motivo posto a base del licenziamento individuale coincideva con quello
dedotto per il licenziamento collettivo (ossia l’unificazione di due linee di
vendita, i liquori e i vini), che il licenziamento individuale era intervenuto
dopo poche settimane dalla sentenza di primo grado che aveva accertato
l’illegittimità del trasferimento a Saronno, che – nonostante la condanna al
ripristino del rapporto di lavoro presso Catania e le dimissioni del collega
che operava nella medesima città (D. G.) – la società aveva affidato le
mansioni del P. ad un lavoratore neo assunto G., riteneva accertata la
pervicace volontà della società di eludere e vanificare gli effetti delle
azioni giudiziali promosse dal lavoratore.
3. La società ha proposto, avverso tale sentenza,
ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da memoria. La
società ha depositato controricorso illustrato da memoria.
Considerato che
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione degli artt. 1344 e 1423 c.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1,
n. 3), avendo, la Corte territoriale, errato a ritenere ricorrenti, nel
licenziamento individuale del P., gli stessi motivi del licenziamento
collettivo in quanto la soppressione della posizione organizzativa è stata
determinata proprio in conseguenza della riorganizzazione aziendale descritta
nel collettivo e attuatasi a seguito del medesimo. Incongruo appare, inoltre,
il richiamo del recente approdo di legittimità del 2018 (n. 23042) che ha
esaminato una fattispecie diversa dalla presente (caratterizzata, quest’ultima
da un vizio procedurale, e non sostanziale, del licenziamento collettivo).
2. Con il secondo, il terzo ed il quarto si denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 1324, 1345, 2697 c.c. e artt. 112,
115 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4). La ricorrente si duole che
la Corte territoriale abbia anteposto la trattazione del presunto carattere
ritorsivo del licenziamento anzichè verificare con priorità logica e giuridica
l’obiettiva esistenza dei fatti necessari a radicare il giustificato motivo
oggettivo, il quale, una volta accertato nella sua effettività, rende
irrilevante ogni altro aspetto della vicenda, posto che – per ritenere, ritorsivo
il licenziamento – occorre che questo abbia avuto efficacia determinativa
esclusiva, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione
del giustificato motivo di recesso. La Corte ha omesso di considerare la
copiosa documentazione e le risultanze istruttorie volte a provare la
sussistenza del giustificato motivo oggettivo e il rispetto dell’obbligo di
repechage.
3. Con il quinto motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione degli artt. 4175 e 1375
c.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). avendo errato, la Corte
territoriale, a ritenere elemento rafforzativo della ritorsività la preferenza
dei lavoratori G. e D. G. al P., che aveva minor professionalità (come emergeva
dalla documentazione allegata e trascurata dal giudice di merito).
4. I motivi di ricorso, che possono essere trattati
congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati.
5. Preliminarmente, va ribadito che l’accertamento
della sussistenza degli elementi di fatto idonei a configurare una frode alla
legge costituisce attività riservata al giudice di merito, esente dal sindacato
di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi (v. ex
aliis Cass. 11 settembre 2017, n. 21042), dovendosi ritenere inammissibili le
censure volte a criticare la valutazione del materiale probatorio come eseguita
dalla Corte di merito, al di fuori dei limiti consentiti dallo schema legale
del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass., S.U., n. 8053
del 2014), a monte non consentite dall’art. 348-ter c.p.c., commi 4 e 5,
essendosi, nel caso di specie, in presenza di doppia pronuncia conforme di
merito basata sulle medesime ragioni di fatto circa l’accertata identità del
livello di inquadramento tra il P. e il D. G. e l’assunzione di un nuovo lavoratore
in pendenza giudizi intercorrenti tra le parti.
6. Nel caso di specie, la Corte territoriale, alla
luce delle ragioni poste a base del licenziamento per giustificato motivo
oggettivo (di cui alla lettera di recesso, integralmente riportata nella sentenza
impugnata) nonchè della puntuale disamina delle vicende intercorse tra società
e lavoratore (in particolare, l’illegittimità del licenziamento collettivo e la
contiguità temporale tra il trasferimento di sede e il licenziamento
individuale), ha concluso che la dedotta impossibilità di adibire alle mansioni
assegnate in (omissis) o ad altre mansioni non era derivata da un fatto nuovo e
autonomo rispetto alla soppressione della posizione lavorativa oggetto del
licenziamento collettivo annullato, in quanto le motivazioni a base dei due
provvedimenti espulsivi erano, da un punto di vista sostanziale, del tutto
sovrapponibili;
la Corte territoriale ha, inoltre, aggiunto – quali
elementi integranti altrettanti indici sintomatici circa l’avvenuta
utilizzazione di uno schema negoziale tipico al fine di eludere una norma
imperativa – che il licenziamento individuale era sopraggiunto a stretto
ridosso temporale della sentenza di primo grado che aveva dichiarato
illegittimo il trasferimento e condannato la società alla reintegrazione nella
sede di Catania, e che le mansioni affidate al P. erano state assegnate al
lavoratore neo assunto (nonostante provvedimento giudiziale, emesso in fase
cautelare, che condannava la società al ripristino del rapporto di lavoro).
Il comportamento posto in essere dalla società aveva
l’obiettivo di rendere vano il diritto del lavoratore di riottenere il proprio
posto di lavoro nonostante le pronunce giudiziali che avevano dichiarato
illegittimo sia il licenziamento collettivo (con riguardo ai motivi di
comunicazione del provvedimento e, in specie – come evidenziato dalla sentenza
di questa Corte, n. 5553 del 2021, che ha confermato la sentenza di appello per
carenza di “alcuna minima specificazione dei criteri di scelta in concreto
utilizzatili) sia il trasferimento del lavoratore (considerata la ricorrenza
delle stesse scelte aziendali ritenute illegittime e l’assunzione di nuovi
dipendenti, come stabilito dalla sentenza n. 15635 del 2020 di questa Corte).
L’ampia disamina della Corte distrettuale ha,
dunque, dimostrato che il posto, del P., anche all’esito della ristrutturazione
portata a termine, dalla procedura di licenziamento collettivo e del
trasferimento, doveva esistere in base, alla corretta applicazione dei criteri
di scelta. Conseguentemente, gli ordini di reintegra andavano, adempiuti e solo
una ragione diversa da quella posta a base del licenziamento e del
trasferimento annullati avrebbe potuto incidere, con effetto estintivo, sulla
ricostituita posizione lavorativa.
7. La Corte distrettuale, come sottolineato dalla
stessa sentenza impugnata si è conformata al principio affermato da questa
Cotte secondo cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto
per gli stessi motivi già addotti a fondamento di un precedente licenziamento
collettivo dichiarato illegittimo (nella specie, soppressione della posizione
lavorativa) realizza uno schema fraudolento ex art. 1344 c.c., il cui,
accertamento deve essere condotto dal giudice di merito in base ad una
valutazione unitaria e non atomistica di ulteriori indici sintomatici
dell’intento elusivo, quali la mancata ottemperanza del datore all’ordine
giudiziale di reintegra e la contiguità temporale del secondo recesso (Cass. n.
23042 del 2018, che ha analizzato una fattispecie del tutto simile alla
presente, con particolare riferimento alla violazione dei criteri di scelta dei
lavoratori in sede di licenziamento collettivo).
Deve ritenersi, altresì, che la Corte distrettuale
si è conformata all’ulteriore principio che in questa sede si intende ribadire
– secondo cui in tema di licenziamento nullo perchè ritorsivo, il motivo
illecito addotto ex art. 1345 c.c. deve essere determinante, cioè costituire
l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo nel senso che il motivo
lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale; ne
consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini
dell’applicazione della tutela prevista dall’art. 18, comma 1 st.lav.
novellato, richiede il, previo accertamento della insussistenza della causale
posta a fondamento del licenziamento (Cass. n. 9468 del 2019).
Invero, nel caso di specie, la Corte distrettuale,
dato atto della coincidenza del motivo posto a base del licenziamento
individuale con quello che aveva sorretto la procedura di mobilità ritenuta
illegittima (per violazione dei criteri di scelta dei lavoratori), non ha
omesso di sottoporre a verifica i fatti dedotti dal datore di lavoro a
fondamento del licenziamento individuale ma, anzi, ha sottolineato come la soppressione
del posto cui era addetto il P. era già stata ritenuta illegittima proprio per
carenza di un nesso causale con la posizione occupata dal lavoratore stesso e
che la ricorrenza di ulteriori indici sintomatici di uno schema elusivo dei
comandi giudiziali adottati con riguardo al licenziamento collettivo e al
trasferimento palesavano l’intento fraudolento della società. L’insussistenza
(rectius illegittimità) del requisito organizzativo è, dunque, stata vagliata
dalla Corte distrettuale ed ha consentito, nella ricorrenza di ulteriori indici
sintomatici dello schema fraudolento, di accertare l’efficacia determinativa
esclusiva dell’intento ritorsivo datoriale.
La Corte si è, pertanto, conformata altresì al
principio affermato da questa Corte secondo cui l’intento ritorsivo datoriale
deve avere efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal
rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della
configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso (Cass.
n. 14816 del 2005, Cass. n. 30429 del 2018).
Correttamente, dunque, il giudice di merito,
applicando le regole sul riparto dell’onere probatorio e seguendo l’ordine
logico degli accertamenti, ha riscontrato che il datore di lavoro non aveva
assolto gli oneri su di lui gravanti e riguardanti la dimostrazione del
giustificato motivo oggettivo ed ha proceduto alla verifica delle allegazioni
poste a fondamento della domanda del lavoratore di accertamento della nullità
per motivo ritorsivo; il suo riscontro positivo ha dato luogo all’applicazione
della più ampia e massima tutela prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18,
comma 1.
8. In conclusione, il ricorso va rigettato e le
spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..
9. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma
1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge
di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello
stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente
al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro
200,00 per esborsi e in Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese
forfettarie al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17; dà
atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari
la quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se
dovuto.