Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 ottobre 2021, n. 29198
Licenziamento disciplinare, Uso improprio e abusivo dei
permessi di cui alla L. n. 104/1992, Non
sussiste, Fruizione per ogni attività che il disabile non può compiere
autonomamente
Rilevato
che, con sentenza del 4 aprile 2019, la Corte
d’Appello di Brescia confermava la decisione resa dal Tribunale di Mantova e
accoglieva la domanda proposta da B.F. nei confronti della G.L.C. S.p.A.,
avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento
disciplinare intimatole per l’uso improprio e abusivo dei permessi di cui alla I. n. 104/1992 di cui fruiva al fine di prestare
assistenza alla madre; che la decisione della Corte territoriale discende
dall’aver questa ritenuto di dover concordare con i giudici delle precedenti
fasi del giudizio i quali si erano espressi nel senso che, per quanto
l’utilizzo improprio dei permessi fosse in parte riscontrabile, la condotta non
si connotava del necessario carattere di illiceità così da non risultare
punibile con l’irrogazione della massima sanzione, e ciò in quanto era stato
accertato in sede istruttoria, stante l’attendibilità dei testi escussi, per
quanto si trattasse di congiunti, come considerato dalla Corte territoriale,
che, salvo che in un’unica marginale occasione, in cui peraltro era stata
chiamata a fronteggiare una propria emergenza familiare, la F., pur provvedendo
al disbrigo di attività all’esterno o in casa propria ma finalizzate all’aiuto
del disabile, aveva utilizzato il tempo dei permessi in funzione degli
interessi del disabile assistito; per la cassazione di tale decisione ricorre
la Società, affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso,
la F.;
che la Società ricorrente ha poi presentato memoria;
Considerato
che, con il primo motivo, la Società ricorrente, nel
denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 33 I. n. 104/1992, 12 e 14 preleggi, 3 e 31 commi 1 e 2,
Cost. e 54, Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, lamenta la non conformità a diritto
dell’interpretazione che della norma relativa ai permessi dal lavoro
finalizzati all’assistenza dei disabili ha accolto la Corte territoriale per
essere questa eccessivamente estensiva e tale da consentire quell’abuso del
diritto previsto che non può viceversa ritenersi consentito dalla norma
predetta;
che, con il secondo motivo, denunciando la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2119,
1, 3 e 5 I. n. 604/1966, 1455, 1173, 1375, 2104, 2106 e 2697 c.c. 640 c.p., 75, CCNL di settore e 7 e 18, commi 4 e 5, I. n. 300/1970,
lamenta l’incongruità logica e giuridica della valutazione espressa dalla Corte
territoriale in ordine all’assenza del profilo di illiceità dato dall’abuso del
diritto circa la condotta tenuta dalla F. anche con riguardo al permesso di cui
è risultato accertato l’utilizzo per fini personali; che entrambi i motivi, i
quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati
congiuntamente, devono ritenersi infondati; da un lato, infatti,
l’interpretazione accolta dalla Corte territoriale si rivela coerente al
principio di diritto espresso da questa Corte, secondo cui il concetto di
assistenza rilevante ai fini della fruizione dei permessi ex art. 33 I. n. 104/1992 supera
la semplice e materiale attività consistente nell’accudire il soggetto
disabile, dovendo quel concetto ricomprendere ogni attività che l’assistito non
può compiere autonomamente, in quanto funzionale all’interesse del medesimo;
dall’altro, risulta immune da vizi logici e giuridici la valutazione di
quell’unica situazione di accertato utilizzo da parte della F. del permesso per
fini personali come priva del carattere di illiceità, in ragione dell’invocata
esimente (la necessità di fronteggiare una propria esigenza familiare), non
confutata dalla Società; evenienza questa che, se pur configura la condotta
della F. come censurabile a motivo della mancata comunicazione alla Società del
mutamento del titolo dell’assenza, non qualifica tale condotta come mancanza
disciplinarmente rilevante, non avendo la Società sollevato a riguardo la
contestazione, incentrata invece sull’abuso del diritto, qui non ravvisabile in
ragione dell’esimente invocata che, sottraendo il fatto all’addebitato
contestato, non consente, ancora una volta in coerenza con l’orientamento
invalso nella giurisprudenza di questa Corte, la riconducibilità del fatto
all’area dell’inadempimento contrattuale, spogliandolo di ogni rilevanza
disciplinare, così da escludere, secondo quanto puntualmente ritenuto dalla
Corte territoriale, l’assoggettabilità al regime sanzionatorio applicato dalla
datrice di lavoro;
– che, il ricorso va dunque rigettato;
– che le spese seguono la soccombenza e sono
liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro
200,00 per esborsi ed euro 5.250,00 per compensi, oltre spese generali al 15%
ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se
dovuto.