La delega conferita al preposto sul versante civilistico non ha efficacia traslativa del debito prevenzionistico – e delle relative responsabilità – in quanto la delega è solo lo strumento con il quale il debitore, datore di lavoro, non spogliato della propria posizione passiva, decide di adempiere i propri obblighi avvalendosi dell’ausilio di propri incaricati.
La condanna penale del preposto alla sicurezza non esclude la responsabilità civile in capo al datore di lavoro.
Nota a Corte Cass. 21 settembre 2021 n. 25512
Maria Novella Bettini
La responsabilità del datore di lavoro che discende dalla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato ex art. 2087 c.c. e la correlata responsabilità posta dalla norma a carico del datore di lavoro implica che quest’ultimo non possa “invocare come fatto liberatorio l’aver delegato a terzi l’adempimento dell’obbligo di adottare tutte le misure di sicurezza necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, permanendo a suo carico, a norma dell’art. 1228 c. c., la responsabilità civile per i fatti dolosi o colposi di costoro”.
Così, la Corte di Cassazione 21 settembre 2021 n. 25512 (conf. ad App. Genova n. 392/2019; v. anche, fra tante, Cass. n. 12573/2019 e Cass. n. 11622/2007), la quale precisa che non può precludersi al datore di lavoro che sia condannato risarcitoriamente per la violazione degli obblighi di cui all’art. 2087 c.c. “di agire in regresso o facendo valere la responsabilità esclusiva dei delegati alla sicurezza, al fine di essere tenuto indenne, rispettivamente, in parte o in tutto dalle conseguenze delle violazioni dell’obbligo di sicurezza verificatesi a causa della condotta negligente” di tali soggetti.
Invero, il datore di lavoro potrebbe conferire al preposto una delega non esecutiva, ma funzionale. Nel primo caso, il datore non si spoglia del suo potere di sorveglianza e, in applicazione dell’art. 2087 c.c., permane (ed è diretta) la sua responsabilità per eventuali infortuni per comportamenti dolosi o colposi. Nel secondo, sul datore grava la responsabilità oggettiva, in solido col delegato (a norma dell’art. 1228 c.c.), per fatti dolosi o colposi compiuti dal proprio dipendente nell’adempimento dell’obbligazione di sicurezza.
In questa ipotesi, il preposto assume a titolo derivativo l’obbligo di sicurezza, in quanto, con la delega, il delegato è succeduto nella posizione del suo dante causa nell’adempimento dell’obbligo di scurezza. Tuttavia, ciò non significa che “il datore di lavoro non debba rispondere dell’operato del preposto. Egli ne risponde, ma a titolo diverso, non già per inadempimento dell’obbligo primario di sicurezza, cioè per fatto proprio, ma per il rapporto di preposizione, cioè un elemento oggettivo, insieme con il fatto dannoso ingiusto, considerando che egli è chiamato a rendere conto dell’attività del preposto nel quadro dell’organizzazione e delle finalità dell’impresa, prescindendosi dalla sua colpa, in quanto la responsabilità è imputata a titolo oggettivo, avendo come suo presupposto la consapevole accettazione dei rischi insiti in quella particolare scelta imprenditoriale”.
In sintesi, “l’essere legale rappresentante dell’impresa non implica di per sé l’automatico, aprioristico ed insuperabile riconoscimento di alcuna posizione di datorialità a fini prevenzionistici, se non quando tale status si associ alla titolarità delle più ampie prerogative di conformazione dell’organizzazione dei lavoro proprie del datore di lavoro sostanziale”.
Si veda anche Cass. 29 settembre 2021, n. 35652, che sottolinea la necessità di verificare il concreto atteggiarsi della delega in rapporto ai poteri di intervento e di spesa effettivamente attribuiti (o eventualmente rimossi) nei confronti del delegato e richiama la sentenza delle S.U. n. 38343/2014 (ThyssenKrupp), la quale ha chiarito che: a) “l’istituto della delega di funzioni investe di responsabilità il delegato solo se gli vengono attribuiti reali poteri di organizzazione, gestione, controllo e spese pertinenti all’ambito delegato (o, …. a specifici settori dell’ambito delegato)”; b) “l’effetto liberatorio – per il datore di lavoro delegante – viene meno qualora sorgano problematiche afferenti alla sicurezza che trascendono i poteri delegati, specie se esse coinvolgano scelte di fondo della politica aziendale, che richiedono un impegno di spesa eccedente rispetto ai limiti stabiliti”.
La sentenza in esame afferma altresì che in base al principio di effettività, “nel considerare la concreta e reale assegnazione di compiti prevenzionistici di sicurezza a soggetti diversi dal datore di lavoro (c.d. sistema plurisoggettivo), superando la titolarità cartolare del rapporto di lavoro, occorre verificare la riferibilità di tale ruolo in capo a chi risulti realmente titolare dei relativi poteri decisionali e di spesa”. Tale riferibilità, tuttavia, non comporta automaticamente l’esonero da responsabilità del datore di lavoro. Ed infatti, “la individuazione del soggetto effettivamente tenuto ad assolvere gli obblighi prevenzionali è il presupposto per l’accertamento della responsabilità datoriale nella giurisprudenza penale, ma la titolarità degli obblighi penalmente rilevanti, in ragione della attribuzione di compiti specificamente assegnati al responsabile ed agli addetti ai servizi di prevenzione e protezione, non incide sulla responsabilità per inadempimento dell’obbligo di sicurezza gravante sul datore di lavoro né sulla eventuale responsabilità di quest’ultimo ai sensi dell’art. 2049 c.c.”.
In altri termini, la condanna penale del preposto alla sicurezza non esclude la responsabilità civile in capo al datore di lavoro. Debitori dell’obbligo di sicurezza sono tanto il datore di lavoro (sia in senso formale che quale titolare dei poteri di decisione e di spesa in materia di prevenzione e sorveglianza degli obblighi antiinfortunistici, come l’amministratore unico di società – v. Cass. n. 1399/2021) quanto il preposto delegato alla sicurezza, i quali possono essere chiamati a rispondere (ex art. 2055 c.c..) sulla scorta di titoli di imputazione della responsabilità diversi.