Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 ottobre 2021, n. 30599
Infortunio sul lavoro, Risarcimento danni, Eredi,
Violazione delle norme di sicurezza, Responsabilità
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Rovereto rigettò la domanda
proposta da M.R. e G.T., e da L. e R.R., rispettivamente genitori e fratelli di
L.R., di risarcimento di tutti i danni sofferti a seguito della morte del loro
congiunto deceduto in data 22/9/2000 a causa di un infortunio sul lavoro presso
la C.V.
2. La sentenza venne poi confermata dalla Corte
territoriale che ritenne di escludere la responsabilità del datore di lavoro
per il grave incidente occorso al lavoratore osservando che il comportamento da
questi tenuto era stato eccezionale ed abnorme, in palese violazione delle norme
di sicurezza.
2.1. Rilevò la Corte di merito che il lavoratore
deceduto aveva riportato nel corso del rapporto di lavoro contestazioni di
addebiti e di queste due riguardavano comportamenti contrari alle norme di
sicurezza.
2.2. Evidenziò che dopo l’incidente l’Ispettorato
aveva disposto delle misure di sicurezza che però non riguardavano la parte
dove era avvenuto l’incidente.
2.3. Osservò che la macchina ribobinatrice, alla
quale era addetto il lavoratore al momento dell’incidente, già nel 1994 era stata
oggetto di ispezione e già si era provveduto alla segregazione delle parti
pericolose.
2.4. Rilevò ancora che per accedere alla zona rulli,
dove era stato trovato il lavoratore incastrato tra i rulli e già morto, questi
si era infilato strisciando in uno spazio di cm 39 dal suolo sotto un
cancelletto, che impediva l’accesso ai rulli e la cui apertura bloccava la
macchina.
2.5. Ritenne che ciò dimostrasse l’abnormità
dell’operazione posta in essere dalla vittima e che un eventuale affaticamento
del lavoratore non poteva certo giustificare il comportamento abnorme di
essersi introdotto con contorsione innaturale al di sotto della protezione per
accedere alla zona rulli.
2.6. Sottolineò che il lavoratore aveva partecipato
a corsi di preparazione e comunque era considerato una persona capace.
Conclusivamente, rigettò le domande.
3. A seguito di ricorso in cassazione la sentenza
della Corte di appello venne cassata con rinvio alla Corte di merito sul
rilievo che non era stato adeguatamente accertato che la condotta tenuta dal R.
fosse abnorme, imprevedibile ed assolutamente opinabile.
3.1. La Cassazione ritenne inadeguato l’accertamento
del “rischio elettivo, generato da attività non avente rapporto con lo
svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso poiché il lavoratore
stava eseguendo le ordinarie mansioni assegnategli, e la necessità di
intervento sulla macchina per effettuare riparazione era una evenienza non solo
possibile ma anzi probabile.”
3.2. Evidenziò che ai fini dell’esonero della
responsabilità del datore di lavoro era necessario che l’attività non si
trovasse in rapporto con lo svolgimento della prestazione e che fosse
esorbitante rispetto ai suoi limiti. Osservò che doveva risultare provato che
il datore di lavoro avesse trascurato di accertare che le misure di protezione
fossero effettivamente rispettate da parte del dipendente, vigilando sul suo
operato, atteso che il datore di lavoro è tenuto a proteggere l’incolumità del
lavoratore anche dalla sua stessa imprudenza e negligenza. Ritenne inadeguata
ed incompleta la motivazione della sentenza “con riferimento alla
questione della sussistenza o meno di un complesso di sistemi di sicurezza
attorno alla macchina, ove è stato rinvenuto il lavoratore ormai deceduto,
idoneo ad evitare incidenti del genere” osservando che si era trascurato
di considerare “gli elementi emergenti dal verbale dell’ispettorato , il
cui contenuto è riportato nei tratti salienti dai ricorrenti ai fini
dell’autosufficienza del ricorso in cassazione, dal quale risultava che
l’ulteriore segregazione della macchina imposta dagli ispettori era tale da
impedire totalmente l’accesso se non a macchina totalmente ferma e ciò in
quanto la precedente segregazione non impediva il passaggio al di sotto del
cancello che era a cm 77 da terra.”
3.3. Nel valutare l’adeguatezza delle misure,
perciò, demandò alla Corte del rinvio di verificare se dall’istruttoria era
emerso che l’accesso alla macchina in movimento non era sicuramente del tutto
impedito e se l’ulteriore segregazione disposta dall’Ispettorato fosse o meno
estranea alla zona di lavoro dove avvenne l’incidente di tal che il datore di
lavoro era tenuto a “controllare e vigilare che il divieto di accesso alla
macchina in movimento venisse rispettato in concreto o, comunque , di aver
fatto tutto il possibile per evitare il danno non essendo sufficiente un
semplice concorso di colpa del lavoratore per interrompere il nesso di
causalità”.
4. Riassunto il giudizio davanti alla Corte di
appello di Trento il giudice del rinvio, in parziale accoglimento dell’appello
avverso la sentenza del Tribunale di Rovereto, ritenuto un concorso di colpa
del R. nella misura del 70%, ha condannato la SCA H.P. s.p.a. al risarcimento
del danno subito che ha liquidato per i genitori M.R. e G.T. in € 75.000,00
ciascuno, oltre interessi legali sulla somma di € 57.300,00 annualmente
rivalutata dal 22 settembre 2000 alla sentenza; per i fratelli L. e R. in €
25.500,00 ciascuno, oltre interessi legali sulla somma di € 19.482,00
annualmente rivalutata dal 22 settembre 2000 alla sentenza. Ha poi dichiarato
che G.B.S. s.c.p.a. mandataria e rappresentante di G.I. s.p.a. tenuta a
manlevare la datrice di lavoro SCA H.P. s.p.a.. Quanto alle spese, il giudice
del rinvio, nel regolarle in relazione a tutti i gradi, le ha compensate per
metà ponendo a carico della datrice di lavoro la restante metà. Ha invece
interamente compensato le spese della SCA H.P. s.p.a. con la società di
assicurazione.
5. Per la cassazione della sentenza hanno proposto
ricorso M.R., G.T., L. e R.R. affidato a tre motivi. SCA H.P. s.p.a. e G.I.
s.p.a. hanno resistito con controricorso. Tutte le parti hanno depositato
memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 cod. proc.civ. in vista
dell’udienza di discussione della controversia.
Ragioni della decisione
6. Il primo motivo di ricorso, con il quale è
denunciata la violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc.civ e dell’art. 2087
cod.civ. in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3 e 5 cod.proc.civ. e la
contraddittorietà e/o illogicità della motivazione in ordine alla anche minima
misura di concorso e/o responsabilità in capo al lavoratore, non può essere
accolto.
6.1. Sostengono i ricorrenti che la Corte del rinvio
nel ritenere sussistente un concorso di colpa del lavoratore si sarebbe solo
apparentemente adeguata ai principi dettati dalla Cassazione e,
contraddittoriamente rispetto all’esame delle prove eseguito ed alla
ricostruzione dei fatti espletata, avrebbe fissato nel 70% il concorso di colpa
del R.. Deduce che al contrario se ne sarebbe dovuta dedurre una responsabilità
esclusiva, o quanto meno nella misura del 75%, della società atteso che era
stato accertato che l’ambiente di lavoro non era sicuro, che manovre pericolose
erano frequenti, che la condotta non era imprevedibile e che il macchinario era
privo di misure di sicurezza e non era presidiato.
6.2. Rileva il Collegio che la sentenza, con
motivazione del tutto coerente con le emergenze probatorie, ha valutato, come
le era stato chiesto, l’accessibilità alla macchina in movimento, le
segregazioni attuate in esecuzione dei controlli da parte dell’Ispettorato del
lavoro e la vigilanza operata dalla datrice di lavoro per assicurare il
rispetto delle regole imposte. In esito a tale complessiva valutazione è
addivenuta all’attribuzione di un concorso di responsabilità che ha
quantificato nella misura del 70% a carico del lavoratore attribuendo, alla
datrice di lavoro il restante 30%.
6.3. Orbene la censura, pur formulata in termini di
violazione di legge, si sostanzia tuttavia in una critica della motivazione che
avrebbe dovuto essere veicolata attraverso l’art. 360 primo comma n. 5 cod.
proc.civ. nel testo vigente successivamente alle modifiche apportate d.l. n. 83
del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012 che trova applicazione al ricorso
per cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di rinvio disposto a norma
dell’art. 383 cod. proc. civ. quando, come nella specie, la sentenza conclusiva
del giudizio di rinvio è stata pubblicata successivamente all’entrata in vigore
della novella (cfr. Cass. 18/12/2014 n. 26654 e 24/05/2016 n. 10693).
6.4. Per effetto delle modifiche apportate dalla
riforma, il sindacato sulla motivazione della sentenza è ridotto all’omesso
esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti
dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto
di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se
esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Inoltre è
consentita una denuncia di anomalie motivazionali che si tramutano in
violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinenti
all’esistenza della motivazione in sé e che si esauriscono nella “mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella
“motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice
difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. per tutte Cass. Sez.
U. 07/04/2014 n. 8053).
6.5. La censura in esame non si confronta con il
testo della norma ma propone, piuttosto, una diversa e perciò inammissibile
valutazione dei fatti senza indicare quali siano quelli decisivi trascurati
dalla Corte del rinvio.
7. Anche l’ultimo motivo di ricorso, da esaminare
con precedenza rispetto al secondo per ragioni di priorità logica, va
dichiarato inammissibile.
7.1. Con la censura i ricorrenti deducono la
violazione degli artt. 1223 e 2059 cod.civ. e la contraddittorietà e/o
illogicità della motivazione, tanto in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3
e 5 cod.proc.civ.. Sostengono che la Corte sarebbe incorsa nelle denunciate
violazioni nell’identificare e poi, pedissequamente, liquidare il danno subito
dai familiari utilizzando le Tabelle del Tribunale di Milano senza adeguare
l’ammontare sulla base della gravità degli effetti prodotti sulla salute fisica
e psichica dei congiunti per effetto dell’evento luttuoso.
7.2. Rileva al riguardo il Collegio che se effettivamente
nella liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale –
diversamente da quanto statuito per il pregiudizio arrecato all’integrità
psico-fisica – le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano non costituiscono
concretizzazione paritaria dell’equità su tutto il territorio nazionale
tuttavia, qualora il giudice scelga di applicare i predetti parametri
tabellari, nella personalizzazione del risarcimento deve mantenersi nella
misura tra il minimo ed il massimo e se intenda discostarsene è tenuto ad
indicare le ragioni della sua scelta (cfr. per un caso di immotivata
liquidazione di un importo inferiore al minimo Cass. 14/11/2019 n. 29495).
7.3. Per consentire al giudice di pervenire ad una
personalizzazione del danno il più aderente possibile al caso concreto è
necessario che la parte interessata alleghi specificatamente le circostanze di
fatto che possano giustificare anche una deroga alle Tabelle. D’altro canto la
natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale, come predicata
dalle sezioni unite della S.C., deve essere interpretata, rispettivamente, nel
senso di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore
costituzionalmente protetto non suscettibile di valutazione economica e come
obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte
le conseguenze derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il
concorrente limite di evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi
diversi a pregiudizi identici, e di non oltrepassare una soglia minima di
apprezzabilità, procedendo ad un accertamento concreto e non astratto, dando
ingresso a tutti i mezzi di prova normativamente previsti, ivi compresi il
fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni (cfr. Cass. 17/01/2018
n. 901). Quando poi si verta, come nella specie, nel caso di un fatto illecito
plurioffensivo, ciascuno è titolare di un autonomo diritto all’integrale
risarcimento del pregiudizio subito, comprensivo, pertanto, sia del danno
morale che di quello “dinamico- relazionale”. Ne consegue che nel
caso in cui all’illecito, come nella specie, consegua la perdita definitiva del
rapporto parentale, ognuno dei familiari superstiti ha diritto ad una
liquidazione inclusiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in
proporzione alla durata ed intensità del vissuto, tenuto conto della
composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza
morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima ed a quella dei
familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro
capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del
caso concreto che è onere degli interessati allegare e poi dimostrare (anche
presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) mentre sulla controparte
graverà la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la
continuità e l’intensità del rapporto familiare (cfr. Cass. 13/06/2017 n. 14655
e 17/04/2013 n. 9231).
7.4. Nel caso in esame la Corte territoriale ha
esattamente applicato i principi sopra riportati tenendo conto delle specifiche
allegazioni delle parti e dando atto della mancanza di qualsivoglia allegazione
al riguardo (cfr. pag. 38 della sentenza), affermazione che viene genericamente
contrastata con il presente ricorso che non indica se, quando e in che termini
si era proceduto ad allegare specifiche circostanze che avrebbero dovuto
convincere del contrario.
8. Anche il motivo di ricorso con il quale è
denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod.
proc.civ. in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3 e 5 cod. proc.civ. e la
contraddittorietà e/o illogicità della motivazione con riguardo alla
attribuzione in misura anche minima di un concorso nelle spese del giudizio è
infondato atteso che la regolazione delle spese di lite può avvenire in base
alla soccombenza integrale, che determina la condanna dell’unica parte
soccombente al pagamento integrale di tali spese (art. 91 c.p.c.), ovvero in
base alla reciproca parziale soccombenza, che si fonda sul principio di
causalità degli oneri processuali e comporta la possibile compensazione totale
o parziale di essi (art. 92, comma 2, c.p.c.). A tale fine, la reciproca
soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte
formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di
accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto allorché quest’ultima
sia stata articolati in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni,
quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità
abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento (cfr.
Cass. 22/02/2016 n. 3438 ed anche Cass. n.21684 del 2013).
9. In conclusione, per le ragioni esposte, il
ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate in dispositivo in favore
delle controricorrenti, vanno poste a carico delle parti soccombenti. Ai sensi
dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei
ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato
d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del
giudizio che liquida, in favore di ciascuna delle parti costituite, in €
5250,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese
forfetarie,oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13
comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.