Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 novembre 2021, n. 31055

Obblighi contributivi, Società partecipate da enti pubblici,
Deroga all’ordinaria obbligatorietà del versamento dei contributi previdenziali
– Esclusione

 

Rilevato che

 

L’I.N.P.S. (anche quale mandatario della S.C.C.I.
S.p.A.) propone ricorso con unico motivo avverso la sentenza n. 9306/2014 della
Corte d’appello di Roma che ha rigettato l’appello proposto dall’Inps, nei
confronti di E.D. s.p.a, E.A. s.r.l., E.T. s.p.a. e S. s.r.l. e di E.S. s.p.a.
contro la sentenza del Tribunale della stessa città che, nel giudizio di
opposizione alla cartella avente ad oggetto il pagamento di somme derivanti
omissioni contributive, aveva dichiarato l’insussistenza delle pretese
contributive azionate dall’Inps in ragione dell’applicabilità del D.L. n. 112 del 2008, art. 20
conv. in L. n. 133 del 2008 con riferimento,
non solo all’esonero della contribuzione per malattia, trattandosi di datore di
lavoro che ha corrisposto il relativo trattamento con esonero dell’Inps dal
relativo obbligo, ma anche in via analogica con riferimento all’esonero dalla
contribuzione di maternità non previsto testualmente; il Tribunale aveva anche
dichiarato non dovuti i contributi pretesi per cassa integrazione guadagni e
mobilità;

la Corte territoriale, dato atto della formazione
del giudicato sulle pretese ora citate, ha ritenuto, con riferimento a
M’obbligo della società opponente per il periodo antecedente al gennaio 2009,
appartenente al gruppo E.N.E.L. S.p.A., che la L. n. 138 del 1943, art. 6 che
esonera l’I.N.P.S. dal pagamento dell’indennità di malattia quando il datore di
lavoro è tenuto, in base a contratto collettivo, a corrispondere la
retribuzione durante la malattia del dipendente, fosse applicabile anche
all’indennità di maternità, con la conseguente insussistenza dell’obbligo di
versamento della relativa contribuzione all’I.N.P.S.;

– resistono di E.D. s.p.a, E.A. s.r.l., E.T. s.p.a.
e S. s.r.l. con controricorso;

– E.S. s.p.a. è rimasta intimata.

 

Considerato che

 

– Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia
violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 20
(conv. con L. n. 133 del 2008), del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 22,
comma 2 e art. 79 e L. n. 138 del 1943, art.
6 del D.P.R. n. 145 del 1965, art.
1, comma 1 e della L. n. 104 del 2006, art. 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte di merito
ritenuto che la prima delle disposizioni citate, che nell’interpretare
autenticamente l’art. 6
cit. ha previsto che “i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o
per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di
malattia, con conseguente esonero dell’Istituto nazionale della previdenza
sociale dall’erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento
della relativa contribuzione ah Istituto medesimo”, si applicasse anche ai
trattamenti e ai contributi per maternità, con la conseguenza che, avendo il
successivo art. 20 cit.,
comma 2, lett. a), previsto l’obbligo per “le imprese dello Stato, degli
enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto” di
versare “la contribuzione per maternità” soltanto “a decorrere
dal 1 gennaio 2009”, nessuna contribuzione a tale titolo poteva l’INPS
richiedere per il periodo precedente;

– il motivo è fondato;

– questa Corte ha già avuto modo di chiarire che le
società che, come l’odierna controricorrente, derivano la loro genesi dal
processo di trasformazione dell’E., sono obbligate al pagamento della
contribuzione per maternità anche per il periodo anteriore all’1.1.2009,
nonostante il versamento diretto del trattamento dovuto alle lavoratrici madri,
non essendo estensibile a tali contributi l’esonero previsto dal D.L. n. 112 del 2008, art. 20
(conv. con L. n. 133 del 2008), con
riferimento ai contributi per malattia, in favore dei datori di lavoro che
abbiano corrisposto direttamente ai lavoratori la relativa indennità (cfr. Cass. n. 15394 del 2017; Cass. n. 8854 del 2018;
Cass. n. 8861 del 2018);

a supporto di tale conclusione si è sottolineato che
l’obbligo, per tali società, di corrispondere ai propri dipendenti il
trattamento di maternità discende dai contratti collettivi, e non già dal
D.P.R. n. 145 del 1965, art. 1 che deve ritenersi disposizione ormai priva di
efficacia diretta, in quanto legata necessariamente all’esistenza dell’ente
pubblico economico denominato Ente Nazionale per l’Energia Elettrica, già
venuto meno a seguito della sua trasformazione in società per azioni, per
effetto del D.L. n. 333 del 1992, e poi
ulteriormente scomposto in più società a seguito della liberalizzazione del
mercato elettrico realizzata dalla Legge Delega n. 128 del 1999 e dal
successivo D.Lgs. n. 79 del 1999, resa necessaria dal rispetto degli obblighi
derivanti dalla direttiva 96/92/CE;

– va, quindi, richiamato il principio che informa la
materia degli obblighi contributivi delle società partecipate da enti pubblici che
questa Corte di cassazione ha più volte recentemente affermato e che si
compendia nell’affermazione secondo cui nessuna deroga all’ordinaria
obbligatorietà del versamento dei contributi previdenziali può discendere dalla
origine di tali soggetti, trattandosi di società di natura essenzialmente
privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di
concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo
esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando
irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella
propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma
non totalitaria – da parte dell’ente pubblico (in tal senso Cass. n. 8591/2017 a proposito dei contributi per
cassa integrazione guadagni; Cass. n. 4274/2016; Cass.
27213/2013); – va, altresì, ribadito – sulla scorta di Cass. S.U. n. 10232 del 2003 e di Corte cost. n. 47 del 2008 – che il fondamento
della previdenza sociale sta nel principio di solidarietà e che il concetto di
sinallagma inteso quale equilibrio di obbligazioni corrispettive, risulta
insufficiente alla rappresentazione del sistema previdenziale, accompagnandosi
all’apporto contributivo delle categorie interessate il costante intervento
finanziario dello Stato e quindi della solidarietà generale, con la conseguenza
che, non esistendo tra prestazioni e contributi un nesso di reciproca
giustificazione causale e ben potendo dunque persistere l’obbligazione
contributiva a carico del datore di lavoro anche quando per tutti o per alcuni
dei lavoratori dipendenti l’ente previdenziale non sia tenuto a certe prestazioni,
il rinvio ai criteri previsti per l’erogazione delle prestazioni
dell’assicurazione obbligatoria per le malattie, contenuto nella L. n. 1204 del 1971, art. 15
in tema di corresponsione dell’indennità di maternità, non consente di per sé
di estendere ai contributi per la maternità l’esonero dall’obbligo contributivo
previsto per i datori di lavoro tenuti a versare l’indennità di malattia;

– va rilevato che dalle statuizioni di Cass. S.U. n. 10232 del 2003, così come quelle di Corte cost. n. 47 del 2008, è dato ricavare un
principio di carattere generale relativo alla natura sostanzialmente impositiva
della contribuzione previdenziale pubblica ed all’assenza di logiche di stretta
correlazione tra obbligo contributivo e prestazione alla stessa sottese;

– per altro verso, l’individuazione delle previsioni
contrattuali collettive quali fonti esclusive dell’obbligo di corresponsione
dell’indennità di maternità da parte della società contro ricorrente assolve al
compito di giustificare la persistenza di tale obbligazione a seguito del venir
meno dell’efficacia precettiva del disposto del D.P.R. n. 145 del 1965, art. 1:
trattandosi di obbligazione di fonte collettiva, e non più legale, il suo
adempimento non può logicamente essere invocato dall’odierna controricorrente
al fine di garantirsi l’esonero dal pagamento dei contributi previdenziali
relativi all’indennità di maternità;

– non può sorgere dubbio di legittimità
costituzionale, peraltro, sul presupposto di una disparità di trattamento tra
le società derivate dalla trasformazione dall’ente pubblico e quelle generatesi
dello scorporo delle prime posto che il D.P.R. n. 145 del 1965, art. 1 ha continuato
a trovare applicazione anche alle società derivanti dalla c.d. prima
privatizzazione, dal momento che la sua efficacia precettiva deve ritenersi
venuta meno a seguito della trasformazione dell’E. in società per azioni;

– di conseguenza non può in alcun modo trarsi dal D.L. n. 112 del 2008, art. 20,
comma 2, cit., alcun indizio circa la volontà del legislatore di assoggettare
le società derivanti dal processo di trasformazione dell’E. al pagamento dei
contributi per maternità solo a far data dal 1.1.2009, come invece ritenuto
dalla sentenza impugnata: tale obbligo, infatti, doveva ritenersi immanente al
sistema in ragione dei rilievi di ordine sistematico dianzi enunciati, restando
naturalmente salva la facoltà del legislatore di renderlo manifesto attraverso
un’apposita disposizione di legge a carattere meramente ricognitivo (cfr. in
tal senso, tra le tante, Corte cost. nn. 230 del 2016, 346 del 2010, 401 del 2007);

– neppure possono desumersi argomenti contrari dalla
L. n. 218 del 1990, art. 3,
comma 2, che, oltre i diritti quesiti, ha fatto salvi “gli effetti di
leggi speciali e quelli rivenienti dalla originaria natura pubblica dell’ente
di appartenenza”, giacché tale disposizione, originariamente introdotta
per i dipendenti degli enti creditizi e successivamente estesa anche ai
dipendenti dell’E. in virtù del D.L. n. 198 del
1993 (conv. con L. n. 292 del 1993), si
riferisce espressamente ed esclusivamente alle situazioni giuridiche dei
dipendenti degli enti pubblici oggetto di trasformazione in soggetti di diritto
privato e non può in alcun modo costituire la base normativa per attribuire
situazioni di vantaggio in favore dei loro datori di lavoro;

– il ricorso, pertanto, va accolto e la sentenza
impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa
composizione che esaminerà la fattispecie applicando i citati principi e
regolerà le spese del presente giudizio di legittimità;

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione anche per le spese
del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 novembre 2021, n. 31055
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