L’assistente di studio che svolga la sua prestazione con continuità nel tempo e con la messa a disposizione delle energie lavorative è un lavoratore parasubordinato; il rapporto di lavoro di un amministratore delegato di una società può essere qualificato come autonomo o subordinato.
Nota a Cass. ord. 29 settembre 2021, n. 26452 e Cass. ord. 29 settembre 2021, n. 26484
Sonia Gioia e Pamela Coti
La Corte di Cassazione ha esaminato due diverse tipologie di lavoratori in relazione alla possibile configurazione di un lavoro subordinato: un assistente di studio ed un amministratore delegato.
Con riguardo al primo, assunto presso uno studio con una pluralità di contratti di lavoro autonomo a tempo determinato, la Corte (ord. 29 settembre 2021, n. 26452) ha chiarito che, nel caso di specie, le caratteristiche del rapporto di lavoro erano maggiormente confacenti alla nozione della parasubordinazione, dal momento che il lavoratore aveva svolto prestazioni inserite in un’ampia organizzazione “caratterizzata … da una chiara continuità nel tempo e nella messa a disposizione delle energie lavorative” ed ha precisato, in linea con la giurisprudenza consolidata, che “ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato o autonomo, poiché l’iniziale contratto dà vita ad un rapporto che si protrae nel tempo, la volontà che esso esprime ed il nomen iuris non costituiscono fattori assorbenti, diventando viceversa il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto elemento necessario non solo ai fini della sua interpretazione, ma anche utilizzabile per l’accertamento di una nuova diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso dell’attuazione del rapporto e diretta a modificare singole clausole contrattuali e talora la stessa natura del rapporto inizialmente prevista”.
Per quanto concerne la seconda figura professionale, la Cassazione (ord. 29 settembre 2021, n. 26484) ha osservato, in linea con l’insegnamento delle SU in merito alla natura del rapporto tra società di capitali ed il suo amministratore, che l’amministratore unico di una società di capitali (sia s.p.a. che s.r.l.) è legato alla stessa da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli previsti dal n. 3 dell’art. 409 c.p.c. (v. Cass., SU n. 1545/2017). Tale sentenza ha anche precisato che non può escludersi che s’instauri, tra la società e la persona fisica che la rappresenta e la gestisce, un autonomo, parallelo e diverso rapporto che assuma, secondo l’accertamento esclusivo del giudice di merito, le caratteristiche di un rapporto subordinato, parasubordinato o d’opera (v. già Cass. n. 1796/1996).
In ogni caso, quando vi è un consiglio di amministrazione, spetta all’amministratore che intenda chiedere il riconoscimento del proprio diritto di lavoratore subordinato dimostrare che “le deleghe conferite non integrano la situazione di identità soggettiva tra le funzioni di datore di lavoro (titolare del potere di direzione e sanzionatorio) e la posizione di lavoratore (soggezione al potere del datore)”. Altrimenti egli dovrebbe dimostrare di aver svolto mansioni lavorative tali da non interferire con le deleghe conferitegli quale amministratore.
(In tema, v., in questo sito, G. I. VIGLIOTTI, La natura giuridica del rapporto di lavoro degli amministratori di società di capitali, Monotema n. 3/2017).