Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 novembre 2021, n. 40014
Sicurezza sul lavoro, Infortunio, Lesioni gravi, Omissione
colposa del datore di lavoro
Ritenuto in fatto
1.La Corte di Appello di Milano, con sentenza dei 12
febbraio 2020, ha confermato la condanna di F. C. alla pena di euro 300 di
multa ed al risarcimento dei danni, da liquidarsi in sede civile, nei confronti
di L.O. per il reato di cui all’art. 590 cod.pen.
(per avere, in data 20 novembre 2012 ed in cooperazione colposa con altri, in
qualità di datore di lavoro, cagionato lesioni gravi al dipendente L. O., il
quale, nel trasportare un carrello retrattile a guida laterale per prelevare
merci, collideva con altro carrello a guida frontale, fermo nel corridoio, con
colpa consistita nella violazione degli artt. 2087 cod.civ. e 15,17,55,71,163,
in relazione al punto 1.4.10 dell’allegato IV, del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81,
non avendo adeguatamente valutato i rischi, non avendo creato un’area, all’interno
del magazzino, adibita a parcheggio temporaneo dei carrelli elevatori e non
avendo installato specchi in punti opportuni al fine di eliminare angoli morti
che limitavano la visibilità).
2. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivo
ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, l’imputato, che ha dedotto: 1)
la prescrizione del reato nelle more del giudizio, eccependo la illegittimità
costituzionale della disciplina emergenziale, in particolare dell’art. 3- bis
del d.l. n. n. 18 del 2020, introdotto con la legge di conversione n. 27 del
2020, con cui si è sospeso, in violazione del principio di irretroattività
della legge penale, il relativo termine sino ad una data indefinita ed
indefinibile, mentre i termini processuali per la difesa hanno ripreso a decorrere
dal giorno 11 maggio 2020; 2) la violazione di legge, il vizio di motivazione
ed il travisamento della prova, atteso che la colpa del datore di lavoro è
stata ravvisata nella mancata previsione di una disciplina che impedisse di
parcheggiare i carrelli nel corridoio senza, tuttavia, individuare la norma
cautelare che impone la realizzazione di una specifica area di sosta per i
carrelli elevatori nell’ambito di un magazzino, non potendo ricavarsi tale
precetto dall’art. 1.4.10 dell’allegato IV del d.lgs. n. 81 del 2008, che si
riferisce solo ai materiali e non ai mezzi di movimentazione, inclusi nella
circolazione, di cui, dunque, non costituiscono un ostacolo, e travisando la
prova in ordine ad un asserito caos, desunto da segnalazioni riferite ad altri
anni ed ad altre aree del magazzino, ed, inoltre, senza accertare il nesso di
causalità tra tale omissione ed il sinistro, che si sarebbe potuto verificare
ugualmente in considerazione del passaggio di altri carrelli, per i quali,
comunque, vi era spazio sufficiente; 3) la lacunosità e contraddittorietà della
motivazione della sentenza impugnata, che non ha risposto alle puntuali
deduzioni difensive dell’appello, dirette a negare la situazione di caos
all’interno del magazzino, la incertezza della posizione del carrello e
l’attendibilità della persona offesa, e la illogicità del ragionamento svolto,
secondo cui, pur non potendosi accertare la veridicità della versione dei fatti
della vittima (in ordine al mancato funzionamento del freno), esclusa dalla
perizia della difesa, si è confermata la sua attendibilità
3. La Procura Generale presso la Corte di Cassazione
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
La parte civile ha chiesto dichiararsi inammissibile
o rigettarsi il ricorso ed ha depositato nota spese.
Il ricorrente ha insistito per l’annullamento, senza
rinvio o in subordine con rinvio, della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. In ordine al primo motivo, avente ad oggetto la
prescrizione del reato, va ribadito che l’inammissibilità del ricorso per
cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non
punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. Pen (v., ad es., in ordine alla
inammissibilità per manifesta infondatezza Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L.,
Rv. 217266). A ciò si aggiunga che è inammissibile il ricorso per cassazione
proposto unicamente per far valere la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata
e prima della sua presentazione, privo di qualsiasi doglianza relativa alla
medesima, in quanto viola il criterio della specificità dei motivi enunciato
nell’art.581, lett.c) cod. proc.pen. ed esula dai casi in relazione ai quali
può essere proposto a norma dell’art. 606 dello stesso codice (Sez. U, n. 33542
del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531).
In proposito occorre solo sottolineare che la
sentenza in esame è stata pronunciata in data 12 febbraio 2020 e, dunque, prima
del decorso del termine massimo di prescrizione del reato, che risale al 20
novembre 2012. Difatti, ai fini del computo della prescrizione rileva il
momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non quello
successivo del deposito della stessa (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Camimi,
Rv. 277593).
3. Le altre due censure, che possono essere
esaminate congiuntamente, in quanto mirano, in modo complessivo, ad aggredire
l’affermazione di responsabilità del ricorrente, sono manifestamente infondate.
Occorre premettere che, secondo la ricostruzione dei
giudici di merito, l’infortunio si è verificato a causa della collisione del
carrello condotto dalla vittima, immessasi, dopo una curva, in un corridoio,
con un altro mezzo ivi parcheggiato, senza alcuna specifica ragione, come
tollerato e consentito in azienda, non esistendo all’epoca dei fatti alcuna
area destinata al parcheggio, nonostante le segnalazioni pervenute in ordine
alle connesse problematiche. Nella sentenza di primo grado si è precisato che
“l’incidente non si sarebbe verificato se il collega (allontanatosi per
una banale pausa caffè) non avesse parcheggiato il mezzo in quel punto”.
L’omissione colposa del datore di lavoro è stata individuata nella mancata
adozione di misure necessarie alla
tutela dei lavoratori nelle operazioni di circolazione – misura identificata
dai giudici di merito con la creazione di un’area di parcheggio al fine di
prevenire l’intralcio al passaggio dei mezzi costituito dalla presenza di
veicoli in sosta o, comunque, con altre azioni idonee ad evitare il pericoloso
ingombro.
Alla luce di tale puntuale ricostruzione, deve, in
primo luogo, rilevarsi che le norme cautelari, la cui violazione ha causato
l’infortunio del lavoratore, risultano individuate con precisione già nel capo
di imputazione – in particolare l’art.15, lett. a, b, e c, del d.lgs. n. 81 del
2008, che impone al datore di lavoro la valutazione di tutti i rischi per la
salute e sicurezza dei lavoratori, la programmazione della prevenzione e
l’eliminazione dei rischi o, ove ciò non
sia possibile, la loro riduzione al minimo, obblighi il cui contenuto va
definito alla luce degli allegati del provvedimento normativo in esame, tra cui
l’allegato IV, che, nello stabilire i requisiti dei luoghi di lavoro, si
sofferma sulla sicurezza delle vie di circolazione, prescrivendo una serie di
cautele e precauzioni, tra cui, al punto 1.4.10, la necessità che le stesse
siano sgombre da materiali che possano ostacolare il transito. Il sostantivo
“materiali” non può essere interpretato in senso restrittivo, come
proposto dal ricorrente, e, quindi, contrapposto ai mezzi destinati al transito
e alla movimentazione delle merci. Difatti, gli stessi veicoli integrano
oggetti materiali, suscettibili di essere ricompresi nel genus richiamato dal
1.4.10, laddove, non essendo in movimento, possano tradursi in ingombro della
via di transito e in un intralcio alla circolazione. A ciò si aggiunga che,
sebbene non sia espressamente prescritta la creazione in un magazzino di
un’area di parcheggio, proprio il punto 1.4.10 dell’allegato IV al d.lgs. n. 81 del 2008 tendenzialmente esclude
che i veicoli in sosta possano essere lasciati sulle vie di transito ed il
successivo punto 1.4.11 impone, laddove non possa adottarsi altra precauzione
più efficace, un’adeguata segnaletica.
Parimenti la decisione individua, in modo logico ed
ineccepibile, il nesso di causalità tra la condotta colposa del datore di
lavoro e l’infortunio, conformemente al principio secondo cui, nel reato
colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non
può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità
statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta
probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che,
ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa
l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di
credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in
epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (Sez. U, n.
30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138). Al contrario, il ricorrente si è
limitato ad ipotizzare la verificazione dell’infortunio con modalità diverse
(e, cioè, dovuto alla collisione tra due veicoli in movimento) o la mancata
verificazione dell’infortunio, stante la sufficienza dell’area al passaggio del
muletto nonostante la presenza del carrello in sosta. Si tratta, però, della
prospettazione astratta di avvenimenti diversi rispetto a quello realmente
avvenuto, che non incide sulla ricostruzione dei fatti.
A fronte della puntuale ed esaustiva motivazione
delle sentenze di merito sugli elementi del reato, le censure del ricorrente,
rispetto a cui si è lamentata l’omessa o contraddittoria risposta, risultano
prive di rilievo, in quanto inconsistenti ed inconferentì. Per completezza,
deve solo precisarsi che in parte il ricorso tende ad una diversa
interpretazione del materiale probatorio (ad esempio, in ordine alle precedenti
segnalazioni delle problematiche inerenti alla circolazione), che non è
consentita in questa sede, e denuncia travisamenti delle prove inesistenti.
In proposito deve ricordarsi, da un lato, che n tema
di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e
l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione
dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una
migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito
(Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso,
Rv. 265482), e, dall’altro lato, che il vizio di travisamento della prova può
essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta
“doppia conforme”, solo nelle ipotesi (che non ricorrono nel caso di
specie) in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute
nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo
giudice, oppure quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo
travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale
macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il
riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di
merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle
partì (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155).
5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali
e, non sussistendo alcuna ragione di esonero, della sanzione pecuniaria, che si
reputa equo liquidare in euro tremila, in favore della Cassa delle Ammende,
oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila
in favore della Cassa delle Ammende, oltre che alla rifusione delle spese
sostenute dalla parte civile O. L. in questo giudizio di legittimità, spese che
liquida in euro tremila, oltre accessori come per legge.