Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 novembre 2021, n. 34069
Tributi, IRPEF, Previdenza complementare, Fondo di
previdenza integrativa aziendale, Prestazioni liquidate in forma capitale,
Tassazione, Applicabilità dell’aliquota del 12,50 per cento, Onere di prova
del rendimento derivante dall’impiego sul mercato del capitale relativo ai
contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore
Rilevato
1. Il contribuente, ex dirigente Enel s.p.a ed
iscritto al Fondo pensione denominato “PIA”, presentava
all’Amministrazione finanziaria istanza di rimborso per £ 398.708.658 o, in
subordine, per la differenza tra quanto versato all’Erario dal sostituito
d’imposta Enel e quanto dovuto allo stesso Erario con l’applicazione di
un’aliquota pari al 12,50% ai sensi della L. n. 482/1985, oltre agli interessi
legali. Rimasta inevasa l’istanza, si formava il silenzio rifiuto che il
contribuente impugnava avanti la Commissione tributaria provinciale.
2. Il primo grado di merito, favorevole al
contribuente, veniva riformato dalla Commissione Tributaria regionale. Il
contribuente insorgeva pertanto con ricorso avanti a questa Corte, che cassava
con rinvio la decisione impugnata, giusta sentenza n. 1416/2013, demandando al
giudice del merito il compito di accertare, “in coerenza con il principio
di diritto enunciato nella sentenza n. 13642/2011, il rendimento derivante
dall’impiego sul mercato del capitale costituito dagli accantonamenti
imputabili ai contributi versati al Fondo dal datore di lavoro e dal lavoratore”.
3. Il contribuente riassumeva così il giudizio
avanti la Commissione tributaria regionale, chiedendo di accertare il
rendimento derivante dall’impiego sul mercato degli accantonamenti affluiti nel
fondo PIA, all’uopo richiamando due certificazioni Enel del 19.03.2007 e
23.03.2007, a suo dire rappresentative della composizione e delle modalità di
formazione del capitale. Chiedeva altresì l’esibizione a Fondenel del prospetto
contabile attestate la composizione della prestazione e una CTU.
4. L’Ufficio si costituiva eccependo come fosse
onere della CTR verificare se vi fosse stato, e in che misura, l’impiego da
parte del Fondo del capitale accantonato sul mercato e quale fosse stato il
rendimento conseguito in relazione a tale impiego, per il quale (solo) poteva giustificarsi l’applicabilità
dell’aliquota del 12.50%.
5. La Commissione tributaria regionale accoglieva il
gravame proposto dal contribuente, ritenendo che non fosse più contestabile il
diritto al rimborso del contribuente, sì demandando all’Ufficio, in sede di
esecuzione della sentenza, di accertare l’esatta misura del rimborso.
6. Insorge con ricorso l’Avvocatura generale dello
Stato che svolge due motivi, cui resiste il contribuente con tempestivo
controricorso che in prossimità dell’udienza ha depositato altresì memoria.
Considerato
1. In via preliminare va respinta l’eccezione di
inammissibilità per tardività del ricorso proposto. La questione sottoposta
allo scrutinio di questa Corte è stata definita, avanti la Commissione
tributaria provinciale, nel corso dell’anno 2007, giusta sentenza n. 248/46/07.
Ne conseguente che il giudizio di primo grado è iniziato anteriormente al 4
luglio 2009 e, quindi, anteriormente all’entrata in vigore della legge n.
69/2009, la quale ha novellato l’art. 327 c.p.c., riducendo a sei mesi dal
deposito della sentenza il termine per impugnare le sentenze non notificate. Da
quanto sopra consegue che nella fattispecie in esame trova applicazione il
termine originario di un anno per la proposizione del ricorso per cassazione,
posto che quello ridotto a sei mesi – per effetto della novella – è applicabile
ai soli ricorsi instaurati in primo grado dopo il 4 luglio 2009.
Il ricorso è dunque tempestivo.
2. Con il primo motivo il patrono erariale denunzia
la violazione o falsa applicazione dell’art. 63 del d.lgs. 31.12.1992 n. 546 e
degli artt. 384 e 392 e ss. c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
particolare, critica la sentenza impugnata non aver la CTR fatto buon governo
del principio di diritto espresso dalla pronuncia n. 13642/2011, resa da questa
Corte a Sezioni Unite, con cui era stato stabilito il trattamento tributario
dei fondi previdenziali integrativi.
Afferma altresì che con la sentenza n. 1416/2013
questa Corte aveva onerato il Collegio del rinvio di accertare l’esistenza e
l’eventuale quantificazione del “rendimento netto”, imputabile alla
gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato. La CTR,
invece, aveva erroneamente ritenuto non più contestabile l’esistenza del diritto
al rimborso, onerando l’Amministrazione finanziaria della sua quantificazione
come effetto dell’accoglimento del ricorso in riassunzione promosso dal
contribuente e conseguente esecuzione della sentenza.
Il motivo è fondato.
2. Occorre premettere che con la citata sentenza n.
13642/2011, resa a Sezioni Unite, questa Corte ha stabilito il principio di
diritto secondo cui «In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni
erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca
antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un
fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e
a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento
tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la
prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22
dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17, solo per quanto
riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale
conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme
provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del
12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi
maturati a decorrere dall’i gennaio 2001 si applica interamente il regime di
tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), art. 16, comma 1,
lett. a) e art. 17». Con la successiva ordinanza n. 29200/2011 questa Corte
esplicava il significato del termine “rendimento”, che andava inteso
come il “rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte
del fondo del capitale accantonato (cfr. Cass., V, n. 13803/2019).
2.1 Ciò premesso, nel caso in esame è pacifico che
il Collegio del rinvio abbia erroneamente considerata come raggiunta la prova
dell’esistenza del diritto al rimborso già in sede di giudizio di legittimità,
ritenendo che residuasse la sua mera quantificazione, peraltro demandata
all’Ufficio nella successiva fase di esecuzione, previa definizione del
giudizio di appello in senso favorevole al contribuente. L’errore in cui è
incorsa la CTR risiede dunque nell’erronea applicazione del principio di
diritto stabilito dell’ordinanza di rinvio e, ancor prima, nell’ordinanza di
questa Corte resa a Sezioni Unite, avendo ritenuto infondatamente provato tout
court il diritto al rimborso, mentre esso doveva essere oggetto di puntuale
dimostrazione nel giudizio di merito con onere della prova a carico del
contribuente.
2.2 Più radicalmente, questa Corte ha enunciato il
seguente principio di diritto, cui si intende dare seguito: “in tema di
fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad
un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore
del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare
aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente,
sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati a
decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione
separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a),
e art. 17 (nel testo vigente ratione temporis); b) per gli importi maturati
fino al 31 dicembre 2000, invece, la prestazione è assoggettata a detto regime
di tassazione separata solo per quanto riguarda la sorte capitale, costituita
dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro e
dal lavoratore e corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla
cessazione del rapporto di lavoro, mentre si applica la ritenuta del 12,50%,
prevista dalla L. 26 settembre 1985, n.
482, art. 6 alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento. Sono
tali le somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato
sul mercato – non necessariamente finanziario – non anche quelle calcolate
attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di
capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni
previdenziali concordate” (26.04.2017 n.10285, ma vedasi altresì Cass. V,
n. 10907/2019, specialmente dal § 5 in poi).
In disparte la portata della pronuncia di rinvio
Cass. V, n. 1416/2013, è proprio il contenuto del controricorso (pag. 42-47)
che conferma l’assenza concreta di quei riscontri di investimento
specificamente richiesti da questa Corte per ritenere la natura d’investimento
del fondo, come richiesti anche dalla relazione n. 32/1999 della Corte dei
conti.
Il motivo merita pertanto accoglimento.
3. Con il secondo motivo, svolto in subordine
rispetto al primo, l’Avvocatura dello Stato lamenta l’omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti
in relazione all’art. 360, co.
1, n. 5 c.p.c.. In particolare, la parte ricorrente censura la sentenza
impugnata per essere la CTR incorsa nell’omesso esame circa un fatto decisivo
per il giudizio ossia l’accertamento se le somme affluite nel fondo PIA fossero
state o meno impiegate sui mercati finanziari e quale fosse stato, in ipotesi
affermativa, l’importo derivante da tale impiego. Deduce che tale fatto,
rectius l’accertamento se le somme affluite nel fondo PIA fossero state o meno
impiegate sui mercati finanziari, era stato oggetto di discussione tra le
parti, oltre a costituire un onere demandato da questa Corte con l’ordinanza di
rinvio e che, ciò nondimeno, il Collegio d’appello avrebbe deciso la
controversia omettendo il doveroso esame del fatto in questione.
3.1 Il secondo motivo, svolto in via subordinata, rimane
assorbito dall’accoglimento del primo motivo.
In definitiva, il ricorso è fondato e può essere
definito con il rigetto del ricorso originario del contribuente, non residuando
ulteriore profilo di accertamento in fatto. La peculiarità delle questioni esaminante,
su cui la giurisprudenza si è consolidata solo in tempi recenti, impone di
compensare integralmente le spese dei gradi di merito e del giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara
assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, non residuando ulteriori
profili di accertamento in fatto, rigetta il ricorso originario del
contribuente.
Compensa integralmente tra le parti le spese dei
gradi di merito e del giudizio di legittimità.