Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 novembre 2021, n. 34422

Licenziamento, Attività di portiere, Abbandono del posto di
lavoro, Intensità dell’elemento volitivo, Proporzionalità della sanzione
espulsiva

Fatti di causa

 

1. In data 10.3.2015 la A. Soc. Coop irrogava alla
dipendente D.M., operaia di II livello del CCNL imprese di pulizia e servizi
integrativi/multiservizi e con mansioni di portiere da espletarsi presso la
sede del Politecnico di Bari, la sanzione del licenziamento con preavviso “ai
sensi e per gli effetti dell’art. 48 lett. A comma d) del CCNL di categoria in
adozione” perché in data 17.2.2025, alle ore 2.40, era stata sorpresa dal
suo referente di cantiere mentre dormiva all’interno della sua autovettura
parcheggiata sotto i portici del corpo A-Z, zona dove era assolutamente vietato
il transito per motivi di sicurezza, nonostante il suo turno di lavoro fosse
previsto dalle 00:00 alle ore 8:00.

2. Impugnato il licenziamento il Tribunale di Bari,
sia in fase sommaria che con la sentenza del 15.5.2018, rigettava la domanda
proposta dalla lavoratrice.

3. La Corte di appello di Bari, con la pronuncia n.
2230/2018, pubblicata il 27.11.2018, accoglieva il reclamo proposto dalla M. e,
in riforma della impugnata sentenza, dichiarava risolto il rapporto di lavoro
intercorso tra le parti con effetto dalla data del licenziamento e condannava
la società al pagamento, in favore della lavoratrice, di una indennità
risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto
oltre accessori.

4. A fondamento della decisione i giudici di seconde
cure rilevavano che: 1) il fatto disciplinare contestato alla M. era
sussistente, come risultava dal video su supporto DVD processualmente
acquisito; 2) la condotta in esame era connotata dai requisiti di coscienza e
volontarietà del fatto; 3) l’attività di portiere, svolta dalla lavoratrice,
non era equiparabile a quella di guardia giurata ed era stata corretta la
sussunzione del fatto nella previsione contrattuale di cui all’art. 48 sub. A)
lett. d) e non già tra quelle meritevoli delle più blande sanzioni di cui
all’art. 47 del CCNL adottato; 4) non vi era, però, proporzione tra fatto e
sanzione per cui andava applicata l’ipotesi di cui all’art. 18 co. 5 legge n.
300 del 1970.

5. Avverso la decisione di secondo grado proponeva
ricorso per cassazione l’A. Soc. Coop. affidato a tre motivi, cui resisteva con
controricorso D.M.

6. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni
scritte, ai sensi dell’art. 23 comma 8 bis del d.l n. 137 del 2000 coordinato
con la legge di conversione n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso.

7. Le parti hanno depositato memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la
violazione e falsa applicazione delle norme di diritto e dei contratti e
accordi collettivi d lavoro (art. 360 n. 3 c.p.c., art. 2106 cc, 2119 cc, art.
3 I. n. 604 del 1966, art. 48 lett. A comma d) del CCNL Multiservizi). Deduce
che il giudizio di adeguatezza della misura sanzionatoria, adottata nel caso di
specie in relazione agli addebiti ascritti alla lavoratrice, era viziato in
quanto contrario al principio di proporzionalità di cui all’art. 2106 cc e non
collimante con l’ipotesi sanzionatoria pur tipizzata dalla contrattazione
collettiva (art. 48 lett. A comma d) nel cui alveo era sussumibile la condotta
della lavoratrice. In particolare, si sostiene che la valutazione della Corte
territoriale differiva sensibilmente dalla nozione di giustificato motivo
soggettivo e che l’errore commesso era consistito nell’avere richiamato i
principi giurisprudenziali consolidatisi con riferimento alla nozione di giusta
causa di recesso di un licenziamento che, invece, come detto, era stato
irrogato per giustificato motivo soggettivo.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e
falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., art. 2106 cc e art. 3 legge n.
604/1966, per non avere la Corte territoriale adeguatamente considerato la
portata lesiva del fatto addebitato, la circostanza del suo verificarsi, i
motivi nonché l’intensità dell’elemento volitivo, così come desumibili dalle
emergenze processuali.

4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della
contraddittorietà della motivazione, a sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., presente
nell’evidente contrasto rilevabile tra la qualificazione della condotta della
lavoratrice, operata dalla Corte territoriale in termini di gravità e tale da
giustificare l’adozione della sanzione tipizzata dall’art. 48 lett. A comma d)
del CCNL Multiservizi e la successiva statuizione di sproporzionalità della
sanzione operata dalla stessa Corte con riferimento alla medesima condotta
della dipendente.

5. Il primo ed il terzo motivo, da trattarsi
congiuntamente per connessione, sono infondati.

6. La Corte territoriale si è attenuta al principio,
che oramai può ritenersi consolidato in sede di legittimità, secondo cui, in
tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo,
non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva,
rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nella
attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi
concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, ma la scala
valoriale formulata dalle parti sociali costituisce uno dei parametri cui
occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui
all’art. 2119 cod. civ. (Cass.
n. 17321/2020; Cass n. 3283/2020; Cass. n. 13865/2019).

7. Nella fattispecie in esame, pertanto, non è
ravvisabile la denunciata violazione di legge, relativamente al disposto degli
artt. 2106 e 2119 cod. civ. né alcuna contraddittorietà della motivazione, in
quanto la Corte di merito ha correttamente operato nel sussumere la condotta
della lavoratrice nell’ipotesi disciplinare di abbandono del posto di lavoro,
nella versione sanzionata con il licenziamento con preavviso (con statuizione
divenuta definitiva perché non impugnata dalle parti) e, conseguentemente, ha
valutato la proporzionalità tra la condotta e la sanzione applicata.

8. Il giudice, infatti, non può limitarsi a
verificare se il fatto addebitato sia riconducibile ad una previsione
contrattuale, essendo comunque tenuto a valutare in concreto la condotta
addebitata e, quindi, la proporzionalità della sanzione.

9. Va sottolineato che la giusta causa di
licenziamento, così come il giustificato motivo soggettivo (Cass. n.
12365/2019), sono nozioni legali rispetto alle quali non sono vincolanti -al
contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo- le
previsioni dei contratti collettivi, che hanno valenza esemplificativa e non
precludono l’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità
delle specifiche condotte a compromettere ¡I vincolo fiduciario tra datore e
lavoratore, con il solo limite che non può essere irrogato un licenziamento per
giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella
prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione
(Cass. n. 27004/2018).

10. La giusta causa ed il giustificato motivo
soggettivo, in quanto causali del recesso datoriale, costituiscono, dunque,
mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare
la cessazione del rapporto di lavoro, l’uno con effetto immediato e l’altro con
preavviso (Cass. n. 12884/2014; Cass. n. 837/2008).

11. Solo per completezza, deve sottolinearsi che
l’obbligo del giudice di valutare la legittimità del licenziamento
disciplinare, quanto alla proporzionalità della sanzione, anche attraverso le
previsioni contenute nei contratti collettivi, trova un fondamento normativo
nella legge n. 183 del 2010, che all’art. 30 co. 3 ha testualmente previsto:
<nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice
tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo
presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati
comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro
ove stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di
certificazione di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003
n. 276 e successive modificazioni>>.

12. Le previsioni della contrattazione collettiva,
pertanto, non vincolano il giudice di merito, con il solo limite prima
indicato, e la scala valoriale recepita dalle parti sociali non esclude,
comunque, la valutazione sulla proporzionalità della sanzione in ipotesi di
licenziamento per giustificato motivo soggettivo (Cass. n. 32500 del 2018).

13. In altri termini, l’espressa tipizzazione della
fattispecie da parte della contrattazione collettiva comunque richiede la
mediazione della valutazione del giudice sull’accertamento della proporzione
tra sanzione e fatto, con conseguente sua rilevanza in tema di individuazione delle
conseguenze (Cass. n. 13178/2017).

14. L’operato della Corte territoriale è da
ritenersi coretto, perché conforme ai principi di legittimità, e coerente nella
articolazione della ratio decidendi.

15. Il secondo motivo è, invece, inammissibile.

16. Esso, infatti, si sostanzia in una richiesta di
riesame e di rivisitazione degli elementi di fatto, da cui è stata desunta la
portate lesiva del fatto, il suo verificarsi e l’intensità dell’elemento
volitivo, i quali, essendo stati il risultato di una adeguata e logica analisi
effettuata in concreto dalla Corte di merito e congruamente motivata, non
possono essere censurati in sede di legittimità.

17. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve
essere rigettato.

18. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
come da dispositivo.

19. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR
n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve
provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da
dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio
di legittimità che liquida in euro 5.250,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del
DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 novembre 2021, n. 34422
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: