Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 novembre 2021, n. 33801

Impiego pubblico, Partecipazione alle trattative per la
stipula del contratto collettivo dei dirigenti delle Agenzie fiscali, Diritto
– Rappresentatività

 

Fatti di causa

 

1. D. – F. Pubblico Impiego (di seguito D.),
organizzazione sindacale (di seguito O.S. o OO.SS.) che associa funzionari,
dirigenti e professionisti delle Amministrazioni e delle Agenzie Pubbliche, ha
agito davanti al Tribunale di Roma nei confronti dell’Agenzia per la rappresentanza
negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (di seguito, Aran) per sentir
dichiarare il proprio diritto a partecipare alle trattative per la stipula, con
riferimento al quadriennio 2006-2009, del contratto collettivo dei dirigenti
delle Agenzie fiscali o quanto meno della sezione riservata ad esse e ciò sul
presupposto di una sua rappresentatività di quasi il 19 % rispetto a tali enti,
mentre la percentuale scendeva al 4,37% se calcolata rispetto all’intera area
VI quale definita dall’Accordo Quadro Nazionale (di seguito, AQN) del 1.2.2008,
comprendendo essa, oltre alle agenzie fiscali, anche gli enti pubblici non
economici.

La domanda veniva prospettata in via principale come
diretta a tale ammissione alla contrattazione, se del caso previa declaratoria
di nullità dell’AQN e, in via subordinata, previa proposizione di questione di
legittimità costituzionale dell’art. 43 d. Igs. 165/2001,
qualora tale norma fosse ritenuta ostativa alla pretesa azionata.

2. La Corte d’Appello di Roma, nel rigettare il
gravame proposto avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva
disatteso in primo grado tale domanda, argomentava, per quanto qui ancora
interessa, nei termini che si vanno ad esporre.

Quanto alla questione sulla nullità dell’AQ sulle
aree dirigenziali, la Corte territoriale riteneva che:

– il legislatore non aveva individuato nel criterio
di “effettività sindacale” un limite legale per la definizione dei
comparti e delle aree, affidando quest’ultimo aspetto ai “rapporti di
forza che possono manifestarsi” in quella sede;

– questa scelta non poteva ritenersi priva di
ragionevolezza (art. 3 Cost.) in quanto la
possibile perdita di rappresentatività era compensata dalla
“semplificazione” che ne derivava in sede di contrattazione e quindi
di buon andamento (art. 97 Cost.);

– non poteva poi affermarsi una violazione delle
regole fissate dalla legge per l’individuazione delle aree di contrattazione
dirigenziale, in quanto l’art.
43 imponeva la identificazione dei comparti sulla base di parametri di
omogeneità ed affinità dei settori, ma, una volta così individuati comparti,
non vi erano limiti rispetto all’eventuale accorpamento di essi al fine della
individuazione delle aree di contrattazione dirigenziale, sicché, l’AQN che
aveva individuato un’area unificando due dei comparti dell’epoca (agenzie
fiscali ed enti pubblici non economici) non poteva dirsi invalido.

Quanto alla questione di legittimità costituzionale,
la Corte d’Appello, con riferimento ai profili ancora oggetto di controversia,
affermava che: – non ricorreva violazione dell’art.
2 Cost. perché «le valutazioni di affiliazione sindacale, che il sistema
può indurre nei singoli dipendenti (anche dirigenti), restano pur sempre
affidate alla loro totale libertà … nel cui ambito si colloca il criterio
della convenienza come naturale criterio guida delle scelte di affiliazione
verso questa o quella sigla sindacale» e l’esclusione di qualche O.S. dalle
trattative «appartiene – in modo naturale e fisiologico, al nostro sistema di
relazioni sindacali, fino ad oggi privo di un’adeguata legge generale sulla
rappresentatività sindacale»;

– la tutela della singola O.S. è affidata all’ambito
sindacale e si esercita attraverso la confederazione di affiliazione, che ha
veste a partecipare alla stipula dell’AQN;

– non c’è violazione dell’art.
39 Cost., perché quella norma, stante l’inattuazione della sua seconda
parte, lascia alla libertà sindacale ed ai rapporti di forza il realizzarsi di
fatto di una proporzionalità tra rappresentatività dei dipendenti interessati e
stipulazione dei contratti collettivi;

– il sistema del d. Igs.
165/2001 individua invece un vero e proprio diritto a partecipare alla
contrattazione, che è ragionevole (art. 3 Cost.)
sia rimesso, quanto ad individuazione dei requisiti “minimi” per il
suo sorgere, al legislatore ordinario. D. ha proposto ricorso per cassazione
con un unico motivo, cui ha replicato l’Aran depositando controricorso.

3. Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ai
sensi dell’art. 23, co. 8-bis,
d.l. 137/2020, conv. con mod. in L. 176/2020,
con la quale ha insistito per il rigetto del ricorso.

D. ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l’unico motivo di ricorso D. afferma la
violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3
c.p.c.) dell’art. 1421 c.c., dell’art. 40, co. 2 e 43, co. 1, d.
Igs. 165/2001 (quali vigenti ratione temporis) e l’illegittimità
costituzionale degli artt. 40, co. 2 e 43, co. 1, d. Igs.
165/2001. Il
motivo, salvo un cenno finale ad una possibile interpretazione
costituzionalmente orientata, è in realtà integralmente indirizzato alla
riproposizione di profili di legittimità costituzionale, veicolati dalla
deduzione della nullità dell’AQN, quale conseguenza dell’auspicato accoglimento
delle predette censure mosse al complesso normativo da applicare. I profili di
critica possono essere sintetizzati come segue:

– l’interpretazione fornita dalla Corte d’Appello
rimetterebbe al mero arbitrio delle confederazioni ammesse alle trattative per
l’AQN la determinazione delle Aree per la dirigenza, realizzando così un vulnus
al principio del pluralismo sindacale, in quanto in tal modo le Confederazioni
ammesse sarebbero incentivate ad assumere comportamenti impeditivi rispetto
alle OO.SS. minori;

– solo chi partecipa al CCNL può partecipare – ai
sensi dell’art. 43, co. 4,
d. Igs. 165/2001 – alla contrattazione integrativa, il che lascerebbe
l’O.S. che risulti minoritaria nell’Area, ma significativamente rappresentata
(qui, circa il 20%) nell’ente, al di fuori di tale ambito
contrattualcollettivo;

– l’esclusione delle OO.SS. rappresentative in
ambito aziendale dalla possibilità di costituire rappresentanze sindacali aziendali
(di seguito r.s.a.) – conseguente al fatto che l’art. 42, co. 2 d. Igs.
165/2001 lo consente solo alle OO.SS. firmatarie di contratti collettivi –
è tale da determinare a cascata un ulteriore effetto pregiudizievole
dell’impianto della normativa, in contrasto con l’indicazione referendaria del
1995, che orienterebbe viceversa alla valorizzazione, a partire dalle r.s.a.,
del livello aziendale;

– devono considerarsi i principi sottesi a Corte Costituzionale 23 luglio 2013, n. 231, che
ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 19 L. 300/1970, così
potendosi evidenziare come la limitazione dei diritti ai danni di alcune
OO.SS., in spregio alla loro rappresentatività, crei privilegi e
discriminazioni irragionevoli (art. 3), lesive
del pluralismo imposto anche dall’art. 2 (oltre
che dall’art. 39 Cost.). Infatti, sintetizza
D., la regolamentazione per legge dei criteri di rappresentatività non potrebbe
avvenire se non assicurando il rispetto dei criteri insiti nella ratio
individuata dalla Corte Costituzionale con riferimento alla rappresentatività
delle organizzazioni sindacali del settore privato.

In sede di memoria finale D. sollecita altresì la
valutazione delle questioni oggetto di causa alla luce della sentenza della
Corte Europea dei Diretti dell’Uomo (di seguito, Corte EDU), Gran Camera, 12
novembre 2008, Demir e Baykara c/Turchia, nonché delle fonti internazionali ed
eurounitarie che riguardano la specifica materia delle relazioni sindacali nel
settore dell’impiego pubblico, quali richiamate anche da Corte Costituzionale
23 luglio 2015, n. 178, il tutto eventualmente anche ai sensi dell’art. 117 Cost., sulla base della individuazione
delle disposizioni appena indicate quali norme c.d. interposte.

2. Ciò posto, si osserva come sia noto che il
sistema di accesso alla contrattazione collettiva nel pubblico impiego
privatizzato preveda, a regime, secondo regole la cui chiarezza testuale non
consente interpretazioni diverse, una previa determinazione dei Comparti (non
dirigenziali) e delle Aree (dirigenziali) attraverso un negoziato tra Aran e
Confederazioni partecipate, in almeno due Aree o Comparti, da OO.SS. munite di
rappresentatività superiore al 5 % (art. 40, co. 2, e 43, co. 4, d.
Igs. 165/2001) e quindi ammetta alle trattative sul livello nazionale le
OO.SS. che, in ciascuna Area o Comparto, così definiti, abbiano una
rappresentatività sempre superiore al predetto 5% (art. 43, co. 1, d. Igs.
cit).

3. Non è in dubbio l’esattezza del rilievo in ordine
al fatto che il diritto positivo interno, in tal modo, determini il rischio che
una non irrilevante rappresentatività presso un settore di un’Area, sia
destinata ad essere vanificata per la mancanza della percentuale del 5 %
calcolato sulla base dell’intera platea di lavoratori impiegati nell’Area
stessa.

Va tuttavia condivisa la conclusione di fondo che
sorregge la sentenza impugnata e che ravvisa nel sistema della contrattazione
nazionale quale delineato dal d. Igs. 165/2001,
un insieme non irragionevole di regole organizzative che affondano le radici
nel principio di buon andamento e, a monte di questo, nel principio di
legalità, destinati a sovrintendere, ai sensi dell’art.
97 Cost., l’attività della P.A.

Già la disciplina di dettaglio che gli artt. 41, 46 e 47 d. Igs.
165/2001 dedicano alla individuazione ed al funzionamento della parte
pubblica, così come il regime vincolato della fase di controllo successiva ivi
parimenti regolati, postulano altrettanta certezza e rigore nell’individuazione
delle controparti ammesse alla contrattazione, necessariamente destinata ad una
conduzione non rimessa ad attori muniti occasionalmente di forza negoziale  soltanto in una qualche articolazione
dell’ambito di lavoratori interessati.

Da qui la disciplina di selezione degli ambiti di
contrattazione e, poi, lo sbarramento del 5 % per la partecipazione al
negoziato entro tali ambiti.

D’altra parte, è di tutta evidenza la razionalità
della regola organizzativa adottata, la quale ha chiaramente di mira l’esigenza
di evitare, anche in vista del principio di parità di trattamento dei
dipendenti ed in affrancamento dalle c.d. giungle retributive del passato, che
la P.A., disarticolandosi a seconda delle condizioni di fatto volta a volta
emergenti, possa finire per trattare solo con chi, estemporaneamente in questo
o quel settore non previamente definito, manifesti di essere in quel frangente
più forte.

Analoghi principi questa S.C. ha tenuto presente
allorquando ha sottolineato  l’importanza
di «criteri predeterminati di rappresentatività» onde evitare che la
contrattazione collettiva della P.A. si basi su meri «rapporti di forza» e
assicuri invece il procedere in modo «trasparente ed imparziale» rispetto a
trattative destinate a formare accordi dotati di «stabilità» e «che dovranno
essere applicati in via generale ed uniforme da parte delle pubbliche
amministrazioni del relativo comparto»: così Cass. 31 maggio 2018, n. 13982,
con riferimento al tema, qui non in rilievo, dell’utilizzazione del solo dato
associativo o elettorale esistente, quando in concreto sia impossibile determinare
uno di essi.

Non è pertanto corretto quanto afferma la ricorrente
nelle proprie difese, ovverosia che il richiamo delle Corte territoriale all’art. 97 Cost. sarebbe «approssimativo» e «invocato
a sproposito», in quanto in realtà si tratta di profilo fondante.

E’ infatti inevitabile che la libertà sindacale, per
quanto di essa si esprima nel diritto a trattare in favore dei lavoratori, sia
destinata a rifluire in una qualche regolamentazione, da realizzare anche delimitando
l’accesso ad essa sulla base di misurazioni della rappresentatività,
naturalmente destinate a manifestarsi, quanto più il legislatore persegua
l’obiettivo di assicurare uniformità alle regolazioni negoziali consequenziali,
attraverso regole selettive.

3.1 D’altra parte sono da condividere le
considerazioni della sentenza impugnata, che vale la pena richiamare, secondo
cui «il rischio di una parziale perdita di rappresentatività del sistema
contrattuale … è compensato dal necessario contenimento dei soggetti ammessi
alle trattative per scopi di semplificazione della contrattazione e, in ultima
analisi, di buon andamento dell’amministrazione», essendo evidente che fa parte
della regolazione di una materia così complessa la possibilità del determinarsi
di inconvenienti, i quali però non necessariamente invalidano un sistema
ampiamente giustificato dalle plurime ragioni sopra indicate; non potendosi
neppure dire che le scelte di accorpamento decise in sede di AQN (tra l’altro
ora rese ancor più stringenti dalla riduzione per legge al numero massimo di
quattro di Comparti ed Aree: v. art. 40 d. Igs. 165/2001
come modificato dal d. Igs. 150/2009) abbiano
in concreto riunito enti pubblici, ovverosia le Agenzie Fiscali e gli enti
pubblici non economici, così lontani tra loro quanto strutture e fini.

4. E’ in tale complessivo contesto che si inserisce,
a completamento del ragionamento, quanto ritenuto da Corte Costituzionale 16
ottobre 1997, n. 309, ove si è ammesso il determinarsi, attraverso la
contrattazione qui in esame, di un effetto obbligatorio e necessario destinato
a realizzarsi, attraverso diversi percorsi giuridici, al di fuori del
meccanismo di cui all’art. 39, co. 4, Cost.

Ciò attraverso un sistema che non muove da norme di
registrazione delle OO.SS. e dalle conseguenti forme di cui all’art. 39, co. 4, Cost., ma si sviluppa sulla base
di una situazione di libertà sindacale (art. 39,
co. 1 Cost.), alla  quale fornisce
disciplina al fine di consentirne la coniugazione rispetto ad un datore di
lavoro la cui organizzazione, in attuazione di altro e parimenti fondante
principio (art. 97 Cost.), discende da regole
legali.

Va da sé che tale sistema, proprio perché basato
sulla libertà sindacale, non può dirsi in contrasto con l’art. 2 Cost., in quanto esso non disconosce per
nulla le formazioni sociali espressive dei lavoratori, ma solo ne regola la
coesistenza, sotto il profilo degli effetti della contrattazione, con le
esigenze di legalità proprie della P.A.

Così come mal posto è il richiamo all’art. 3 Cost., stante la specificità del fenomeno
regolato, destinato a sottrarsi ad una comparazione con il sindacalismo privato
e con gli effetti, peraltro parimenti alternativi al sistema di cui all’art. 39, co. 4, Cost., che da esso derivano (per
l’impossibilità di una tale comparazione, v. anche Cass. 13982/2018, cit.), dal
che discende l’inconferenza del richiamo a Corte
Cost. 231/2013, cit.

5. E’ indubbio poi che/il sistema, come regolato dal
legislatore, abbia ricadute sulla contrattazione integrativa (che i
partecipanti alla contrattazione nazionale – ai sensi dell’art. 43, co. 5, d.lgs.
165/2001 – possono disciplinare escludendo le OO.SS. non ammesse a
quest’ultima) o sulla rappresentanza delle OO.SS. sui luoghi di lavoro (che l’art. 42, co. 2, d. Igs.
165/2001 riserva alle OO.SS. rappresentative ai sensi dell’art. 43, pur con
l’apertura dell’art. 42,
co. 3, a r.s.u. rappresentative di “tutti” i lavoratori).

Ma qui non sono questi istituti a venire in evidenza
e dunque tali effetti comunque non rilevano rispetto alla presente decisione.

6. In memoria, come si è detto, D. sviluppa
ulteriori argomenti, richiamando le pronunce, sul piano interno, di Corte Costituzionale 23 luglio 2015, n. 178 e,
sul piano internazionale, di Corte EDU 12 novembre 2008, Grande Camera, Baykara
c/ Turchia.

A tali spunti deve darsi risposta, in quanto vengono
in tal modo sollecitati ulteriori profili di possibile illegittimità
costituzionale – o eurounitaria – della disciplina, che non portano tuttavia ad
opinare diversamente rispetto a quanto sopra argomentato.

Anzi, i profili di diritto internazionale ed
eurounitario consentono di confermare la coerenza del percorso impostato dal
legislatore interno con riferimento al fenomeno qui di interesse.

6.1 Iniziando dal richiamo a Corte Costituzionale 178/2015 e fatto salvo
quanto si dirà di seguito rispetto alle norme internazionali ed europee in essa
menzionate, vi è da osservare come il tema della libertà sindacale sia stato
affrontato in quella sede rispetto ad una vicenda, il protratto e reiterato
blocco della contrattazione collettiva, obiettivamente ben diverso dalle
tematiche qui in discussione.

La Corte Costituzionale ritenne quel blocco, nelle
sue concrete conformazioni quali venutesi a manifestare in esito a norme
legislative succedutesi nel tempo, in sé violativo della libertà negoziale e
dunque dell’art. 39, co. 1, Cost., perché tale
da sottrarre per un periodo di tempo eccessivamente lungo i trattamenti dei
lavoratori da dinamiche sulle quali, pur nel contesto di una rigorosa
regolazione, i sindacati potevano essere in grado di influire. Il tema, al di
là del comune richiamo alla libertà sindacale, non ha dunque nulla a che vedere
con quanto viene qui in evidenza e che riguarda la legittimità delle regole di
definizione della partecipazione dei sindacati alle trattative collettive.

6.3 Senza dubbio più pertinente è invece il richiamo
alle regole internazionali sulla libertà sindacale.

6.3.1 Va però sgomberato il campo dal richiamo al
decisum di Corte EDU 12 novembre 2008, Grande Camera, Baykara c/Turchia. Quel
caso riguardava un sindacato turco, la cui contrattazione, seppur applicata
presso l’ente locale con il quale essa era intervenuta, era stata ritenuta
invalida dagli organi giudiziari interni per mancanza di un regolare
riconoscimento dell’O.S.

La Corte EDU ha quindi ritenuto, per un verso, che
fosse stato violato (punto 127 della pronuncia) l’art. 11 della Convenzione Europea
dei Diritti dell’Uomo per l’essersi normativamente impedita la formazione
stessa, con effetti giuridicamente validi, di un O.S. di impiegati pubblici
locali (municipa/ civil servant).

La pronuncia ha poi riconosciuto in linea di
principio (punto 164) che la libertà sindacale, anche rispetto al pubblico
impiego, comprende il diritto di dare corso a trattative rispetto alla
contrattazione collettiva (right Lo bargain collectively), quale precipitato di
un insieme di fonti internazionali ed europee da essa citate.

Tuttavia, a parte l’impossibilità in quel caso di
applicare la possibile limitazione generale che anche la Convenzione ILO n. 98
riconosce per i livelli statali più elevati (public servant engaged in the
administration of the State), la Corte EDU ha ammesso (punti 163, 164 e 168)
che gli ordinamenti possano prevedere limitazioni o regolamentazioni di tale
diritto nella disciplina interna, purché corrispondenti ad esigenze sociali
(pressing social needs) o giustificate da specifiche circostanze (specific
circumstances that could have justified the exclusion) e comunque nei limiti
della necessità (necessary in a democratic society).

Giustificazioni che lo stato turco, nel caso di
specie, non aveva fornito, in quanto gli accordi collettivi erano stati
dichiarati nulli ex tunc dalle autorità giudiziarie interne sulla base di norme
ed interpretazioni che, disconoscendo rilievo giuridico agli atti delle OO.SS.
non registrate, addirittura impedivano una utile adesione dei lavoratori ad
esse per fini di contrattazione collettiva con il datore di lavoro, in lesione
quindi di uno degli scopi propri della libera attività sindacale.

Il quadro della decisione è dunque ben lontano
dall’assetto di cui qui si discute, ove l’operatività di D., come O.S., non è
negata dall’ordinamento, che però, per le ragioni già menzionate, non ne
consente l’accesso diretto alla contrattazione collettiva, in sé riconosciuta
ed esistente, per ragioni di selezione e misura della rappresentatività. Ciò
senza contare che D., ha anzi partecipato, come precisato dalla sentenza di
appello, alla definizione degli AQN sulle aree contrattuali, per quanto
mediatamente e cioè attraverso l’adesione di essa ad una delle Confederazioni
ammesse.

6.3.2 D’altra parte, l’assetto di fondo del
sindacalismo nell’impiego pubblico quale ricostruito in estremo dettaglio dalla
Corte EDU nella sentenza appena citata, con riferimento alle medesime fonti cui
esplicitamente rinvia Corte Costituzionale
178/2015, è effettivamente quello di un regime di libertà di formazione
dell’O.S., al fine di esercitare in tale ambito anche il diritto alla
contrattazione collettiva, che ammette tuttavia una disciplina di
regolamentazione interna.

La Corte EDU, premesso il richiamo all’art. 11 della Convenzione EDU ed
al diritto di formare ed aderire ad organizzazioni sindacali ivi previsto,
ritiene in sostanza che tale diritto, così come le restrizioni ad esso, nei
limiti in cui siano necessarie in una società democratica, siano da declinare
sulla base degli apporti che più in generale derivano dal diritto
internazionale ed eurounitario (lett. A della pronuncia in esame).

A tale proposito la ricostruzione della Corte EDU
richiama l’art. 4 della Convenzione ILO n. 98, come anche l’art. 11 della precedente Convenzione
ILO n. 87, con i quali si impone agli Stati l’adozione di misure
promozionali della contrattazione collettiva, richiamando tuttavia anche
l’appropriatezza rispetto alle situazioni nazionali (appropriate to national
conditions); formulazione analoga è contenuta nell’art. 7 della Convenzione ILO
n. 151, pur se in un cointesto in cui i diritti sindacali sono riconosciuti
anche a «tutte le persone impiegate presso le pubbliche autorità» (art. 1).

Analogamente, l’art. 6 della Corte Sociale Europea
riconosce la promozione statale alla contrattazione collettiva sottolineando
anche esso, al secondo comma, il requisito dell’appropriatezza, a propria volta
inteso dal Comitato Europeo dei Diritti Sociali – in un passaggio espressamente
richiamato dalla Corte EDU – nel senso che le garanzie di accesso alla
contrattazione collettiva sono tali per cui gli Stati che impongono restrizioni
ad essa rispetto al pubblico impiego hanno comunque l’obbligo di assicurare il
coinvolgimento dei rappresentanti del personale nel delineare la disciplina dell’impiego.

Infine, l’art. 28 della Carta dei Diritti
Fondamentali (c.d. Carta di Nizza) riconosce il diritto alla contrattazione
collettiva, ma anche in questo caso in conformità con le norme eurounitarie e
le leggi e pratiche nazionali. E’ significativo, infine, che la rassegna della
Corte EDU si concluda (punto 52) con il rilievo per cui nei diversi Stati
europei il predetto diritto conosce eccezioni rispetto alle aree (procedure
disciplinari, pensioni, assicurazioni mediche, salari di dipendenti anziani) od
alle categorie (forze armate, polizia, giudici etc.) coinvolte, ma che in
generale il diritto è riconosciuto e che le eccezioni devono essere
giustificate da particolari circostanze.

6.3.3 Tutto ciò consente di inserire del tutto
adeguatamente il sistema di rappresentatività interno proprio del pubblico
impiego, anche nell’ambito delle norme internazionali alla cui osservanza lo
Stato si è vincolato.

Infatti, come già si è detto nel ricostruire la coerenza
rispetto alle regole espressamente dettate dalla Costituzione, l’ordinamento
riconosce libertà piena di associazione ed attività sindacale ai dipendenti
pubblici di cui al d. Igs. 165/2001 e,
allorquando inserisce la contrattazione collettiva nell’ambito di una cornice
regolatoria che può in taluni casi lasciar fuori – per effetto della
predisposizione di regole selettive e maggioritarie – talune OO.SS., ciò fa al
fine, coerente con le esigenze di una democrazia complessa, di assicurare il
saldo inserimento del sistema negoziale nell’organizzazione di carattere legale
– per previsione di rango costituzionale – della P.A. (art. 97 Cost.) e sulla base di criteri di cui già
si è spiegata la ragionevolezza intrinseca.

6.3.4 E’ quindi manifestamente da escludere una
proposizione di quesiti di legittimità costituzionale sotto il profilo del
contrasto dell’ordinamento interno con l’art. 117
Cost. e delle norme c.d. interposte cui tale disposizione fa richiamo, né
si ravvisano ragioni (Cass. 13 luglio 2021, n. 19880; Cass. 7 giugno 2018, n.
14828; Cass., S.U., 10 settembre 2013, n. 20701) per ipotizzare profili di
incompatibilità con il diritto eurounitario.

7. In definitiva il ricorso va rigettato e le spese
del giudizio di legittimità restano regolate secondo soccombenza.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00
per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis, dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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