Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 novembre 2021, n. 35387

Rapporto di lavoro, Esposizione ai fumi di saldatura,
Domanda di riconoscimento di tecnopatia professionale, Nesso causale tra
attività lavorativa e patologia all’apparato respiratorio, Accertamento

 

Rilevato che

 

1. Con sentenza n. 352 depositata il 31.12.2019 la
Corte di appello di Ancona, confermando la pronuncia del Tribunale della
medesima sede, ha accolto la domanda di riconoscimento di tecnopatia
professionale proposta da O.F.S. nei confronti di L.M. dei F.lli M. s.r.l.
limitatamente alla ipoacusia bilaterale (accertando un danno biologico pari
all’1%), rilevando, per contro, l’insussistenza di un nesso di causalità
dell’ulteriore patologia consistente nella broncopneumopatia cronica ostruttiva
in relazione alle mansioni di operaio addetto alla macchina assemblatrice nel
reparto finitura nell’ambito della produzione di infissi in alluminio.

2. La Corte territoriale, per quel che rileva,
confermando il quadro probatorio ricostruito dal giudice di primo grado e
recependo le conclusioni delle CTU (grafologiche, con riguardo alla firma
apposta dal lavoratore ai documenti di consegna dei dispositivi di protezione
individuale, nonché medico-legale, con riguardo alla situazione sanitaria), ha
evidenziato l’accertata esposizione a microparticolato aerodisperso e non a
polveri pesanti (non essendo esposto, il lavoratore, a fumi di saldatura ed
essendo state fornite mascherine in grado di abbattere il rischio) ed ha
escluso l’origine professionale del deficit ventilatorio, accertato, peraltro,
dopo tre anni (2012-2013) dalla risoluzione del rapporto di lavoro (dovendosi
precisare che i primi esami, condotti durante il rapporto di lavoro, nel
1994-1996, non erano stati corretti per “etnia africana” e avevano mostrato un
quadro restrittivo grave per mancata collaborazione del paziente, mentre quelli
effettuati nel 2006-2007, eseguiti con più preciso macchinario, dotato di
“correzione per etnia africana”, avevano riscontrato una restrizione molto
lieve e priva di significato patologico).

3. Contro la sentenza, il lavoratore ha proposto
ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi; la società ha resistito
con controricorso, illustrato da memoria.

4. La proposta del relatore, ai sensi dell’art.
380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto
di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo si denunzia violazione degli
artt. 116 cod.proc.civ. e 2697 cod.civ. nonché omesso esame di fatti decisivi
derivanti da documenti e da deposizioni testimoniali (ex art. 360, primo comma,
nn. 3 e 5, c.p.c.) avendo, la Corte territoriale effettuato una carente
disamina dei fatti, in quanto tutti gli elementi probatori, correttamente
intesi, dimostravano che il fumo di saldatura si propagava all’interno del
reparto finitura: il ricorrente ha sempre affermato di essere stato esposto in
via indiretta ai fumi di saldatura e non di essere addetto alla saldatura; le
deposizioni dei testi P. e C. sono state erroneamente intese in ordine alla
mancanza di separazione fra i reparti all’interno del capannone di lavoro e
sono inattendibili e palesemente in contrasto con i documenti ufficiali
dell’azienda; non è stata considerato il documento di valutazione dei rischi
chimici che qualificava come “non moderato” il rischio di esposizione ad agenti
chimici per gli addetti al reparto di finitura assemblaggio.

2. con il secondo motivo si denunzia violazione
degli artt. 61, 62, 116 c.p.c. nonché vizio di motivazione per errore e
travisamento sui fatti e documenti e omesso esame di fatti decisivi (ex art.
360, primo comma nn. 3 e 5, c.p.c.) avendo, la Corte territoriale recepito una
relazione del CTU ove sono stati commessi plateali errori nella valutazione dei
fatti da ritenersi, invece, dimostrati dalla documentazione prodotta: posta
come premessa, dal CTU, che lo stato dei luoghi non era mutato nel tempo, la
relazione del consulente B. doveva portare a conclusioni opposte a quelle
esposte ossia che nel luglio-settembre 2008 ed anche nel periodo precedente
(1991-2009) vi era rischio di esposizione a fumi; la corretta valutazione degli
atti, inoltre, dimostrava che solamente nel luglio 2008 il datore di lavoro
aveva consegnato le mascherine di protezione ai dipendenti.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denunzia
violazione degli artt. 2087, 2697 c.c., 41 Cost., nonché dei d.lgs. n. 626 del
1994 e 81 del 2008 (ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) presentando, la
sentenza impugnata, un vizio motivazionale conseguente alla errata valutazione
delle prove (testimoniali e documentali) acquisite e all’errata indagine
peritale svolta dal CTU medico-legale sull’esposizione indiretta ai fumi di
saldatura, dovendosi ritenere emerso un rischio per particelle aeree non
moderato e la fornitura di mascherine solamente dal luglio 2008.

4. Successivamente, con un (presumibile) quarto
motivo di ricorso si deduce “diritto al risarcimento integrale del danno
biologico” ritenendo, il ricorrente, di riproporre la domanda di risarcimento
del danno da malattia professionale a fronte della mancanza di tutela
dell’INAIL, ex art. 2087 c.c. e, in subordine, una domanda di responsabilità ex
artt. 2043, 2050, 2051 c.c. sempre in relazione alle omissioni delle prescritte
tutele da parte del datore di lavoro.

5. Con il quinto motivo si denunzia violazione
dell’art. 9, comma 1bis e 13 d.P.R. n. 115 del 2002 avendo, la Corte
territoriale, disposto il pagamento dell’integrazione del contributo unificato
nonostante la dichiarazione di esenzione per limite di reddito ritualmente
prodotta in giudizio con l’atto di appello.

6. I primi tre motivi, che possono essere trattati
congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili per plurimi
profili.

6.1. I motivi appaiono inammissibili in quanto si
sostanziano, anche là dove denunciano la violazione di norme di diritto, in un
vizio di motivazione formulato non solo in modo non coerente allo schema legale
del nuovo art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, (applicabile ratione temporis
alla fattispecie in esame) ma, altresì, in violazione dell’art. 348 ter, quinto
comma, c.p.c. per le pronunce c.d. doppie conformi (avendo, la Corte
territoriale pienamente aderito al giudizio di fatto espresso dal giudice di
primo grado).

6.2. Come più volte precisato da questa Corte, il
vizio di violazione di legge coincide con l’errore interpretativo, cioè con
l’erronea individuazione della norma regolatrice della fattispecie o con la
comprensione errata della sua portata precettiva; la falsa applicazione di
norme di diritto ricorre quando la disposizione normativa, interpretata
correttamente, sia applicata ad una fattispecie concreta in essa erroneamente
sussunta. Al contrario, l’erronea ricognizione della fattispecie concreta a
mezzo delle risultanze di causa è esterna all’interpretazione della norma e
inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è
possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di
motivazione (cfr. Cass. n. 26272 del 2017; Cass. n. 9217 del 2016; Cass. n. 195
del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; n. 26307 del 2014). Solo quest’ultima
censura è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa.

6.3. Nel caso di specie, le censure investono tutte
la valutazione delle prove come operata dalla Corte di merito, e si sostanziano
– attraverso il richiamo al contenuto dei documenti prodotti, delle deposizioni
rese e della consulenza tecnica (medico-legale) di parte – in una richiesta di
rivisitazione del materiale istruttorio (quanto alle modalità di svolgimento
delle mansioni, alle caratteristiche dell’ambiente lavorativo e al conseguente
nesso causale tra attività lavorativa e patologia all’apparato respiratorio)
non consentita in questa sede di legittimità, a maggior ragione in virtù del
nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5 e dell’art 348 ter, quinto
comma, c.p.c.

7. Inoltre, con riguardo ai lamentati errori e alle
lacune della consulenza tecnica d’ufficio (peraltro trascritta solamente per
brevi affermazioni, in violazione del principio di specificità dei motivi di
ricorso per cassazione), sono suscettibili di esame in sede di legittimità
unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione della sentenza, quando
siano riscontrabili carenze o deficienze diagnostiche o affermazioni
scientificamente errate e non già quando si prospettino semplici difformità tra
la valutazione del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico
e la valutazione della parte (Cass. nn. 1405 del 2021, 24628 del 2019, 4124 del
2017, 3307 del 2012, 22707 del 2010, 569 del 2011).

7.1.m Costituisce orientamento costante della
Cassazione quello secondo il quale nel giudizio in materia d’invalidità, il
vizio – denunciabile in sede di legittimità – della sentenza che abbia prestato
adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in
caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui
fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali,
secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una
corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce
mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del
convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza
della richiesta prestazione (Cfr. per tutte Cass. nn. 23990/2014, 1652/2012).

7.2 Nel quadro del suddetto enunciato si è, altresì,
precisato che le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal
giudice non possono utilmente essere contestate in sede di ricorso per
cassazione mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse di diverse
valutazioni perché tali contestazioni si rivelano dirette non già ad un
riscontro della correttezza del giudizio formulato dal giudice di appello bensì
ad una diversa valutazione delle risultanze processuali; e tale profilo non
rappresenta un elemento riconducibile al procedimento logico seguito dal
giudice bensì costituisce semplicemente una richiesta di riesame del merito
della controversia, inammissibile in sede di legittimità (Cfr. ex plurimis,
Cass. n. 7341 del 2004; Cass. n. 15796 del 2004; Cass. n. 14374 del 2008; Cass.
n. 13914 del 2020; Cass. n. 1405 del 2021).

8. Il quarto motivo, che in realtà si configura
quale domanda di risarcimento del danno, è inammissibile, essendo, il giudizio
di cassazione, un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai
vizi, specifici, di cui si assume essere affetta la sentenza impugnata, censure
che in questa partizione del ricorso per cassazione non sono presenti se non
sub specie di generiche esposizioni del contenuto degli artt. 2087, 2043, 2050,
2051 c.c.

9. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.

9.1. Come recentemente affermato dalle Sezioni Unite
di questa Corte (sentenza n. 4315 del 2020), l’ulteriore importo del contributo
unificato (c.d. doppio contributo) che la parte impugnante è obbligata a
versare allorquando ricorrano i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater,
del d.P.R. n. 115 del 2002, ha natura di debito tributario, in quanto partecipa
della natura del contributo unificato iniziale ed è volto a ristorare
l’amministrazione della Giustizia dei costi sopportati per la trattazione della
controversia; ne consegue che la questione circa la sua debenza è estranea alla
cognizione della giurisdizione civile ordinaria, spettando invece alla
giurisdizione del giudice tributario.

10. In conclusione, il ricorso va dichiarato
inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato
dall’art. 91 c.p.c. e sono liquidate come da dispositivo.

11. La parte ricorrente è tenuta al versamento
dell’ulteriore importo pari al contributo unificato versato.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte
ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio di
legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000.00 per
compensi professionali, oltre al 15% per spese forfettarie e accessori di
legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 novembre 2021, n. 35387
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