Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 novembre 2021, n. 36451

Licenziamento collettivo, Comunicazione di avvio della
procedura di riduzione del personale, Indicazione delle ragioni degli esuberi
– Violazione dei criteri di scelta

Rilevato che

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3735
del 2019, accoglieva il reclamo proposto da A. C. s.p.a. e per l’effetto
rigettava le domande proposte da G.L., C.T. e E.S. intese ad ottenere
l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento loro intimato con lettera
del 22.12.2016 all’esito di procedura di licenziamento collettivo, con tutte le
conseguenze ripristinatorie e risarcitorie.

2. La Corte territoriale accertava che il
licenziamento collettivo aveva tratto origine della comunicazione di avvio
della procedura di riduzione del personale del 5 ottobre 2016 nella quale,
descritte le ragioni degli esuberi, concentrati presso le sedi di Roma e
Napoli, era stato illustrato il progetto di riorganizzazione aziendale che
prevedeva la chiusura delle Unità produttive di Roma Divisioni 1 e 2 e
dell’intero sito di Napoli.

3. La Corte di appello, in sintesi, escludeva la
violazione dei criteri di scelta di cui all’art. 5 legge n. 223/91 per avere
l’azienda delimitato il bacino di comparazione per individuare i dipendenti da
licenziare ai soli lavoratori addetti alla sede di Roma, pur sussistendo
fungibilità di mansioni con altri lavoratori addetti ad altre sedi e con
carattere discriminatorio della scelta in quanto indirizzata verso lavoratori
con maggiore anzianità di servizio e con superminimi non riassorbibili, non
riconosciuti in altri siti. Deduceva che in esito all’accordo del 21 dicembre
2016 le parti avevano convenuto con quanto esposto dalla società nella lettera
di avvio della procedura e più esattamente la limitazione di dichiarazione di
esubero alle sole sedi interessate. Il raggiungimento dell’accordo sindacale
aveva comportato, come previsto dall’art. 5 comma 1, legge n. 223 del 1991, la
legittima determinazione del criterio di scelta in quello delle esigenze
tecnico-produttive ed organizzative riferito alla sola platea degli addetti a
tali sedi. Ha inoltre ritenuto che, anche a volere escludere che l’accordo
contenesse un impegno delle parti a delimitare in tal senso la platea dei
licenziandi, tale delimitazione sarebbe comunque da ritenere legittima in
ragione dell’ambito di ristrutturazione aziendale e delle ragioni
tecnico-produttive esposte nella comunicazione iniziale. Una volta identificato
il contesto aziendale o “in crisi”, le posizioni di lavoro da
includere nella scelta dovevano essere quelle ad esso relative, vagliate alla
luce delle esigenze tecnicoproduttive ed organizzative che, nel caso di specie,
risultavano “localizzate”, così determinando platea dei licenziandi.
Inoltre, la distanza tra le unità soppresse e quelle non interessate dal
processo di riorganizzazione giustificava la scelta datoriale di non ovviare ai
licenziamenti con il trasferimento del lavoratore ad altre unità produttive. Un
indice della infungibilità era rinvenibile proprio nella distanza geografica
tra tali unità produttive. Accertava quindi che nel caso di specie, nella
comunicazione del 5 ottobre 2016 l’Azienda non solo era stato circoscritto il
progetto di ridimensionamento e ristrutturazione alle sole unità produttive di
Roma e Napoli, indicando le ragioni tecnico-produttive di tale scelta, ma erano
state analiticamente indicate le ragioni che non consentivano di estendere
l’ambito della comparazione al personale con mansioni omogenee impiegato presso
le unità produttive non toccate dal progetto. Tali ragioni erano state ritenute
idonee a giustificare la scelta operata sul rilievo che l’unità produttiva più
vicina a Roma era quella di Rende che distava circa 500 km. Ad avviso del
giudice del reclamo la comparazione con i lavoratori addetti ad altre sedi
avrebbe comportato il trasferimento collettivo degli addetti alle Divisioni 1 e
2, con ulteriori esborsi per far fronte agli oneri economici necessari per la
formazione, indispensabile per l’adibizione a nuove commesse lavorate presso
tali sedi, e tempi in cui la produttività dei medesimi sarebbe stata
necessariamente ridotta, risultando tale opzione incompatibile con la difficile
situazione di crisi aziendale e con la necessità di recuperare immediatamente
più elevati margini di produttività. Osservava poi che l’unico trasferimento
collettivo disposto, al quale è fatto riferimento nella comunicazione del
5.10.2016, era quello dei lavoratori inbound adibiti alla commessa Enel già
attiva su Palermo (trasferimento poi revocato grazie all’assunzione dei
lavoratori da parte del nuovo appaltatore).

Quanto alla discrinninatorietà del licenziamento la
Corte di merito ha escluso di poter riesaminare la questione in mancanza di un
reclamo incidentale dei lavoratori.

4. Per la Cassazione della sentenza hanno proposto
ricorso G.L., C.T. e E.S. affidato a quattro motivi. A. C. s.p.a. ha opposto
difese con controricorso.

 

Considerato che

 

5. Il primo motivo di ricorso – con il quale è
denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod.proc.civ.
nella parte in cui la Corte d’appello di Roma avrebbe omesso di pronunciare
sulla illegittimità del licenziamento per violazione del patto di moratoria in
forza del quale A. C. s.p.a. si era obbligata, per sei mesi dalla sigla
dell’accordo di solidarietà sottoscritto il 30 maggio 2016, a non attuare
licenziamenti – non può essere accolto.

5.1. Nella sentenza, a pagina 11, si esamina la
specifica questione del patto di moratoria e si precisa che il punto 6
dell’accordo del 30.5.2016 conteneva una previsione programmatica e non un
impegno a non licenziare da parte della società e si prosegue con
l’osservazione che le condizioni ivi previste non si erano realizzate e che,
comunque, i licenziamenti erano stati intimati un mese dopo la fine del periodo
di vigenza dell’accordo di solidarietà. Ne segue che non vi è stata alcuna
omissione di pronunzia.

6. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 1363, 1366, 1367 c.c.,
nonché dell’art.1367 c.c. e dell’accordo sindacale del 30 maggio 2016, con
riferimento al mancato riconoscimento dell’impegno di moratoria. Assume che,
nell’ambito degli impegni assunti da tutte le parti, la condotta di A.
successivamente alla scadenza del contratto di solidarietà era predeterminata
dal momento che era stata concordata, in caso di persistenza di eventuali
esuberi, la moratoria delle procedure di licenziamento collettivo per ulteriori
sei mesi attraverso il ricorso ad una c.i.g.s..

7- Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la
violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 della legge n. 223 del 1991
nella parte in cui ha ritenuto consentito alle 00. SS. la stipula di accordi
che delimitano il bacino di all’interno delle divisioni 1 e 2 di Roma.

8. Con il quarto motivo di ricorso, infine, è
dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 5 e 24 della legge
223 del 1991 ancora con riguardo alla limitazione dell’ambito di ballottaggio
ai lavoratori del call center di Roma.

9. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di
ricorso devono essere esaminati congiuntamente e non sono accoglibili, per le
considerazioni già fatte proprie da questa Corte in casi sovrapponibili con
motivazioni che il Collegio fa proprie ex art. 118 disp att. cod. proc.civ.,
non essendo state prospettate ragioni che inducano a discostarsene (cfr. oltre
a Cass. 12632 del 2021 cit. anche Cass. n. 12040, 12041, 12042, 12043, 12044,
12634, 12635, 12636, 12637, 14673, 14674, 14675, 14676, 14677, 14804, 14805,
14806, 14807, 15123 e 15124 del 2021 decise all’ udienza del 13 gennaio 2021).
In quelle sentenze si è affermato che nell’ambito di un licenziamento
collettivo è legittima l’adozione concordata tra le parti sociali di criteri di
scelta dei lavoratori da licenziare anche difformi da quelli legali, purché
rispondenti a requisiti di obiettività e razionalità (nello specifico ritenendo
conforme ai predetti requisiti l’accordo che circoscriveva l’ambito dei
dipendenti coinvolti dalla procedura alla sola platea dei lavoratori “inbound”
di una determinata area locale per la verificata infungibilità delle mansioni
svolte dai predetti rispetto a quelle del personale “inbound” delle
altre sedi, in ragione delle commesse trattate, ognuna esigente una diversa e
specifica formazione). Inoltre è del pari legittima la scelta di escludere
dalla comparazione i lavoratori di equivalente professionalità che siano però
addetti ad unità produttive non soppresse dislocate sul territorio nazionale in
quanto la circostanza, da accertarsi in concreto e nello specifico verificata,
che il mantenimento in servizio dei dipendenti appartenenti all’unità soppressa
esigerebbe il loro trasferimento in altra sede, con aggravio di costi per
l’azienda e interferenza sull’assetto organizzativo può assumere rilievo ed
essere un criterio legittimo che esclude la necessità di comparazione ove, come
nella specie, il numero dei lavoratori coinvolti – oltre nnilleseicento – sia
tale da configurare un trasferimento collettivo, che avrebbe implicato la
necessità di concordare in sede sindacale la formazione di graduatorie redatte
in base a criteri predeterminati.

10. Quanto poi alle specifiche questioni prospettate
nei motivi di ricorso va rilevato che il riferimento alla possibilità di
gestire gli esuberi aziendali al termine del periodo decorrente dalla stipula
del contratto di solidarietà attraverso il ricorso alla c.i.g.s. è stato
ritenuto espressione di un mero impegno programmatico e non di un impegno
vincolante e rispetto a tale assunto la doglianza non è idonea ad evidenziare
un reale contrasto con i principi che vigono in sede interpretativa dei
contratti (cfr. Cass. n.12635/2021 cit.).

11. Con riguardo alla limitazione dell’ambito alle
divisioni 1 e 2 di Roma si rinvia a quanto ampiamente esposto nelle sentenze su
richiamate. In particolare va evidenziato che, nel caso di specie, la Corte
territoriale ha accertato la completezza della comunicazione di apertura del 5
ottobre 2016, ritenendola esaustiva per la sua ampia articolazione nei punti
specificamente enumerati, sviluppati in numerosi passaggi della sentenza, sulla
scorta di argomentazione congrua, a sostegno di un’interpretazione, riservata
esclusivamente al giudice di merito, assolutamente plausibile alla quale i
ricorrenti oppongono, inammissibilmente, a quella della Corte territoriale
un’interpretazione propria. Inoltre il giudice di appello, con argomentazione
congrua, articolata e attenta ad ogni sviluppo della fase negoziale, così
risultandone la sua interpretazione insindacabile in sede di legittimità in riferimento
alla comunicazione di apertura, ha accertato la conclusione di un accordo della
società datrice con le organizzazioni sindacali sulla limitazione di
applicazione dei criteri legali alle sole sedi da sopprimere di Roma e di
Napoli, meglio specificandolo come connesso all’adempimento da parte del datore
dell’obbligo di esporre “le ragioni tecnico produttive di tale
scelta”, avendo anche analiticamente indicato le ragioni che non
consentivano di estendere l’ambito di comparazione al personale con mansioni
omogenee impiegato presso le unità produttive non toccate da tale progetto in
corrispondenza con quanto comunicato nella lettera di apertura (“Si
precisa sin d’ora che i criteri di scelta saranno applicati comparando il
personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei siti
produttivi interessati dagli esuberi (Roma e Napoli), in ragione della chiusura
totale delle Divisioni 1 e 2 (per quanto riguarda Roma) e dell’intero sito (per
quanto riguarda Napoli)”). In tal modo il giudice del gravame si è
attenuto alla regola, secondo cui il principio previsto dagli artt. 5 e 24
della legge n. 223 del 1991 (in base ai quali i criteri di selezione del
personale da licenziare, ove non predeterminati secondo uno specifico ordine
stabilito da accordi collettivi, devono essere osservati in concorso tra loro),
se impone al datore di lavoro una loro valutazione globale, non esclude
tuttavia che il risultato comparativo possa essere quello di accordare
prevalenza ad uno e, in particolare, alle esigenze tecnico-produttive, essendo
questo il criterio più coerente con le finalità perseguite attraverso la
riduzione del personale: sempre che naturalmente una scelta siffatta trovi
giustificazione in fattori obiettivi, la cui esistenza sia provata in concreto
dal datore di lavoro e non sottenda intenti elusivi o ragioni discriminatorie.
Peraltro la Corte d’appello ha escluso che tale accordo fosse discriminatorio o
contrario a ragionevolezza. Né appare corretto il riferimento ad una sorta di
identificazione “fotografica” dei dipendenti prescelti, posto che
essa si configura nell’ipotesi, qui non ricorrente, di una comunicazione
datoriale contenente soltanto i nomi dei licenziandi e le relative qualifiche,
un semplice cenno a precedenti incontri con le organizzazioni sindacali, solo
marginalmente relativi ai motivi tecnici della necessaria riduzione, in
violazione delle dettagliate prescrizioni, funzionali alla valutazione da parte
sindacale dell’opportunità di chiedere l’esame congiunto della situazione e dei
possibili rimedi. Benché la questione in esame potesse già ritenersi risolta,
la Corte capitolina si è onerata di rispondere alla doglianza di non
ragionevolezza della limitazione della platea dei lavoratori da licenziare. E
ciò ha fatto, sempre con argomentazioni adeguate e coerenti con la fattispecie
in esame ed i principi di diritto regolanti la materia, sul ravvisato
presupposto della distanza geografica (oltre cinquecento chilometri) di queste
due unità produttive dagli altri siti aziendali, combinato con quello della
infungibilità delle mansioni. Secondo l’insegnamento giurisprudenziale di
legittimità sopra richiamato, qualora la ricorrenza  delle effettive ragioni tecnico-produttive e
organizzative sia stata giustificata (e comunicata), la delimitazione della
platea è legittima, ove appunto non sia trascurato, nella scelta dei lavoratori
impiegati nel sito soppresso o ridotto, “il possesso di professionalità
equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative”. Nel caso
di specie, l’infungibilità delle mansioni è stata individuata nella peculiarità
di ogni sito produttivo, in ragione delle commesse trattate, ognuna esigente
una diversa e specifica formazione: dovendo il personale inbound avere una
conoscenza della committente, tale da porlo in grado di rispondere alle domande
della clientela telefonica, specificamente calibrate sul servizio reso, né
consistendo l’attività di addetti al settore interno, appunto inbound, in una
omogenea e neutrale ricezione di 5 telefonate. E ciò per l’impossibilità di un
loro agevole spostamento dall’uno all’altro sito (e  quindi da una popolazione professionale
all’altra), senza l’attuazione di interventi formativi, organizzativi e
logistici incompatibili con la situazione economica dell’azienda. A ciò si aggiunga
che l’esigenza formativa di ogni lavoratore, se comporta, da una parte, un
costo  indubbio per l’azienda, induca,
dall’altra, per il primo, l’acquisizione di un bagaglio di conoscenze e di
esperienze nuovo, che ne diversifica e incrementa la professionalità, così
rendendolo idoneo a mansioni che non sono più , omogenee alle precedenti
svolte. Sicché, l’equivalenza delle mansioni, tale da configurare un mero
passaggio indifferenziato tra lavoratori su diverse commesse, neppure risponde
a un dato di realtà.

In ogni caso, esso costituisce accertamento in
fatto, che il giudice di merito, cui è riservato in via esclusiva, ha compiuto
dandone adeguato  conto, in esatta
applicazione dei principi di diritto enunciati: pertanto, esso è insindacabile
in sede di legittimità.

12. La limitazione alla sola platea dei lavoratori
inbound delle due divisioni romane, per accordo sindacale e comunque per
ragionevole misura in riferimento alla verificata infungibilità delle mansioni
svolte dai predetti e con quelle del personale inbound delle altre sedi, ha
comportato l’adozione di un criterio (puntualmente indicato anche nelle
modalità applicative, oltre che nell’individuazione dei criteri di selezione
del personale, anche nella specificazione del suo concreto modo di operare
diverso da quelli legali operanti sull’intero complesso aziendale, consistente
nelle esigenze tecnico-produttive e organizzative (legittimo, ancorché difforme
da quelli, perché rispondente a requisiti di obiettività e razionalità. Ed esso
ne assorbe ogni altro, posto che, per effetto della deliberata chiusura delle
due divisioni romane, tutti i lavoratori addetti ad esse sono stati licenziati,
ad eccezione di quarantaquattro lavoratrici madri, per il divieto posto
dall’art. 54 d.l.gs. n. 151 del 2001 (cfr. Cass. n. 12635, 12636 e 15124 del
2021 cit.)

13. Alla stregua delle esposte considerazioni, il
ricorso deve essere respinto, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 va dato atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei
ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. 30 maggio 2002
n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in
misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello
stesso art. 13

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate in € 4.400,00 per compensi e in € 200,00 per
esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

 Ai sensi
dell’art.13 comma 1 -quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei
ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso, a norma del comma1-bis, dello stesso articolo
13, se dovuto.

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