Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 novembre 2021, n. 36530

Rapporto di lavoro, Compenso forfettario, Trasferimento del
luogo di lavoro, Revova, Presupposti

 

Rilevato che

 

1. Con sentenza n. 2185 depositata il 30.1.2020 la
Corte di appello di Milano, confermando la pronuncia resa dal Tribunale della
stessa sede, ha respinto l’appello di U. Services s.c.p.a. ed accolto la
domanda di A.P. proposta per l’accertamento e la condanna del compenso
forfettario pattuito con la società nel 2006, percepito sino ad aprile 2018 e
successivamente sospeso (compenso forfettario complessivo annuo lordo di euro
7.000,00).

2. La Corte territoriale, richiamato l’orientamento
giurisprudenziale in materia di interpretazione dei negozi che attribuisce
valore determinante al senso letterale delle parole ed interpretato il patto
intercorso tra le parti nel 2006, ha ritenuto che il testo dell’accordo
manifestava chiaramente la volontà della società di erogare il compenso
aggiuntivo in considerazione del “trasferimento” del luogo di lavoro da Trieste
a Milano (circostanza pacifica tra le parti) e di revocarlo solamente in
occasione di due circostanze (trasferimento a Trieste o ad altra piazza, eventi
pacificamente non ricorrenti), esegesi, inoltre, coerente con l’utilizzo di
altre espressione (nell’ambito dell’accordo) che rimandavano al disagio di
doversi, di fatto, trasferire a vivere lontano da Trieste (piuttosto che ad una
compensazione dei costi relativi agli spostamenti, nel fine settimana, a
Trieste per raggiungere il nucleo familiare).

3. Per la cassazione di tale sentenza la società ha
proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrati da memoria, e il Parma ha
resistito con controricorso.

4. La proposta del relatore è stata comunicata alle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’articolo
380 bis cod.proc.civ.

 

Considerato che

 

1. – La società ricorrente denuncia, in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.,
violazione o falsa applicazione delle norme dettate in materia di
interpretazione degli atti negoziali (artt. 1362 e
ss c.c.), anche alla luce dell’art. 79 del c.c.n.l. Quadri direttivi e
personale delle Aree professionali dipendenti da imprese creditizie,
finanziarie e strumentali, avendo, la Corte territoriale, trascurato che
proprio dal mero significato letterale delle espressioni utilizzate dalle parti
nell’accordo del 2006 (nonché dalla ratio ispiratrice del riconoscimento)
emerge il rilievo rivestito dalla residenza del lavoratore e la spettanza del
compenso unicamente nel caso di dissociazione tra residenza e luogo di lavoro
(circostanza venuta meno dal 2015); il riferimento, inoltre, alla revoca in
caso di trasferimento “ad altra piazza” trova, inoltre, spiegazione
nell’applicazione, in tal caso, delle provvidenze dettate dalla contrattazione
collettiva, mentre la definizione di “indennità di spola” non apparteneva alla
prospettazione della società bensì dello stesso lavoratore.

2. – Con il secondo motivo la società ricorrente
denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma,
n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 2729 cod.civ. avendo, la Corte territoriale,
addossato erroneamente alla società l’onere di provare la continua “spola” del
Parma durante il fine settimana da Milano a Trieste (e viceversa) e
l’interruzione di ogni legame del lavoratore con la città di provenienza; nella
misura in cui il compenso era legato alla dissociazione tra luogo di residenza
e sede di lavoro, la società non poteva essere onerata di altra prova (essendo
stato già dimostrato il cambio di residenza, da Trieste a Milano, nel febbraio
2015).

3. – Con il terzo motivo la società deduce nullità
della sentenza e/o del procedimento, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., avendo, la
Corte territoriale, fornito una motivazione apparente, non avendo dato alcuna
spiegazione in merito ai motivi in base ai quali l’espressione “oneri derivanti
dal suo trasferimento” non dovrebbe intendersi – come invece è evidente – ai
costi del pendolarismo da Milano a Trieste, né avrebbe specificato le
argomentazioni utilizzate ai fini di accreditare l’interpretazione privilegiata
(ossia il “disagio di doversi, di fatto, trasferire a vivere lontano da
Trieste” e il fatto che il cambio di residenza “non esclude di per sé solo il
suo legame con la città di origine”).

4. – I motivi, che possono essere trattati
congiuntamente in ragione della loro stretta connessione, sono per alcuni
aspetti inammissibili e per la parte residua manifestamente infondati e non
presentano profili che per la loro complessità od originalità suggeriscano di
trattare la causa in udienza pubblica (come richiesto dalla società nella
memoria depositata in prossimità dell’udienza). L’interpretazione delle
disposizioni di un patto/contratto individuale costituisce accertamento di
fatto ed è riservata al giudice di merito; può essere sindacata in sede di
legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica
contrattuale oppure per vizio di motivazione (Cass. nn. 2512 del 2013, 16376
del 2006); in tal caso, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente il
punto ed il modo in cui l’interpretazione si discosti dai canoni di ermeneutica
o la motivazione relativa risulti obiettivamente carente.

Va sottolineato che, nel caso di specie, opera, con
riguardo al paradigma rappresentato dall’art. 360,
primo comma, n. 5 c.p.c. (peraltro, non formalmente invocato dal
ricorrente), il criterio della pronuncia c.d. doppia conforme, ex art. 348-ter, commi 4 e 5, cod. proc. civ., non
potendosi, dunque, invocare il vizio di motivazione.

5. – L’accordo stipulato tra le parti nel 2006
recitava: “Considerato che l’accettazione della proposta di trasferimento da
parte della società comporterà per lei la necessità di trasferirsi a Milano da
Trieste – ove attualmente risiede – allo scopo di alleviarla parzialmente dagli
oneri derivanti dal suo trasferimento, e verrà corrisposto un compenso
forfettario complessivo annuo lordo di euro 7.000,00 mensili dato in busta paga.
In ragione dei motivi che hanno determinato il predetto compenso, lo stesso
sarà revocato nel caso di suo trasferimento a Trieste. Nell’ipotesi di suo
trasferimento ad altra piazza, il trattamento verrà altresì revocato, salva
l’applicazione in tal caso delle previsioni contrattuali, mentre sarà solvibile
fino a concorrenza a fronte di aumenti retributivi.”

6. – Nella presente fattispecie, la Corte
territoriale, con interpretazione ermeneutica corretta e con argomentazione
logica, ha spiegato che – dal senso letterale complessivo delle espressioni
utilizzate dalle parti nel patto stipulato nel 2006 – emergeva che la società
aveva ritenuto di riconoscere l’emolumento in ragione del “trasferimento” del
luogo di lavoro da Trieste a Milano, prevedendo invero la revoca del beneficio
solamente in due distinte ipotesi, nessuna delle quali avverata nel caso di
specie; la somma non aveva lo scopo di costituire una “indennità di spola”
(idonea a compensare il disagio di rendere la prestazione lavorativa in una
città diversa da quella di residenza, cui il lavoratore torna regolarmente)
perché se così fosse non si comprenderebbe la previsione di revoca
dell’emolumento anche in ipotesi trasferimento in altra città (diversa da
Milano da Trieste); l’interpretazione è, altresì, coerente con l’utilizzo
dell’espressione “oneri derivanti dal suo trasferimento” che rimanda al disagio
di doversi, di fatto, trasferire a vivere lontano da Trieste (piuttosto che
alla parziale compensazione dei costi sostenuti per recarsi nel fine settimana
Trieste). Il ricorrente non ha evidenziato obiettive deficienze o
contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice di merito ma, richiamando
lo stesso canone interpretativo consistente nella interpretazione letterale del
negozio giuridico utilizzato dal giudice di merito, si limita a rivendicare
un’alternativa interpretazione plausibile più favorevole perchè ritiene che
l’atto sottoscritto dalle parti esprimerebbe una volontà risolutiva del diritto
a fronte del cambio di residenza del lavoratore. Ma per sottrarsi al sindacato
di legittimità quella data dal giudice al testo negoziale non deve essere
l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle
possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale
sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che
aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi
in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10131 del 2006; Cass. n. 24539 del 2009;
Cass. n. 6125 del 2014; Cass. n. 27136 del 2017). Non è, quindi, rinvenibile
nella sentenza impugnata alcuna anomalia motivazionale che si manifesti come
“mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, o
“motivazione apparente” (Cass. S.U. n. 8053 del
2014) né alcuna violazione dei canoni di interpretazione negoziale.

7. – In sintesi, il ricorso va rigettato e le spese
del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la
soccombenza.

8. – Il ricorso è stato notificato in data
successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità
del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n.
228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,
aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando
l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata
inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la
stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice
da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo
precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello
stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente
impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a
pagare le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00
per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di
legge. Ai sensi dell’art. 13, comma
1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso art.
13, se dovuto.

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