Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 novembre 2021, n. 37286
Orario di lavoro, Accordo collettivo, Nuovo modello
organizzativo delle attività, Tempi preparatori della prestazione
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Trieste, P.S., G.P.,
S.R., C.B. ed A.S. convenivano in giudizio la società T. s.p.a. esponendo di
essere dipendenti della società resistente, addetti all’area NE AOU/FVG I di
Trieste, e di lavorare stabilmente all’esterno come tecnici ‘on field’ (sul
campo), effettuando interventi di manutenzione, installazione e riparazione
guasti agli impianti T. presso le abitazioni e i locali industriali e
commerciali dei clienti (work request).
I ricorrenti deducevano di aver lavorato (fino
all’entrata in vigore dell’accordo collettivo del 27.3.13) per 38,10 ore
settimanali distribuite su cinque giorni, con orario giornaliero di 7,38 ore,
inclusi i tempi di spostamento dalla sede della datrice al luogo di primo
intervento, nonché lo spostamento dal luogo dell’ultimo intervento alla sede
datoriale. Nella sede datoriale timbravano l’orologio di controllo, ricevevano
l’indicazione degli interventi da effettuare, prelevavano il mezzo aziendale e
le attrezzature e si recavano presso il luogo del primo intervento.
I ricorrenti deducevano che l’accordo sindacale del
27.3.13 aveva introdotto un nuovo modello organizzativo delle attività ‘on
field’ con decorrenza dal 10 luglio 2013. Evidenziavano, in particolare, che la
società T. trasmetteva giornalmente l’elenco dei luoghi d’intervento e gli
orari degli appuntamenti con i clienti attraverso il telefono cellulare
aziendale.
Con riferimento all’orario di lavoro, i ricorrenti
deducevano che l’inizio della prestazione lavorativa giornaliera coincideva con
il loro arrivo presso la prima ‘work request’ entro le ore 8,30, con timbratura
e trasmissione dei dati relativi all’intervento tramite telefono cellulare.
Analogamente la fine dell’orario lavorativo giornaliero avveniva presso
l’ultima work request, decorse 7 ore e 38 minuti dalla prima ‘timbratura’. I
lavoratori potevano, quindi, scegliere se ricoverare l’autovettura aziendale e
le attrezzature presso la sede aziendale più vicina ovvero presso il loro
domicilio privato. Sul punto l’accordo collettivo prevedeva (non dovendo più
recarsi prima in azienda) una franchigia (non retribuita) di trenta minuti per
recarsi sul luogo del primo intervento a carico dei lavoratori che decidevano
di ricoverare l’autovettura aziendale presso il loro domicilio. Per coloro che,
al contrario, prelevavano il mezzo dalla sede aziendale, la franchigia era di
15 minuti, fermo restando che se i tempi per recarsi dal cliente superavano
questa durata, la società era tenuta a retribuire il dipendente per
l’eccedenza. Lo stesso meccanismo si applicava anche al termine della giornata lavorativa, al
rientro del lavoratore.
I ricorrenti lamentavano che per effetto
dell’accordo collettivo del 27.3.13 il loro orario lavorativo era aumentato a 8
ore e 8 minuti, per complessive 40 ore e 40 minuti settimanali, e che parte di
questo, corrispondente ai tempi di spostamento da e per le work requests, non
era retribuita (causa franchigia). Ad avviso dei ricorrenti, il predetto
accordo era, pertanto, illegittimo perché contrario all’art.2 lett. a) d. Igs.
n.663, alla disciplina comunitaria in materia (direttiva 93104CE e
200034CE) all’art.2103 c.c. e all’art. 2113 c.c., in quanto mancava un
espresso mandato dei lavoratori all’associazione sindacale firmataria
dell’accordo volta alla rinuncia di parte della retribuzione.
Costituendosi in giudizio, la T. s.p.a. asseriva la
piena legittimità dell’accordo collettivo e l’insussistenza delle violazioni
degli articoli 2103 c.c. e 2113 c.c., non ravvisandosi né un mutamento di
mansioni dei ricorrenti né una rinuncia espressa o tacita alla retribuzione.
Assumeva, in particolare, che il tempo necessario ai tecnici ‘on field’ per gli
spostamenti non rientrava nell’orario di lavoro ai sensi dell’art. 1 d. Igs. n.
663 e delle direttive comunitarie, in quanto durante gli spostamenti i
tecnici on field non erano sottoposti all’eterodirezione della società T..
Evidenziava, inoltre, che i lavoratori potevano scegliere liberamente se
ricoverare l’autovettura presso il loro domicilio o presso la sede aziendale.
Con sentenza pronunciata il 16.7.15 il Tribunale di
Trieste rigettava le domande dei ricorrenti, e ciò alla luce del fatto che i
tempi di spostamento dal domicilio alla sede aziendale e dalla sede aziendale
alla prima work request non erano eterodiretti dalla società T., con
conseguente esclusione dei suddetti tempi dall’orario di lavoro.
Affermava, inoltre, che la determinazione della
prestazione lavorativa rientrava nell’autonomia collettiva e che l’accordo
collettivo ‘concedeva’ ai lavoratori la libera scelta tra il ricovero
dell’autovettura aziendale presso il loro domicilio o presso la sede T. più
vicina. Contro questa decisione hanno proposto appello i sig.ri S., P., R., B.
e S. ribadendo quanto dedotto in primo grado. Resisteva la società T..
Con sentenza non definitiva depositata il 9.5.17, la
Corte d’appello di Trieste dichiarava la nullità parziale dell’accordo
collettivo 16.7.13 e del connesso accordo regionale del 4.7.13 nella parte in
cui ponevano a carico del lavoratore il tempo di trasferimento, all’inizio del
turno di lavoro, dal luogo di ricovero del mezzo aziendale a quello del primo
intervento (e viceversa) alla fine di ogni turno, in misura pari a 30 minuti al
giorno, sottraendoli al computo dell’orario di lavoro;
dichiarava il diritto dei lavoratori ad essere
retribuiti per il suddetto tempo di lavoro, pari a 30 minuti al giorno,
provvedendo come da separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio ai fini
della quantificazione delle somme.
Con sentenza definitiva del 20.11.17, la Corte
quantificava nelle misure nel relativo dispositivo indicate gli importi
spettanti a ciascun dipendente, maggiorati degli accessori di legge, e poneva a
carico di T. le spese del doppio grado.
Per la cassazione di entrambe le sentenza propone
ricorso la T., affidato a due motivi; resistono i lavoratori con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
La Procura Generale ha fatto pervenire conclusioni
scritte con cui chiede il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
Deve pregiudizialmente rilevarsi che i sig.ri S. e
S. hanno conciliato la presente lite in sede sindacale, come da relativi
verbali prodotti, sicché deve, tra essi e T. s.p.a., dichiararsi cessata la
materia del contendere, con compensazione delle spese, come da accordi
prodotti.
Venendo al merito si osserva.
1.-Con il primo motivo la ricorrente denuncia la
violazione eo falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, del d.lgs n. 663
anche in base all’art. 2 n.1 Dir. CE
93104, nonché dell’art. 2697 c.c.
Lamenta che alla luce delle norme menzionate può
considerarsi orario di lavoro solo il tempo in cui il lavoratore è a
disposizione del datore di lavoro, e ciò non si verifica allorquando, ad
esempio, l’azienda comunichi al dipendente in viaggio un mutamento del luogo di
intervento, tanto più che i lavoratori erano liberi di lasciare l’auto
aziendale a casa oppure presso la sede T., e non erano soggetti a direttive
aziendali durante il periodo di franchigia (da considerarsi tempi di
spostamento da e verso il domicilio del dipendente o la sede T.).
2.- Con secondo motivo la ricorrente denuncia la
violazione dell’art. 2697 c.c. per avere la sentenza definitiva quantificato,
in assenza di prova, la maggiorazione dovuta in misura pari a 30 minuti
lavorativi al giorno.
3. Il primo motivo è infondato.
Innanzi tutto deve evidenziarsi che la censura si
basa su di una, neppure specificamente contestata, interpretazione degli
accordi collettivi in materia fornita dalla Corte di merito.
Secondo il pacifico orientamento di questa Corte è
inammissibile la censura con cui il ricorrente alleghi la violazione da parte
del giudice del merito dei criteri di ermeneutica contrattuale, allorché si
limiti a contrapporre la propria interpretazione del contratto agli esiti cui
si perviene nella sentenza impugnata (Cass. 26 dicembre 2006 n.26683).
Per sottrarsi al sindacato di legittimità, peraltro,
quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione
possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili
interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili
due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva
proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di
legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 20 novembre 2009
n.24539; 2 maggio 2006 n. 10131; Cass. n. 11254 del 2018). Partendo comunque
dalla pur corretta tesi T. secondo cui è tempo di lavoro solo quello in cui il
lavoratore è a disposizione del datore di lavoro, e che (in linea di massima,
cfr. Cass. n. 54966) non è retribuibile il tempo necessario per recarsi al
lavoro o per ritornare nel proprio domicilio, nella specie la Corte di merito
ha accertato che, in base alla nuova organizzazione scaturante dai menzionati
accordi collettivi, l’auto aziendale è utilizzabile solo per recarsi presso il
richiesto luogo dell’intervento (o tornare da esso alla loro abitazione) e che
compete alla società stabilire (o modificare) il luogo del primo e dell’ultimo
intervento, sicché non si comprenderebbe perché tale tempo non debba essere
considerato tempo di lavoro.
La società, come evidenziato dalla sentenza
impugnata, ha acquisito il vantaggio (rispetto alla precedente organizzazione
secondo cui i dipendenti si recavano dapprima in T. per timbrare il cartellino
orario e poi uscivano per recarsi sui luoghi degli interventi così come
rientravano in T. alla fine di questi ultimi per timbrare nuovamente il
cartellino), di disporre di lavoratori che si recano direttamente sul luogo
dell’intervento e non si vede perché questo tempo non debba essere considerato
di lavoro così come era (pacificamente) considerato quello impiegato per
raggiungere il luogo dell’intervento dopo aver timbrato il cartellino in
azienda. In sostanza, a ben vedere, il mutamento in pejus per i lavoratori è
dato dalla franchigia di 15 o 30 minuti previsti dagli accordi sindacali:
mentre col precedente sistema i tecnici on field lavoravano 7 ore e 38 minuti,
compreso il tempo impiegato per recarsi dalla sede T. al luogo dell’intervento
(e viceversa), col nuovo sistema lavorano invece 7 ore e 38′ effettivi, e cioè
al netto degli spostamenti, non essendo essi retribuiti, almeno nei limiti
della franchigia.
La Corte ha inoltre accertato che i lavoratori in
auto sono muniti di terminale aziendale (FAS) con cui visualizzano i luoghi
degli interventi stabiliti dall’azienda, ‘timbrano’ l’orario di inizio del
lavoro (geolocalizzazione a parte) e ricevono le disposizioni della T.: ciò
rafforza il concetto che in tali tempi sono etero diretti dall’azienda.
4. Deve d’altro canto precisarsi che per pacifica
giurisprudenza di legittimità i tempi preparatori della prestazione (ad es.
quello impiegato per indossare la tuta o divisa aziendale, v. Cass. n.2071413,
nn. 1819-184112) rientrano nell’orario di lavoro se svoltisi sotto la
direzione ed il controllo del datore di lavoro.
5. Dichiarata cessata la materia del contendere tra
T. ed i dipendenti Sabot e Sinigoi, con compensazione tra tali parti delle
spese di lite, il ricorso va per il resto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si
liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
dichiara cessata la materia del contendere tra la T.
e i controricorrenti S. e S., compensando le relative spese di lite.
Rigetta per il resto il ricorso T., che condanna al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in
€.200,00 per esborsi, €.5.250,00 per compensi professionali, oltre spese
generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1
quater, del d.P.R. n. 1152, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la
Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte della T., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso
art.13, ove dovuto.