Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 dicembre 2021, n. 37703

Licenziamento, Mancanza di presupposto economico finanziario
– Illegittimità

 

Rilevato che

 

– con sentenza in data 18 novembre 2019, la Corte
d’Appello di Potenza, in accoglimento dell’impugnazione proposta, ha dichiarato
che fra N.F. e la Confapi Basilicata era intercorso un rapporto di lavoro
subordinato dall’1 marzo 2012 sino al 31 dicembre 2013 ed ha condannato
quest’ultima al pagamento, in favore dell’appellante, della somma di euro
67.846,11 a titolo di differenze retributive e quella di 2.805,80 per rimborso
spese, dichiarando, altresì, illegittimo) il licenziamento intimato
all’appellante in data 21/07/2015 ed ordinandone l’immediata riassunzione o, in
alternativa, la corresponsione di una indennità pari a tre mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre accessori;

– la Corte, in particolare, ha ritenuto che, sulla
base della lettura combinata dello Statuto della Confapi e dei verbali di
Giunta regionale (che provvede alla nomina del Direttore Regionale) dovevano
reputarsi documentalmente provati il periodo in cui il F. svolse le funzioni di
Direttore Regionale, prima della formale assunzione, nonché il contenuto e la
natura dei compiti a lui attribuiti, l’assoggettamento al potere direttivo
della Confederazione e la sede di lavoro in Potenza; essa ha, inoltre ritenuto
del tutto vaga la motivazione del recesso datoriale, per una non meglio
specificata mancanza di presupposto economico finanziario, da cui ha fatto  conseguire la dichiarazione di illegittimità
del licenziamento;

– per la cassazione della pronuncia propone ricorso
la Confapi Basilicata, affidandolo a cinque motivi;

– resiste, con controricorso, N.F.;

è stata comunicata alle parti la proposta del
giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di
consiglio.

 

Considerato che

 

– con il primo motivo di ricorso si deduce la
nullità della sentenza ex art. 360 co. 1, n. 4
e n. 5, per violazione e falsa applicazione dell’art.
2697 cod. civ. allegandosi anche la motivazione apparente o inesistente e
comunque contraddittoria in relazione all’art. 360,
co. 1 n. 3 cod. proc civ.;

– con il secondo ed il terzo motivo si deduce,
ancora sotto il profilo dell’art. 360 comma 1
n. 3, motivazione apparente circa la ritenuta sussistenza di un rapporto di
lavoro subordinato;

– con il quarto motivo si allega la violazione dell’art. 360 comma 1, n. 3 e n. 4 cod. proc. civ., con
riguardo all’inquadramento ed alle mansioni anche sotto il profilo della
violazione delle norme sulle prove;

– con il quinto motivo si deduce la nullità della
sentenza quanto alla ritenuta illegittimità del licenziamento con riguardo alla
violazione dell’art. 360 comma 1, n. 3 e n. 4 cod.
proc. civ. per mancata valutazione della prova documentale ed illogicità
della motivazione;

– il primo motivo, nella parte in cui censura la
pronunzia per motivazione apparente è infondato;

– va rilevato, al riguardo, che questa Corte ha
affermato che in caso di censura ai sensi dell’art.
360 n. 5 c.p.c. spetta al ricorrente allegare in modo non generico il
“fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o
extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il
“quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la
sua “decisività” per la definizione della vertenza (Cass. n. 13578
del 02/02/2020) e, d’altra parte, per aversi motivazione apparente occorre che
la stessa, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella
descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio,
non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento
decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo
costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma
6 Cost. (sul punto, fra le altre, Cass. n. 13248 del 30/06/2020) ( aspetti,
questi, sicuramente non ricorrenti nel caso di specie;

nel caso di specie, anzi, contrariamente a quanto
dedotto da parte ricorrente, congrua e coerente appare la decisione di secondo
grado che da conto in maniera puntuale delle ragioni probatorie che hanno
condotto la Corte a concludere per la sussistenza degli indici rivelatori della
subordinazione e per l’illegittimità dell’intimazione di licenziamento, con
valutazione incensurabile in sede di legittimità;

e poi opportuno evidenziare, con riguardo alla
lamentata lesione dell’art. 2697 cod. civ. che,
per consolidata giurisprudenza di (ex plurimis Cass. n. 18092 del 2020) la
doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto
nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una
parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da
quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, in particolar
modo in quanto, pur veicolando parte ricorrente la censura per il tramite della
violazione di legge, essa, in realtà mira ad ottenere una rivisitazione del
fatto, inammissibile in sede di legittimità;

va poi rilevato che, in sede di ricorso per
cassazione, una questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale
istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché
si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non
dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali,
o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle
prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli
senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione
(cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014
n. 13960; cass. 30/9/2020, n. 20867)

quanto alla lamentata contraddittorietà ed
illogicità della motivazione, giova sottolineare che, in seguito alla
riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del
cod. proc. civ. – pur non espressamente richiamato da parte ricorrente
nella specie, ma ipotizzabile in considerazione della lesione allegata –
disposta dall’art. 54 col, lett.
b), del DL 22 giugno 2012 . n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134, che ha limitato la
impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di
motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per
il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, al di fuori
dell’indicata omissione, il controllo) del vizio di legittimità rimane
circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel
suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato ‘in
negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in
materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza
della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale;
motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione
perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano
la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di
validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del
2017);

motivi secondo e terzo, quarto e quinto, da
esaminarsi congiuntamente per ragioni logico-sistematiche, in primo luogo
promiscuamente formulati (sul punto, Cass. n.
18715 del 2016) come violazione dell’art. 360
comma 1, n. 3 cod. proc. civ. e 360, comma 1, n. 4, mirano tutti ad
ottenere una rivalutazione in fatto della vicenda, nonostante veicolino le
censure attraverso la violazione di legge (SU
34476 del 2019) o la motivazione apparente;

come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte,
infatti, deve reputarsi inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto
l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di
mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per
il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal
giudice di merito; alla luce delle suesposte argomentazioni, pertanto, il
ricorso deve essere respinto;

le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate
come in dispositivo;

sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 —bis dell’articolo 13 comma 1
quater  del d.P.R. n. 115 del 2002,
se dovuto.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente
alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite,
che liquida in complessivi curo 4.500,00 per compensi e 200,00 per esborsi,
oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 — bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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