Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 dicembre 2021, n. 37764
Impiego irregolare, Accesso ispettivo, Verbale di
accertamento, Dichiarazioni dei lavoratori, Fonte esclusiva del convincimento
del giudice
Ragioni in fatto e in diritto
della decisione
1. A.P. ha proposto opposizione all’ordinanza
ingiunzione con cui l’Ispettorato del lavoro di Bologna ha le applicato la
sanzione pecuniaria di € 33.130,00, per aver impiegato irregolarmente due
lavoratrici negli anni 2012/2013.
Esaurita la trattazione, il tribunale ha respinto
l’opposizione, regolando le spese.
La sentenza è stata confermata in appello.
La Corte territoriale ha ritenuto che correttamente
il tribunale avesse valorizzato le dichiarazioni rese in sede ispettiva dalle
due lavoratrici, reputando che tali elementi dessero ampia conferma della
sussistenza del rapporto lavorativo con le dipendenti assunte irregolarmente.
Ha inoltre osservato che – contrariamente a quanto
sostenuto dall’interessata – non era configurabile alcuna delega a terzi delle
funzioni riguardanti l’assunzione del personale e che pertanto
l’amministratrice doveva rispondere della violazione, essendo comunque tenuta a
vigilare sul regolare assolvimento degli obblighi di legge.
La cassazione della sentenza è chiesta da A.P. con
ricorso basato su tre censure, illustrate con memoria.
Il Ministero del lavoro e l’Ispettorato Territoriale
del lavoro di Bologna hanno depositato atto di costituzione ai soli fini
dell’eventuale svolgimento della pubblica udienza.
Su proposta del relatore, secondo cui il ricorso, in
quanto manifestamente inammissibile, poteva esser definito ai sensi dell’art.
380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma primo, n. 5 c.p.c., il
Presidente ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.
1.2. Il primo motivo di ricorso censura la
violazione degli artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c. e 2697 c.c. e vizio di
motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3-5 c.p.c., sostenendo che
la sola produzione del verbale ispettivo non era elemento sufficiente a provare
la consumazione delle violazioni, occorrendo che le dichiarazioni delle
lavoratrici fossero confermate in udienza. Secondo la ricorrente, lo stesso
verbale dava atto della contraddittorietà delle
risultanze degli accertamenti, dovendo escludersi
che l’amministrazione avesse dato prova dei fatti contestati.
Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360, bis n. 1 c.p.c.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che, nel
giudizio di opposizione avverso l’ordinanza – ingiunzione in tema di sanzioni,
il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di
falso, riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti
in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, nonché alla
provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni
delle parti o di terzi, mentre non è necessaria la querela di falso qualora la
parte intenda limitarsi a contestare la verità sostanziale di tali
dichiarazioni ovvero la fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del
verbalizzante, alle quali non si estende la fede privilegiata del documento.
Ciò non significa, tuttavia, che l’impugnativa dell’opponente
renda queste ultime parti del documento prive di ogni efficacia probatoria,
dovendo il giudice del merito prenderle in esame e, facendo uso dei poteri
discrezionali di apprezzamento della prova, valutarle nel complesso delle
risultanze processuali, ivi compresi la concreta formulazione e gli eventuali
limiti della contestazione e il contegno processuale dell’opponente (Cass.
3350/2001; Cass. 11718/2003; Cass. 2780/2004).
In particolare, le dichiarazioni rese ai
verbalizzanti possono costituire anche la fonte esclusiva del convincimento del
giudice, qualora il loro specifico contenuto probatorio o il concorso di altri
elementi renda superfluo l’espletamento di ulteriori mezzi istruttori (Cass.
11934/2019; Cass. 8445/2020).
Legittimamente la sentenza ha dunque valorizzato le
dichiarazioni delle dipendenti acquisite in sede ispettiva, dopo averle
esaminate criticamente, dando motivatamente conto della loro valenza
probatoria.
Il giudizio di sufficienza del verbale ai fini della
prova dei fatti contestati attiene al merito e si sottrae al controllo di
legittimità con riferimento ai profili sollevati in ricorso.
2. Il secondo motivo denuncia l’omesso esame di un
fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c., sostenendo
che le dichiarazioni assunte in sede ispettiva comprovavano l’insussistenza del
rapporto di lavoro quanto a P.V., e che altra dipendente – A.M.O. – aveva
lavorato con contratto a chiamata solo 15 gg. nel mese di aprile 2013.
Il motivo è inammissibile.
La censura, oltre a riguardare una circostanza
(l’effettiva instaurazione del rapporto di lavoro con vincolo di
subordinazione) che la Corte ha specificamente valutato, si traduce nella
richiesta di riesaminare la documentazione acquisita (che è compito esclusivo
del giudice di merito), trascurando inoltre che la sentenza di appello risulta
fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base
della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme), sicché, ai sensi del terzo
comma dell’art. 348 ter c.p.c. (applicabile in relazione alla data di deposito
della pronuncia di appello), la violazione dell’art. 360, comma primo, 1, n. 5,
c.p.c. non è deducibile in cassazione.
3. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art.
3 L. 689/1981, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c.. Si sostiene
che il giudice territoriale non abbia considerato che le funzioni di assunzione
del personale erano state delegate ad altro socio, tenuto a rispondere della
violazione anche ai sensi dell’art. 16 d.lgs. 81/2008, dovendosi inoltre negare
che la ricorrente fosse in condizione di vigilare su tutte le attività
dell’impresa, essendo stata asportata, a sua insaputa, la documentazione
inerente alla gestione aziendale.
Il motivo è inammissibile, avendo la sentenza
escluso – con statuizione non censurata – la stessa configurabilità in concreto
di una delega di funzioni, ed avendo precisato che anche un eventuale delega di
funzioni ad altro socio non poteva esimere la ricorrente dal compito di
esercitare un più generale potere di controllo sull’adempimento degli obblighi
di legge, alla luce dei principi correttamente richiamati dalla sentenza
impugnata.
Il ricorso è – pertanto – inammissibile.
Nulla sulle spese, non avendo il Ministero del
lavoro e l’Ispettorato provinciale svolto difese.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater
D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Da atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater
D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte (y della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.